Sulla causa in concreto e sull’impossibilità sopravvenuta della prestazione
- Corte di Cassazione del 10 luglio 2018 n. 18047
La Corte di Cassazione, con la sentenza in argomento ha confermato la propria giurisprudenza risalente al 2007 allorché ha configurato il contratto di viaggio vacanza “tutto compreso”, detto anche pacchetto turistico, un negozio caratterizzato dalla compresenza di due elementi, quello del trasporto e dell’alloggio e l’altro dei servizi turistici in genere, questi ultimi caratterizzanti una finalità turistica (scopo di piacere) idonea a sostanziarsi in una causa in concreto e quindi nell’interesse che il contratto è funzionalmente destinato a soddisfare, tale da essere meritevole di tutela. Ha così confermato le sentenze del giudice di merito che hanno sancito la risoluzione di un contratto avente tali caratteristiche ai sensi dell’art. 1463 c.c. per impossibilità sopravvenuta, nell’ipotesi in cui il creditore – per cause a lui non imputabili di forza maggiore – non ne avesse potuto usufruire. Così testualmente la Suprema Corte:“Il Tribunale ha fatto corretta applicazione delle norme sopra richiamate, inquadrando la fattispecie in esame nell’ipotesi in cui la causa del contratto, consistente nella fruizione di un viaggio con finalità turistica, diviene inattuabile per una causa di forza maggiore, non prevedibile e non ascrivibile alla condotta dei contraenti. Al riguardo, questa Corte ha avuto modo di chiarire che “la causa in concreto – intesa quale scopo pratico del contratto, in quanto sintesi degli interessi che il singolo negozio è concretamente diretto a realizzare, al di là del modello negoziale utilizzato – conferisce rilevanza ai motivi, sempre che questi abbiano assunto un valore determinante nell’economia del negozio, assurgendo a presupposti causali, e siano comuni alle parti o, se riferibili ad una sola di esse, siano comunque conoscibili dall’altra”…. Pertanto il Tribunale, nella congiunta valutazione della causa e dei motivi che avevano indotto all’acquisto del pacchetto turistico, ha dato forma al concetto di “causa concreta del contratto” attinente all’aspetto della funzione economico – sociale del negozio giuridico posto in essere (cfr. anche in motivazione Cass. 26958/2007) e, valutando il gravissimo impedimento che non aveva consentito ai contraenti di fruirne, ha correttamente applicato il principio sopra enunciato con il quale la previsione di cui all’art. 1463 c.c. risulta perfettamente compatibile, con riferimento a tutti i contraenti”
Sulle modalità di formulazione dell’eccezione di prescrizione estintiva delle rimesse bancarie risolutive in tema di azione di ripetizione di indebito proposta dal cliente di una Banca a seguito delle richiesta di pagamento di importi relativi a scoperto di conto corrente assistito da apertura di credito
- Ordinanza interlocutoria I sezione Corte di Cassazione 27680/2018
La I sezione della Corte di Cassazione con l’ordinanza sopra indicata ha rimesso gli atti al Primo presidente della Corte per l’invio alle Sezioni Unite della cessione della questione circa le modalità con cui la Banca debba eccepire l’intervenuta prescrizione estintiva della pretesa del correntista di ripetizione degli indebiti percepiti dalla Banca per effetto dell’applicazione di interessi anatocistici. In particolare la Cassazione, dopo aver ricordato la giurisrudenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 2010 che ha imposto di distinguere fra rimesse solutorie e meramente ripristinatorie ai fini dell’individuazione del dies dal quale far decorrere la prescrizione decennale dell’azione, ha chiarito che a riguardo si sono registrati due diversi e opposti orientamenti: un primo orientamento che onera la Banca del dovere di allegare specifica indicazione delle rimesse ed un secondo orientamento che ritiene sufficiente l’allegazione generica sul punto. Così testualmente la Suprema Corte:La questione relativa alle modalità di formulazione dell’eccezione di prescrizione estintiva, ha avuto origine dalla sentenza delle Sezioni Unite del 2 dicembre 2010, n. 24418. In quella pronuncia, la Suprema Corte, aveva enunciato il principio secondo cui l’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamentasse la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, fosse soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. In altri termini, le Sezioni Unite sostengono la necessità di distinguere i versamenti solutori da quelli ripristinatori. Da tale pronuncia, è subito sorto nella pratica applicativa il problema di come la banca dovesse formulare l’eccezione di prescrizione, ovvero se dovesse contenere non solo l’allegazione dell’inerzia del titolare, ma anche delle singole rimesse operate nel corso del rapporto aventi natura solutoria. Al riguardo, si sono delineati nella giurisprudenza di legittimità due diversi orientamenti. Un primo orientamento ritiene che l’eccezione della banca con riferimento a tutte le rimesse affluite sul conto, senza indicazione di quelle aventi natura solutoria, sarebbe inammissibile. In particolare, secondo i giudici di legittimità, nel caso di formulazione generica dell’eccezione, indistintamente riferita a tutti i versamenti intervenuti sul conto, il giudice non possa supplire all’omesso assolvimento di tali oneri, individuando d’ufficio i versamenti solutori (cfr. Cass. sez. I, 26 febbraio n. 4518; Cass. sez. VI-I, 7 settembre 2017, n. 20933; Cass. sez. I, 24 maggio 2018, n. 12977; Cass 18478/2018).
A tale orientamento se ne contrappone un altro, secondo cui “non compete alla banca convenuta fornire specifica indicazione delle rimesse solutorie cui è applicabile la prescrizione”. Secondo tale orientamento, una volta che la parte convenuta abbia formulato la propria eccezione di prescrizione, compete al giudice – tramite un consulente tecnico – verificare quali rimesse siano solutorie o ripristinatorie (Cass. sez. VI-I, 22 febbraio 2018, n. 4372; Cass. n. 18144 del 10.07.2018). Tale orientamento è il frutto dell’interpretazione secondo cui sarebbe eccessivamente sproporzionato e gravoso – rispetto alla corrispettiva posizione del cliente – riconoscere tale onere in capo all’istituto di credito.
Rebus sic stantibus il Collegio ritiene di rimettere gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, ai fini della composizione del rilevato contrasto.
Sul diritto di recesso del socio di società per azioni dopo la trasformazione da società a responsabilità limitata
- Corte di Cassazione sentenza n. 28987 del 12.11.2018
Come è noto l’art. 2473 c.c. stabilisce che l’atto costitutivo delle società per azioni determina quando il socio può recedere dalla società e le relative modalità e che in ogni caso il diritto di recesso compete ai soci che non hanno consentito al cambiamento dell’oggetto o del tipo di società, alla sua fusione o scissione, alla revoca dello stato di liquidazione al trasferimento della sede all’estero alla eliminazione di una o più cause di recesso previste dall’atto costitutivo e al compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto della società determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell’articolo 2468, quarto comma. Inoltre, nel caso di società contratta a tempo indeterminato il diritto di recesso compete al socio in ogni momento e può essere esercitato con un preavviso di almeno centottanta giorni; l’atto costitutivo può prevedere un periodo di preavviso di durata maggiore purché non superiore ad un anno. Non è previsto alcun termine decadenziale, ragione per cui, nel caso di trasformazione della società e di riconoscimento del diritto di recesso al socio che non abbia partecipato alla delibera, ben può realizzarsi il recesso di tale socio il quale dovrà rispettare il solo preavviso previsto dalla legge. La sentenza che qui si commenta conferma il dato normativo e, dunque, l’assenza di un termine decadenziale per l’esercizio del diritto di recesso ma impone al socio recedente l’obbligo dell’esercizio del diritto secondo buona fede e al giudice di merito la corretta valutazione della congruità del termine entro il quale il recesso è stato in concreto esercitato. Un altro caso di diritto soggettivo assoluto che trova il suo limite nella necessità di reprimere l’abuso attraverso il contemperamento degli interessi che possono venire in considerazione.Nell’ipotesi di trasformazione di una società a responsabilità limitata in società per azioni, la disciplina del diritto di recesso applicabile ai soci è quella dettata dall’art. 2473, comma 1, c.c., che non prevede termini di decadenza; ne deriva che, ove l’atto costitutivo e lo statuto non ne determinino le modalità e i tempi, il recesso va esercitato secondo correttezza e buona fede, spettando al giudice di merito valutare le circostanze del caso concreto, in particolare con riferimento alla congruità del termine entro il quale il recesso è stato esercitato, tenendo conto della pluralità degli interessi coinvolti.
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