Un caso specifico di responsabilità “amministrativa” di enti in tema di reato ambientale.
La Corte di Cassazione, con sentenza depositata in data 15 marzo 2019, si occupa diffusamente del tema inerente la responsabilità amministrativa dell’ente e conferma la sentenza della Corte d’appello di Milano del 17 maggio 2018 che aveva parzialmente riformato la decisione di primo grado, con la quale, in data 29 giugno 2017, era stata affermata la responsabilità penale degli amministratori di una Spa, ritenuta responsabile dei fatti commessi dall’amministratore e dal delegato all’ambiente, ai sensi della legge n. 231/01, per essersi avvantaggiata delle violazioni ambientali commesse dalle persone fisiche, consistite nell’aver posto in essere scarichi di acque reflue in pubblica fognatura contenenti sostanze pericolose, fatto per il quale era stata dichiarata la speciale tenuità ex art. 131 bis c.p..
La Corte ha evidenziato ed analizzato:
- La natura giuridica dell’autorizzazione richiedibile per tutti gli scarichi ai sensi dell’art. 124 d.lgs. 152/06 . Ha, a tal proposto, ritenuto che il suo rilascio non fosse passibile di alcun equipollente in ragione degli specifici adempimenti richiesti dall’ Autorità amministrativa (indicazione delle caratteristiche tecniche dello scarico e della sua destinazione finale, della sua collocazione e delle caratteristiche dell’ambiente circostante, tutte condizioni oggetto di specifica verifica da parte degli organi amministrativi)
- La conseguente caratteristica di reato formale di pericolo presunto del reato ambientale e della sussistenza dell’offensività della condotta in assenza dell’autorizzazione, sicchè il reato deve essere giudicato sussistente per effetto del semplice sforamento tabellare.
- La natura giuridica della responsabilità amministrativa dell’ente e la speciale causa di esclusione prevista dall’art. 5 d.lgs. 231/01. La Corte ha in proposito ribadito che la responsabilità amministrativa dell’ente costituisce un tertium genus rispetto a quella penale e a quella amministrativa, gravando – essa – sull’ente per fatto di chi esercita al suo interno funzioni apicali. La Corte ha pertanto ribadito che spetta alla Pubblica Accusa l’onere di dimostrare l’esistenza dell’illecito per l’ente (e quindi, nello specifico, il vantaggio che dalla violazione sia ad esso derivato) e all’ente di provare di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del reato, modelli di organizzazione atti a prevenire reti della specie di quello verificatosi. Quanto alla condotta riparatoria, necessaria per il riconoscimento della speciale attenuante di cui all’art. 12, comma 2 lett. a) d.lg.s 231/2001, la Corte ha ribadito che per la sua sussistenza è necessario provare l’integrale risarcimento del danno ambientale attraverso l’elisione di tutte le conseguenze dannose o pericolose del reato o attraverso la dimostrazione di aver fatto tutto il possibile in merito.
- Il proscioglimento automatico dell’ente in tutte le ipotesi in cui sia stata riconosciuta la causa di non punibilità di speciale tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p. alla persona fisica. La Corte ha, in proposito, esaminato due opposti orientamenti. In base al primo, desumibile dal tenore letterale dell’art. 8 d.lgs. 231/01. si propende per l’esclusione della responsabilità dell’ente in quanto la norma in esame non considera espressamente le cause di non punibilità – qual è indubbiamente quella prevista dall’art. 131 bis c.p.- come idonee a dichiararne la persistenza; in base al secondo si ritiene invece irragionevole disporre l’automatica esclusione della responsabilità dell’ente nel caso dell’accertata responsabilità in capo alla persona fisica, seppure dichiarata non punibile per speciale tenuità del fatto . Ha quindi concluso per l’esclusione di “ogni automatismo tra l’eventuale riconoscimento della particolare tenuità del fatto nei confronti dell’autore del fatto e l’accertamento della responsabilità dell’ente da considerarsi del tutto autonoma rispetto a quella della persona fisica”
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