L’ADUNANZA PLENARIA del Consiglio di Stato con sentenza 26 aprile 2018 ha enunciato, su ordinanza di rimessione del Consiglio di Stato del 7 novembre 2017 n. 5138, i seguenti principi di diritto:
- Sul potere del Consiglio di Stato di rilevare di ufficio la carenza delle condizioni legali per la proposizione dell’azione, l’Adunanza ha ribadito l’esistenza di tale potere d’ufficio pur in presenza di un possibile contrasto nel codice del processo amministrativo fra l’art. 9 c.p.a. e l’art. 35 c.p.a. Infatti l’art. 9 c.p.a. stabilisce che nei giudizi di impugnazione il difetto di giurisdizione è rilevato dal giudice solo se dedotto con specifico motivo di ricorso avverso un capo implicito o esplicito della sentenza impugnata, ragione per cui, in difetto di esplicita censura, si sarebbe potuto ritenere essersi realizzato un giudicato implicito sulla questione non altrimenti rimuovibile dal giudice amministrativo di secondo grado. In realtà l’Adunanza plenaria ha ritenuto che la portata del precetto contenuto nell’art. 35 c.p.a, che, come è noto, permette al giudice dell’impugnazione di conoscere d’ufficio della tardività del ricorso e dell’insussistenza dei suoi presupposti, è di carattere generale e si applica conseguentemente anche ai giudizi di impugnazione, con l’unica eccezione di quanto stabilito dall’art. 9 c.p.a che. costituendo una sostanziale deroga ai principi generali, trova una sua diversa collocazione sistematica.
- Sull’onere di immediata impugnazione delle clausole non escludenti del bando di gara e sulla legittimazione a ricorrere dell’operatore economico non partecipante alla procedura l’Adunanza plenaria ha ritenuto di escludere la legittimazione di tali soggetti perché privi di interesse ad agire. I giudici hanno, in particolare, ritenuto che. ove non venga dedotta una lesione personale diretta, concreta e attuale tale da determinare l’utilità di un provvedimento favorevole, non vi sia spazio per consentire il ricorso alla diretta impugnazione del bando di gara.
Così testualmente l’Adunanza Plenaria:
Sul punto 1:
“ La circostanza che la questione di giurisdizione, nei gradi successivi al primo, sia stata ricondotta al potere dispositivo delle parti ex art. 112 cpc e sottratta al rilievo d’ufficio del giudice, si spiega quindi:
a) con una precisa volontà legislativa in tal senso, anticipata, come prima chiarito, per via giurisprudenziale;
b) con la considerazione che tale contenuta tempistica del rilievo officioso della questione non pregiudica in alcun modo le parti e consente che nei tempi più celeri venga individuato il giudice fornito di giurisdizione;
c) con la constatazione che – a tutto concedere – il formarsi del giudicato implicito a cagione dell’inerzia delle parti e dell’omesso rilievo officioso del giudice di primo grado conduce ad una soluzione (quella che sulla controversia si pronunci un plesso sfornito di giurisdizione) certamente sconsigliabile, ma comunque non produttiva di conseguenze “contra ius”: al contrario, precludere al giudice di appello il rilievo officioso dell’assenza dei presupposti processuali o delle condizioni dell’azione condurrebbe a conseguenze negative sul piano del diritto sostanziale (esemplificativamente: la delibazione di un ricorso certamente tardivo, ovvero proposto da un soggetto non legittimato, etc).
14.6. Alla stregua di tali considerazioni, e considerato l’univoco tenore letterale degli artt. 9, 35 e 104 del c.p.a. prima citati, ritiene l’Adunanza plenaria che debba fornirsi risposta positiva al quesito concernente la permanente possibilità per il giudice di appello di rilevare ex officio la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per la proposizione del ricorso di primo grado in carenza di pronuncia del giudice di primo grado, sul punto.”
Sul punto 2:
“In sostanza, – e con il conforto della maggioritaria dottrina- la possibilità di impugnare immediatamente il bando di gara, senza la preventiva presentazione della domanda di partecipazione alla procedura, è stata configurata quale eccezione alla regola in base alla quale i bandi di gara possono essere impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, in quanto solo in tale momento diventa attuale e concreta la lesione della situazione giuridica soggettiva dell’interessato. Pertanto, il rapporto tra impugnabilità immediata e non impugnabilità immediata del bando è traducibile nel giudizio di relazione esistente tra eccezione e regola. L’eccezione riguarda i bandi che sono idonei a generare una lesione immediata e diretta della posizione dell’interessato. La ratio sottesa a tale orientamento deve essere individuata nell’ esigenza di garantire la massima partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica e la massima apertura del mercato dei contratti pubblici agli operatori dei diversi settori, muovendo dalla consapevolezza che la conseguenza dell’immediata contestazione si traduce nell’impossibilità di rilevare il vizio in un momento successivo….
19.3.13. Quanto sinora esposto consente a questa Adunanza plenaria di ribadire che, anche con riferimento al vigente quadro legislativo, debba trovare persistente applicazione l’orientamento secondo il quale le clausole non escludenti del bando vadano impugnate unitamente al provvedimento che rende attuale la lesione (id est: aggiudicazione a terzi), considerato altresì che la postergazione della tutela avverso le clausole non escludenti del bando, al momento successivo ed eventuale della denegata aggiudicazione, secondo quanto già stabilito dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 1 del 2003, non si pone certamente in contrasto con il principio di concorrenza di matrice europea, perché non lo oblitera, ma lo adatta alla realtà dell’incedere del procedimento nella sua connessione con i tempi del processo.
Conclusivamente, l’Adunanza Plenaria enuncia i principi di diritto che seguono:
I) sussiste il potere del Giudice di appello di rilevare ex officio la esistenza dei presupposti e delle condizioni per la proposizione del ricorso di primo grado (con particolare riguardo alla condizione rappresentata dalla tempestività del ricorso medesimo), non potendo ritenersi che sul punto si possa formare un giudicato implicito, preclusivo alla deduzione officiosa della questione;
II) le clausole del bando di gara che non rivestano portata escludente devono essere impugnate unitamente al provvedimento lesivo e possono essere impugnate unicamente dall’operatore economico che abbia partecipato alla gara o manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura.
La CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONI UNITE CIVILI con SENTENZA 20 ottobre 2017, n. 24877 ha ritenuto sussistente la giurisdizione ordinaria in materia di incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni anche in presenza di atti di macro-organizzazione.
La sentenza in argomento è stata resa in merito al riparto di giurisdizione in materia di pubblico impiego. Il caso riguardava l’impugnativa di un componente della VI Commissione consiliare avverso i decreti con cui il Presidente della Regione Lazio aveva nominato il direttore generale e i vice direttori generali dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale del Lazio (ARPA).
Il giudice amministrativo di secondo cure aveva ritenuto che le nomine dirigenziali oggetto di impugnativa non siano da ritenersi atti di alta amministrazione, ma atti gestori di rapporti lavorativi la cui cognizione è demandata al giudice ordinario ex art. 63, comma 1, d.lgs. n. 165 del 2001. La Corte di Cassazione, respingendo il ricorso del Consigliere regionale che, affidandosi ad un unico articolato motivo, aveva denunciato erronea e falsa applicazione degli artt. degli artt. 19 e 63 d.lgs. n. 165 del 2001 e degli artt. 30, comma 3, 32 e 33, comma 1, lett. c) e 55, comma 3, dello Statuto della Regione Lazio, nonché ancora degli artt. 7, comma 1, lett. a) e 62 del regolamento regionale n. 1 del 2002, lo ha ritenuto infondato non ravvisando la giurisdizione del giudice amministrativo ma di quello ordinario.
In primo luogo, la Corte ha osservato che denunciare una lesione di prerogative previste per gli organi rappresentativi da norme di rango costituzionale – nella specie, peraltro, non ravvisabili – non consente di per sé di attribuire la giurisdizione al giudice amministrativo anziché a quello ordinario.
Le S.U. hanno poi ritenuto che (i) l’impugnativa proposta non rientrasse nel novero delle materie tassativamente devolute al giudice amministrativo e che (ii) doveva considerarsi del tutto irrilevante il fatto che gli atti di nomina fossero conclusivi di un procedimento di macro-organizzazione. Sotto quest’ultimo aspetto, secondo le S.U., deve considerarsi sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo nelle sole ipotesi in cui la causa abbia ad oggetto la diretta impugnazione degli atti di macro-organizzazione affetti da vizi di legittimità, non potendosi ritenere tali gli atti in parola qualificabili alla stregua di atti gestori e non anche di alta amministrazione.
Così testualmente le S.U.
“in tutti i casi nei quali vengano in considerazione atti amministrativi presupposti, ove si verta in tema di conferimento e revoca di incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni, è consentita esclusivamente l’instaurazione del giudizio davanti al giudice ordinario, nel quale la tutela è pienamente assicurata dall’eventuale disapplicazione (dell’atto presupposto) e dagli ampi poteri riconosciuti al giudice ordinario medesimo dal comma 2 dello stesso art. 63 (cfr., ancora, Cass. S.U. n. 3677/09 e Cass. S.U. n. 13169/06)”. A maggior ragione ciò valga quando non venga neppure in rilievo la potenziale disapplicazione d’un atto amministrativo presupposto (come nel caso di specie, in cui – invece – dell’atto presupposto si invoca la piena applicazione)”…
“nondimeno va considerato che, avendo l’art. 63, comma 1, d.lgs. n. 165 del 2001 espressamente attribuito alla giurisdizione del giudice ordinario anche le controversie in tema di conferimento e revoca di incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni, ormai tali atti sono da considerarsi come mere determinazioni negoziali (cfr. Cass. n. 18972/15; Cass. n. 20979/09) e non più atti di alta amministrazione, venendo in tal caso in considerazione come atti di gestione del rapporto di lavoro rispetto ai quali l’amministrazione stessa opera con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro (v. art. 5 cit. d.lgs.)”.
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