Con Sentenza n. 22 del 9 dicembre 2021, l’Adunanza Plenaria ha enunciato i seguenti principi di diritto:
“a) Nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio, riaffermata la distinzione e l’autonomia tra la legittimazione e l’interesse al ricorso quali condizioni dell’azione, è necessario che il giudice accerti, anche d’ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell’interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato;
- b) L’interesse al ricorso correlato allo specifico pregiudizio derivante dall’intervento previsto dal titolo autorizzatorio edilizio che si assume illegittimo può comunque ricavarsi dall’insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso;
- c) L’interesse al ricorso è suscettibile di essere precisato e comprovato dal ricorrente nel corso del processo, laddove il pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o la questione rilevata d’ufficio dal giudicante, nel rispetto dell’art. 73, comma 3, c.p.a.;
- d) Nelle cause in cui si lamenti l’illegittimità del titolo autorizzatorio edilizio per contrasto con le norme sulle distanze tra le costruzioni imposte da leggi, regolamenti o strumenti urbanistici, non solo la violazione della distanza legale con l’immobile confinante con quello del ricorrente, ma anche quella tra detto immobile e una terza costruzione può essere rilevante ai fini dell’accertamento dell’interesse al ricorso, tutte le volte in cui da tale violazione possa discendere con l’annullamento del titolo edilizio un effetto di ripristino concretamente utile, per il ricorrente, e non meramente emulativo.”
La decisione è giunta all’esito di un’annosa vicenda di diritto urbanistico. I ricorrenti nel giudizio di primo grado, dinanzi al TAR di Palermo, avevano impugnato, chiedendone l’annullamento, la concessione edilizia, rilasciata dal Comune del capoluogo siciliano al proprietario di un terreno ubicato nella medesima via in cui era posto l’edificio di proprietà dei medesimi. Con sentenza n. 663 del 6 marzo 2014, la Sezione II del TAR di Palermo aveva dichiarato il ricorso parzialmente inammissibile e per il resto infondato. Successivamente i soccombenti proponevano appello dinanzi al CGARS, che, con Sentenza n. 759 del 27 luglio 2021, lo respingeva nel merito, deferendo all’Adunanza Plenaria quattro quesiti di rito sulle condizioni per l’azione: i) se il criterio della vicinitas fosse da solo sufficiente a rappresentare insieme la legittimazione e l’interesse a ricorrere; ii) se, viceversa, la vicinitas fosse idonea a dimostrare unicamente la legittimazione al ricorso; iii) se essa avesse un valore assorbente nei confronti dell’interesse a ricorrere, di modo che quest’ultimo non dovesse essere dimostrato ogni qual volta che la prima rendesse evidente il pregiudizio subito dal ricorrente; iv) se, seguendo la suddetta impostazione, il solo interesse deducibile sia quello della lesione della distanza tra due immobili confinanti.
In seno alla giurisprudenza si sono sviluppati nel tempo due orientamenti contrapposti riguardo al ruolo processuale della vicinitas. intendendosi con tale termine la prossimità al luogo in cui è stato accertato un abuso edilizio. Il primo, maggioritario, è apparso favorevole ad un supposto valore assorbente della vicinitas, facendola coincidere nell’interesse ad agire. (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, n. 5987 del 23 agosto 2021 e Cons. Stato, Sez. II, n. 6761 dell’11 ottobre 2021). Il secondo, che esige la dimostrazione da parte del ricorrente del pregiudizio patito a causa dell’atto impugnato (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, Sentenza n. 7136 del 25 ottobre 2021)[1]. Seguendo il primo filone giurisprudenziale si dovrebbe affermare che il rapporto di vicinitas attribuisca ex se al ricorrente “una posizione differenziata – correlata all’esercizio del pubblico potere – idonea a radicare in capo alla stessa ricorrente la legittimazione al ricorso (Cons. Stato, Sentenza n. 5987 cit.)”. In ottemperanza al secondo, contrariamente, si dovrebbe ritenere che “la vicinitas, sebbene idonea a radicare la legittimazione ad agire, non possa ritenersi di per sé elemento sufficiente a fondare l’interesse a impugnare, dovendosi ulteriormente dimostrare che quanto contestato abbia la capacità di propagarsi sino a incidere negativamente sulla proprietà del ricorrente”, il quale, “anche in presenza della vicinitas, sarà sempre tenuto a fornire la prova concreta del vulnus specifico inferto dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica (Cons. Stato, Sentenza n. 7136 cit.)”.
L’Adunanza Plenaria, nel dirimere la questione, ha adottato un approccio mediato tra i due orientamenti, facendo una puntuale analisi delle caratteristiche delle condizioni dell’azione nel processo amministrativo e in quello civile, ai cui articoli in tema di legittimazione ed interesse ad agire, il c.p.a. fa rinvio tramite l’art. 39. Nel processo civile è principio consolidato che la legittimazione ad agire sia delimitata dal perimetro di quanto affermato nella domanda dall’attore, con la conseguenza che diventi necessario scindere tra la legittimazione e l’effettiva titolarità del diritto vantato, attinente al merito della decisione e alla fondatezza della domanda in concreto proposta (cfr. Corte di Cassazione, SS.UU., n. 2951 del 16 febbraio 2016, ripresa recentissimamente da Corte di Cassazione, Sez. II, n. 42035 del 30 dicembre 2021). Nel processo amministrativo, a contrario, la legittimazione a ricorrere consiste “nell’effettiva titolarità della posizione azionata” (cfr. Cassazione Civile, SS.UU., n. 20820 del 2 agosto 2019). L’Adunanza Plenaria ha riconosciuto la tendenza sia del legislatore sia della giurisprudenza di ampliarne le maglie sino ad includere le c.d. “legittimazioni speciali[2]”. A quest’evoluzione della concezione della legittimazione è simmetrico un mutamento della nozione di vicinitas, da intendersi non più quale relazione fisica di prossimità tra il soggetto ed il bene, ma assiologica. Essa non va confusa con i fondamentali ed imprescindibili criteri della qualificazione e differenziazione, utilizzati da dottrina e giurisprudenza per distinguere gli interessi legittimi da quelli di mero fatto o semplici. La vicinitas non coincide con essi, come sostiene il primo orientamento (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, n. 5567 del 27 luglio 2021), ma afferisce ad uno degli indici sintomatici della differenziazione[3]. Autonomo ed indipendente rispetto alla legittimazione è l’interesse a ricorrere. Esso “si lega necessariamente all’utilità ricavabile dalla tutela di annullamento e dall’effetto ripristinatorio; utilità che a sua volta è in funzione e specchio del pregiudizio sofferto (Cons. Stato, A. P., n. 22 cit.)”. Pregiudizio che, in materia urbanistica, sarà ravvisabile nel possibile deprezzamento dell’immobile confinante o contiguo, nella compromissione dei beni della salute e dell’ambiente in danno di coloro che sono in durevole rapporto con la zona interessata.
Più nello specifico, nel caso posto all’attenzione del Consiglio di Stato la vicinanza delle proprietà dei ricorrenti rispetto al bene oggetto di abuso edilizio poteva assurgere a criterio discretivo per individuare l’interesse protetto nella misura in cui l’eventuale abbattimento del bene costruito illegittimamente avesse potuto in qualche modo avvantaggiare la situazione del bene posto nelle vicinanze e di proprietà dei ricorrenti.
CONCLUSIONI:
Legittimazione ed interesse a ricorrere si pongono su piani distinti e autonomi. Il giudice dovrà pertanto accertare la sussistenza di entrambi, affinché l’azione sia validamente proponibile in giudizio. La vicinitas potrà essere utilizzata in via sussidiaria per dimostrare la legittimazione, ma non potrà da sola provare anche la sussistenza dell’interesse al ricorso dovendo, il ricorrente, allegare la prova, da un lato, di aver subito un pregiudizio a causa dell’atto impugnato e, dall’altro, del risultato utile che potrà conseguire mediante l’esito a lui favorevole del procedimento instaurato.
[1] Nei casi di impugnazione di strumenti urbanistici a carattere generale, la giurisprudenza si è mostrata molto più concorde nel ritenere che “la mera vicinitas non costituisce elemento sufficiente a comprovare contestualmente la legittimazione e l’interesse al ricorso, occorrendo invece la positiva dimostrazione, in relazione alla configurazione dell’interesse ad agire, di un danno (certo o altamente probabile) che attingerebbe la posizione di colui il quale insorge giudizialmente; ciò, segnatamente, in materia di impugnazione di strumenti urbanistici, generali e attuativi, atteso che in tali controversie la sollecitazione del sindacato giurisdizionale è ammissibile nel caso in cui la parte ricorrente si dolga di prescrizioni che riguardano direttamente i beni di proprietà ovvero comportino un significativo decremento del valore di mercato o dell’utilità dei suoi immobili (Cons. Stato, Sez. II, Sentenza n. 7812 del 22 novembre 2021)”.
[2] Ad esempio quella attribuita ex art. 211, co. 1-bis, d.Lgs. n. 50/2016 all’ANAC o ex art. 35, d.l. n. 201/2011 all’AGCM.
[3] Indici sintomatici della vicinitas sono invece, secondo l’A.P., la situazione di fatto, il tipo di provvedimento contestato, i suoi contenuti concreti, l’ampiezza e la rilevanza delle aree coinvolte.
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