Le Sezioni Unite della Suprema Corte, con sentenza n. 8770 del 12 maggio 2020, hanno enunciato i principi in tema di contratti aventi ad oggetto la negoziazione su derivati :
L’“interest rate swap” è un contratto derivato, le cui caratteristiche sono: a) è “over the counter”, vale a dire ha un contenuto fondamentale non eteroregolamentato, ma deciso dalle parti sulla base delle specifiche esigenze dell’interessato; b) è non standardizzato e, quindi, non destinato alla circolazione, essendo privo del requisito della cd. negoziabilità; c) l’intermediario è in una situazione di naturale conflitto di interessi poiché, assommando le qualità di offerente e consulente, è tendenzialmente controparte del proprio cliente. Elementi essenziali di tale derivato sono la data di stipulazione, quelle di inizio di decorrenza degli interessi, di scadenza e di pagamento, nonché il capitale di riferimento (cd. nozionale) ed i diversi tassi di interesse ad esso applicabili».
«La causa dell’“interest rate swap”, per la cui individuazione non rileva la funzione di speculazione o di copertura in concreto perseguita dalle parti, non coincide con quella della scommessa, ma consiste nella negoziazione e monetizzazione di un rischio finanziario, che si forma nel relativo mercato e che può appartenere o meno alle parti, atteso che tale contratto, frutto di una tradizione giuridica diversa da quella italiana, concerne dei differenziali calcolati su flussi di denaro destinati a formarsi durante un lasso temporale più o meno lungo ed è espressione di una logica probabilistica, non avendo ad oggetto un’entità specificamente ed esattamente determinata».
«Ai fini della validità del contratto, occorre accertare se si sia in presenza di un accordo tra intermediario ed investitore sulla misura dell’alea, calcolata secondo criteri scientificamente riconosciuti ed oggettivamente condivisi dal momento che tale accordo non si può limitare al “mark to market”, ossia al costo, pari al valore effettivo del derivato ad una certa data, al quale una parte può anticipatamente chiudere tale contratto od un terzo estraneo all’operazione è disposto a subentrarvi, ma deve investire, altresì, gli scenari probabilistici e concernere la misura qualitativa e quantitativa della menzionata alea e dei costi, pur se impliciti, assumendo rilievo i parametri di calcolo delle obbligazioni pecuniarie nascenti dall’intesa, che sono determinati in funzione delle variazioni dei tassi di interesse nel tempo»
«Nel caso di contratti derivati stipulati dai Comuni, la normativa che ne aveva autorizzato la conclusione (fino al relativo divieto introdotto dalla l. n. 147 del 2013), così rendendo tipici contratti che, altrimenti, rimanevano innominati, aveva carattere eccezionale ed era di stretta interpretazione, poiché aveva consentito alla P.A. di stipulare dei contratti che, in quanto aleatori, non avrebbe potuto, di per sé, sottoscrivere. Tale normativa andava intesa, pertanto, nel senso che il riconoscimento della legittimazione dell’Amministrazione a concludere tali contratti era limitato ai derivati di copertura, con esclusione di quelli speculativi, in base al criterio del diverso grado di rischiosità di ciascuno di essi; inoltre, i contratti in esame dovevano essere stipulati con intermediari finanziari qualificati, determinandone con precisione l’oggetto, con l’indicazione del “mark to market”, degli scenari probabilistici e dei costi occulti, allo scopo di ridurre al minimo e rendere evidente all’ente ogni aspetto di aleatorietà del rapporto, in quanto tale caratteristica comporta una rilevante disarmonia nell’ambito delle regole della contabilità pubblica, perché introduttiva di variabili non compatibili con la certezza degli impegni di spesa riportati in bilancio».
“gli importi ricevuti a titolo di “upfront” rappresentano un finanziamento e vanno qualificati come indebitamento, ai fini della normativa di contabilità pubblica e dell’art. 119 Cost., anche per il periodo antecedente l’approvazione dell’art. 62, comma 9, del d.l. n. 112 del 2008, convertito, con modif., dalla l. n. 133 del 2008 e, successivamente, sostituito dall’art. 3 della l. n. 203 del 2008, che ha solo preso atto della natura di indebitamento di quanto conseguito con il detto “upfront”. Lo stesso non può dirsi della collegata operazione di “swap” che va guardata nel suo complesso, al fine di verificare se l’effetto che produce può consistere sostanzialmente in un indebitamento».
«L’autorizzazione alla conclusione di un contratto di “swap” da parte dei Comuni italiani, in particolare se del tipo con finanziamento “upfront”, ma anche in tutti quei casi nei quali la negoziazione si traduce comunque nell’estinzione dei precedenti rapporti di mutuo sottostanti ovvero nel loro mantenimento in vita, ma con rilevanti modificazioni, deve essere data, a pena di nullità, dal Consiglio comunale, ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. i), TUEL di cui al d.lgs. n. 267 del 2000, non potendosi assimilare ad un semplice atto di gestione dell’indebitamento dell’ente locale con finalità di riduzione degli oneri finanziari ad esso inerenti, di competenza della giunta comunale in virtù della sua residuale competenza gestoria ex art. 48, comma 2, dello stesso testo unico; in particolare, tale autorizzazione compete al Consiglio comunale ove l’“IRS” negoziato dal Comune incida sull’entità globale dell’indebitamento dell’ente, tenendo presente che la ristrutturazione del debito va accertata considerando l’operazione nel suo complesso, con la ricomprensione dei costi occulti che gravano sul rapporto».
COMMENTO
I principi sopra menzionati presentano una valenza di primaria importanza soprattutto nel settore pubblico tutte le volte in cui operazioni su derivati coinvolgono enti locali.
Di particolare interesse è innanzitutto il concetto espresso a chiare note dalla Corte di Cassazione circa la situazione di naturale conflitto di interessi in cui verte l’intermediario che perviene a negoziazioni di questo genere attesa la sua natura ambivalente di offerente e consulente e rimanendo del tutto irrilevante, sotto questo specifico profilo, la funzione speculativa o di copertura perseguita dalle parti. Inoltre, l’oggetto dell’accordo deve investire i possibili scenari probabilistici, concernere la misura qualitativa e quantitativa dell’alea contrattuale oltre che i costi, pur se impliciti, delle operazioni: Tali elementi si caratterizzano come i parametri di calcolo delle obbligazioni pecuniarie nascenti dall’intesa e variano a seconda dei tassi di interesse nel tempo. In questa ottica le Sezioni Unite hanno definitivamente affermato che la normativa che aveva autorizzato i Comuni italiani a concludere degli IRS, fino al relativo divieto introdotto dalla l. n. 147 del 2013, aveva carattere eccezionale ed era di stretta interpretazione, poiché aveva consentito alla P.A. di stipulare dei contratti che, in quanto aleatori, non avrebbe potuto, di per sé, sottoscrivere. Tale normativa andava intesa, pertanto, nel senso che il riconoscimento della legittimazione dell’Amministrazione a concludere i contratti di tal genere era limitato ai derivati di copertura, con esclusione di quelli speculativi. Hanno ulteriormente chiarito che gli importi ricevuti dagli enti pubblici a titolo di upfront rappresentano un finanziamento e vanno qualificati come indebitamento, ai fini della normativa di contabilità pubblica e dell’art. 119 Cost., anche per il periodo antecedente l’approvazione dell’art. 62, comma 9, del d.l. n. 112 del 2008, convertito, con modif., dalla l. n. 133 del 2008 e, successivamente, sostituito dall’art. 3 della l. n. 203 del 2008.
Dai contratti di derivati fino a questo momento valutati la Corte di cassazione ha isolato i contratti di swap, definiti dalla giurisprudenza come quei contratti caratterizzati da alea simmetrica, con i quali due soggetti si impegnano a scambiare periodicamente flussi di cassa, calcolati applicando al medesimo capitale (c.d. “nozionale”) due diversi parametri riferiti a due diverse variabili di mercato. In questi casi la Corte di legittimità ha ritenuto che operazioni esecutive di accordi di tal genere dovessero andare guardati nel loro complesso onde verificare, in concreto, se l’indebitamento si fosse effettivamente verificato.
Infine, la Corte di cassazione ha precisato che l’autorizzazione alla conclusione di un contratto di swap da parte dei Comuni italiani, soprattutto se del tipo con finanziamento upfront, ma anche in tutti quei casi nei quali la negoziazione si traduce, comunque, nell’estinzione dei precedenti rapporti di mutuo sottostanti ovvero nel loro mantenimento in vita, ma con rilevanti modificazioni, deve essere data, a pena di nullità, dal Consiglio comunale, ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. i), TUEL di cui al d.lgs. n. 267 del 2000, non potendosi assimilare ad un semplice atto di gestione dell’indebitamento dell’ente locale con finalità di riduzione degli oneri finanziari ad esso inerenti, di competenza della giunta comunale; in particolare, tale autorizzazione compete al Consiglio comunale ove l’IRS negoziato dal Comune incida sull’entità globale dell’indebitamento dell’ente e la ristrutturazione del debito va accertata considerando l’operazione nel suo complesso, con la ricomprensione dei costi occulti che gravano sul rapporto.
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