Il rapporto giuridico si svolge tra soggetti titolari di situazioni giuridiche soggettive attive e passive.
I soggetti giuridici possono essere sia persone fisiche che persone giuridiche.
La capacità giuridica intesa come idoneità a divenire titolare di diritti e di doveri si acquista con la nascita. (art. 1 c.c.) e si perde con la morte che viene accertata dall’ufficiale di stato civile nelle 24 ore successive al decesso. La capacità giuridica cosituisce un diritto irrinunciabile ed è protetta da una norma di rango costituzionale prevista all’art. 22 della nostra Carta Costituzionale. In alcni casi alla nascita devono aggiungersi altri requisiti come il raggiungimento del sedicesimo anno di età per potersi sposare o al diciottesimo per poter fare testamento. Esistono alcune incapacità speciali (assolute o relative) che precludono al soggetto per legge un dato tipo di rapporto, come ad esempio quelle derivanti dalla legislazione penale in conseguenza dell”applicazione di alcune pene accessorie (esempio: interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche)
La legge riconosce eccezionalmente alcuni diritti al nascituro e al nascituro concepito subordinandoli alla realizzazione dell’evento nascita. In particolare l’art. 462 c.c. riconosce la capacità di succedere al concepito e l’art. 784 c.c. gli riconosce la capacità di essere beneficiario di una donazione
Vi è un acceso dibattito dottrinario e giurisprudenziale circa la natura giuridica di tali capacità, se cioè si tratti di una capacità condizionata o al contrario si tratti solo di una tutela prevista dalla legge.
A riguardo si sono susseguite alcune massime giurisprudenziali che, rifacendosi alla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, hanno riconosciuto al concepito nascituro diritti personali fondamentali quali il diritto a nascere sano o a non nascere se non sano.
Secondo Cass. civ., Sez. I, 08/08/2014, n. 17811 il nostro ordinamento riconosce espressamente al concepito la possibilità di divenire titolare di diritti per i quali devono essere previste specifiche forme di tutela del nascituro; in particolare, la L. n. 40 del 2004, il cui capo 3° contiene “Disposizioni concernenti la tutela del nascituro” e la L. n. 405 del 1975, che attribuisce al nascituro la tutela del diritto alla salute riconosciuto dall’art. 32 Cost. Inoltre analogo riconoscimento è intervenuto ad opera della giurisprudenza di Cassazione che, nell’affrontare i prospettati profili risarcitori, ha reiteratamente ritenuto meritevole di accoglimento la domanda di danno proposta da soggetto non ancora nato alla data della commissione dell’illecito. Deve dunque concludersi sul punto che anche al nascituro deve essere riconosciuta l’attitudine ad essere titolare di diritti, e pertanto la sua legittimazione sostanziale in relazione ad atti di disposizione del fondo patrimoniale.
Tale pronuncia ha avuto conforto in Cass. Unite 22 dicembre 2015 n. 25767 che, ponendo fine al contrasto giurisprudenziale appena descritto, ha riconosciuto al nascituro l’esistenza di una tutela specifica una volta venuto in esistenza escludendo che tale sistuazione giuridica soggettiva potesse configurare l’esistenza di una capacità giuridica subordinata e così configurando il danno da da vita prenatale. Così testualmente:
Nucleo centrale della disamina è quello della legittimazione ad agire di chi, al momento della condotta del medico (in ipotesi, antigiuridica), non era ancora soggetto di diritto, alla luce del principio consacrato all’art. 1 c.c. (“La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita”), conforme ad un pensiero giuridico plurisecolare. Natura eccezionale, a questa stregua, rivestirebbero le norme che riconoscono diritti in favore del nascituro, concepito o non concepito, subordinati all’evento della nascita (ibidem, secondo comma): quale deroga al principio generale secondo cui non può reclamare un diritto chi, alla data della sua genesi, non era ancora esistente (artt. 254, 320, 462, 784), o non era più (arg. ex art. 4 c.c.). Di qui la definizione, nella fattispecie in esame, di diritto adespota, la cui configurazione riuscirebbe, “prima facie” in contrasto con il principio generale sopra richiamato. L’argomento, apparentemente preclusivo in limine, non si palesa, peraltro, insuperabile; e di fatto è stato superato da quella giurisprudenza di legittimità che ha opposto che il diritto al risarcimento, originato da fatto anteriore alla nascita, diventa attuale ed azionabile dopo la nascita del soggetto.E’ vero, in tesi generale, che l’attribuzione di soggettività giuridica è appannaggio del solo legislatore, e che la c.d. giurisprudenza normativa, talvolta evocata quale fonte concorrente di diritto, violerebbe il principio costituzionale di separazione dei poteri ove non si contenesse all’interno dei limiti ben definiti di clausole generali previste nella stessa legge, espressive di valori dell’ordinamento (buona fede, solidarietà, ecc.): eventualmente riesumando la dicotomia storica tra giurisprudenza degli interessi (Interessenjurisprudenz), di ispirazione evolutiva, e giurisprudenza dei concetti (Begriffsjurisprudenz), di natura statica: entrambe, peraltro, storicamente ancorate ad una concezione positivistica del diritto. Ma in realtà non è punto indispensabile elevare il nascituro a soggetto di diritto, dotato di capacità giuridica – contro il chiaro dettato dell’art. 1 c.c. – per confermare l’astratta legittimazione del figlio disabile ad agire per il risarcimento di un danno le cui premesse fattuali siano collocabile in epoca anteriore alla sua stessa nascita. Al fondo di tale ricostruzione dogmatica vi è, infatti, il convincimento tradizionale, da tempo sottoposto a revisione critica, che per proteggere una certa entità occorra necessariamente qualificarla come soggetto di diritto. Questa Corte ha già da tempo negato, pur se in ipotesi di danno provocato al feto durante il parto, che l’esclusione del diritto ai risarcimento possa affermarsi su solo presupposto che il fatto colposo si sia verificato anteriormente alla nascita: definendo erronea la concezione che, a tal fine, ritiene necessaria la sussistenza di un rapporto intersoggettivo ab origine tra danneggiante e danneggiato. Ed ha concluso che, una volta accertata l’esistenza di un rapporto di causalità tra un comportamento colposo, anche se anteriore alla nascita, ed il danno che ne sia derivato al soggetto che con la nascita abbia acquistato la personalità giuridica, sorge e dev’essere riconosciuto in capo a quest’ultimo il diritto al risarcimento (Cass., sez. 3, 22 novembre 1993, n. 11503).
Tuttavia. sempre la Suprema Corte nella sentenza appena annotata, pur riconoscendo l’astratta titolarità attiva dell’individuo nel caso in cui l’illecito si sia realizzato prima della nascita, ha escluso la configurabilità nel nostro ordinamento del diritto del nascituro a chiedere al medico il danno da vita ingiusta perchè l’ordinamento ignora il didirtto a non nascere se non sano e, comunque, non sussiste, un nesso eziologico tra la condotta omissiva del sanitarioe le sofferenze psicofisiche cui il nascituro è destinato nel corso della sua vita.
La situazione giuridica sopra descritta va tenuta ben distinta dal danno da nascita indesiderata il cui diritto risarcitorio deve essere riconosciuto ai genitori del nascituro (e segnatamente alla madre) nell’ipotesi in cui, per errore medico non sia stata fatta una corretta diagnosi durante il periodo della vita prenatale. Infatti secondo Cass. civ., Sez. III, Sentenza, 31/01/2023 in tema di responsabilità del medico per omessa diagnosi di malformazione del feto, i danni risarcibili in conseguenza della lesione del diritto all’autodeterminazione della gestante non si limitano a quelli correlati alla nascita indesiderata, estendendosi anche a quelli connessi alla perdita della possibilità di predisporsi ad affrontare consapevolmente tale nascita (quali, ad es., il ricorso, per tempo, ad una psicoterapia o la tempestiva organizzazione della vita in modo compatibile con le future esigenze di cura del figlio).
Scrivi un commento
Devi accedere, per commentare.