Aggiornamenti in tema di ipotesi delittuose relative alla detenzione di sostanze stupefacenti.
STUPEFACENTI – IN GENERE – Legge n. 242 del 2016 – Liceità della coltivazione – Limiti – Cannabis sativa L. Detenzione e cessione dei derivati – Applicabilità del d.P.R. n. 309 del 1990 – Condizioni.
La Sez. VI, con la sentenza n. 56737 del 27/11/2018 (dep. 17/12/ 2018), ha affermato che la legge 2 dicembre 2016, n. 242, che stabilisce la liceità della coltivazione della cannabis sativa L per finalità espresse e tassative, non si riferisce anche alla commercializzazione dei prodotti di tale coltivazione – costituiti dalle inflorescenze (Marijuana) e dalla resina (Hashish) – e, pertanto, le condotte di detenzione illecita e cessione di tali derivati continuano ad essere sottoposte alla disciplina del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, sempre che dette sostanze presentino un effetto drogante rilevabile.
Come è noto, la legge 2 dicembre 2016 n. 242, ha consentito l’uso della canapa coltivata nell’ambito del florovivaismo in base a precise diposizioni degli organi preposti che riguardano:
a) la disciplina della coltivazione e della trasformazione;
b) l’incentivazione dell’impiego e del consumo finale di semilavorati di canapa provenienti da filiere prioritariamente locali;
c) lo sviluppo di filiere territoriali integrate che valorizzino i risultati della ricerca e perseguano l’integrazione locale e la reale sostenibilità economica e ambientale;
d) la produzione di alimenti, cosmetici, materie prime biodegradabili e semilavorati innovativi per le industrie di diversi settori;
e) la realizzazione di opere di bioingegneria, bonifica dei terreni, attività didattiche e di ricerca.
La sentenza citata chiarisce quindi che, al di là delle ipotesi tassativamente indicate dalla legge, la coltivazione e la commercializzazione della cannabis e dei suoi derivati che contenga una percentuale di THC superiore allo 0,6%, tale da prestare un effetto drogante rilevabile, è sempre vietata ed impone la distruzione delle relative coltivazioni.
STUPEFACENTI – IN GENERE – Diversa tipologia di sostanza stupefacente detenuta – Fattispecie del fatto di lieve entità – Configurabilità – Ragioni Applicabilità dell’art. 81 cod. pen. – Esclusione.
In materia di sostanze stupefacenti, le Sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza del 27/09/2018 (dep. 09/11/2018), n. 51063, hanno affermato che la diversità di sostanze stupefacenti oggetto della condotta non è di per sé ostativa alla configurabilità del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, in quanto è necessario procedere ad una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla suddetta disposizione al fine di determinare la lieve entità del fatto; la detenzione nel medesimo contesto di sostanze stupefacenti tabellarmente eterogenee, qualificabile nel suo complesso come fatto di lieve entità, integra un unico reato e non una pluralità di reati in concorso tra loro.
La sentenza si pone in evidente discontinuità con la risalente giurisprudenza della Corte di legittimità che con la sentenza 7 aprile 2014, n. 15483 della Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione aveva affermato che, a seguito della soppressione della distinzione tra “droghe pesanti” e “droghe leggere” operata dalla Legge n. 49/2006, la contestuale detenzione di diverse tipologie di sostanze stupefacenti contenute in un’unica tabella integra un unico reato, non può pertanto essere ritenuta una pluralità di reati in continuazione tra loro (Cass. pen. n. 1735/08 rv 238391, Cass. pen., n. 34789/08, Cass. pen., n. 37993/08, Cass. pen., n. 42485/09),. Da tale conseguenza deriva l’impossibilità da parte dei giudici di applicare aumenti di pena a titolo di continuazione nei casi in cui la condotta delittuosa si sia caratterizzata per la contestuale detenzione di sostanze stupefacenti di diversa tipologia.
Il caso, giunto dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di legittimità, ha riguardato la contestazione di detenzione illecita, ai fini della vendita, di sostanze stupefacenti diverse ed in varia quantità, oltre che inserite in tabelle differenti. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, in base alle quantità di sostanze trovata in possesso dell’imputato, oltre che della concentrazione di principio attivo presente nelle stesse, l’imputato avrebbe avuto a sua disposizione circa 2500 dosi di marijuana, 1000 dosi di hashish e 30 dosi di cocaina (queste ultime, però, già suddivise in 56 dosi sigillate).
In primo grado, l’imputato aveva richiesto il rito abbreviato, in esito al quale era stato condannato alla pena di quattro anni di reclusione e 14.000 euro di multa: a tale pena si era giunti individuando come fattispecie più grave il reato di cui all’art. 73, comma 1, T.u. stupefacenti, per il possesso della cocaina, e ponendo in continuazione il reato di cui al successivo comma 4, integrato dal possesso delle droghe “leggere”. La Corte d’Appello aveva poi respinto il motivo di impugnazione inerente il riconoscimento dell’ipotesi “di lieve entità” ai sensi del comma 5 dell’art. 73 ritenendo che tale qualificazione non fosse possibile in vista della varietà e della quantità di sostanze nonché della suddivisione delle stesse in dosi sigillate e del rinvenimento del materiale per confezionarle, sintomo di un’organizzazione nell’attività di vendita, seppur rudimentale.
La Corte di Cassazione, investita di un unico motivo di ricorso inerente la mancata qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, T.u. stupefacenti ha esaminato i due argomenti che la Corte di Appello aveva posto a fondamento del rigetto dell’impugnazione: la quantità e qualità delle sostanze da un lato e la presenza di una “pur rudimentale organizzazione” dall’altro. Quanto all’asserita rudimentale organizzazione la Corte, sulla base di recente giurisprudenza ha ritenuto che tale elemento non fosse di per se sufficiente ad escludere la lievità del fatto.
Sulla diversa questione relativa alla compresenza di diverse tipologie di sostanze stupefacenti rientranti in tabelle diverse, le Sezioni Unite sono state chiamate a risolvere due diverse questioni di diritto: (i) se la diversità delle sostanze possa precludere di per sé l’applicabilità del comma 5 e (ii) se lo stesso comma 5 possa concorrere con le ipotesi di reato “non lievi”. Il quesito sottoposto alle Sezioni Unite era quindi del seguente tenore : “se la diversità di sostanze stupefacenti, a prescindere dal dato quantitativo, osti alla configurabilità dell’ipotesi di lieve entità di cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990; se, in caso negativo, il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 possa concorrere con uno dei reati di cui ai commi 1 e 4 del medesimo art. 73”.
A tal proposito le Sezioni Unite ribadiscono, innanzitutto l’ormai definitivo orientamento per cui la disposizione di cui all’art. 73, 5 comma T.U. stupefacenti configura un reato autonomo, e non già una circostanza attenuante dei reati di cui ai commi precedenti. Affermano, poi, con altrettanta chiarezza, il rapporto di specialità che intercorre tra tale norma e le fattispecie di cui ai commi 1, 2, 3 e 4, sottolineando come la clausola di apertura del quinto comma (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”) debba intendersi come riferita ad altre e distinte ipotesi di reato con cui l’art. 73, comma 5 possa trovarsi a concorrere.
Passando, poi ad esaminare, nello specifico, il quesito posto dalla Sezione remittente, la Corte di legittimità:
- ha aderito all’orientamento secondo cui nel caso di quantità ridotta, il mero fatto di essere in possesso di diverse tipologie di stupefacenti non preclude l’applicabilità del comma 5, posto che la “lieve entità” deve essere valutata alla luce del caso concreto globalmente considerato, dal quale deve emergere una complessiva minore portata dell’attività svolta dallo spacciatore. Tale orientamento viene giudicato, infatti, in linea con i canoni costituzionali di offensività e proporzionalità della condotta;
- quanto al possibile concorso della fattispecie di lieve entità con altre ipotesi di reato di detenzione illecita di stupefacente, la Corte, muovendo le mosse dalla distinzione fra le droghe “pesanti” e quelle “leggere”, ripristinata dalla Corte Costituzionale dopo l’unificazione operata dalla legge Fini-Giovanardi, ha indicato diverse “fattispecie autonome di reato dirette ad isolare forme (e non solo gradi) differenti di aggressione del comune fascio di interessi tutelati”; interessi che vengono individuati nella salute pubblica, nell’ordine e nella sicurezza pubblica. Questo rapporto di incompatibilità strutturale, determina la possibilità di configurare un concorso ogni volta che la condotta abbia ad oggetto droghe classificate in tabelle diverse. Il problema del concorso tra comma 5 e commi precedenti si pone solo in relazione al concorso formale di reati, non anche con riferimento a quello materiale: se si fa riferimento a fatti differenti sul piano storico, diviene logicamente molto più semplice valutare isolatamente la lieve entità di ciascun episodio. Al contrario, nel caso in cui il fatto sia unico, e la medesima condotta integri sia detenzione o spaccio di droghe “pesanti” che detenzione o spaccio di droghe “leggere”, tale valutazione diviene inevitabilmente più complessa, dovendosi ritenere piuttosto improbabile che si verifichi un concorso formale di reati tra l’art. 73 commi 1 o 4 e il comma 5 della medesima norma in unico contesto temporale.
Diverso appare invece il caso in cui il fatto concernente traffico di stupefacenti sia “pesanti” che “leggeri” debba essere, nel suo complesso, qualificato come di “lieve entità”. Il problema sarebbe, infatti, quello di ipotizzare un concorso formale omogeneo dell’art. 73 comma 5, che dovrebbe essere applicato tanto alla “parte” di fatto concernente le droghe “pesanti” quanto a quella relativa alle droghe “leggere”.
In presenza di un serio contrasto fra più Sezioni penali, le Sezioni Unite identificano nell’art. 73, comma 5, T.u. stupefacenti una norma unitaria, che non riflette al suo interno la distinzione tra droghe “pesanti” e “leggere” che connota le ipotesi-base sulle quali è costruita.
A sostegno di tale interpretazione, le Sezioni Unite adducono diversi argomenti: innanzitutto, il fatto che, con l’intervento operato sul comma 5 dal d.l. n. 146/2014, successivo alla sent. 32/2014 della Corte costituzionale, il legislatore abbia lasciato invariata l’unitarietà della sanzione comminata per il “fatto lieve”, limitandosi a ritoccare al ribasso la cornice edittale, costituisce, a detta della Cassazione, indice della volontà del legislatore stesso di non differenziare il reato quando il fatto sia “lieve; in secondo luogo, la stessa qualificazione del fatto come “lieve” rende indifferente la natura della sostanza oggetto della condotta perché sotto questo profilo, la differenziazione delle sostanze non appare avere un reale significato..
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