Le fonti secondarie di diritto amministrativo sono dotate di forza attiva e passiva minore di quella della legge e sono qualificate da un rapporto con le fonti primarie coerenti con il principio di legalità che comporta la necessarietà di un’attribuzione legislativa del potere regolamentare nonché di una subordinazione del regolamento alla legge idoneo a costituirne parametro di legittimità.
Le fonti secondarie non devono essere contrarie alla legge e trovano la propria legittimazione proprio nella legge da cui promana il loro potere normativo. Sotto tale profilo il principio di legalità assume valore sostanziale: la legge deve tendere ad individuare gli interessi da realizzare in via prioritaria e fissare i principi cui la normazione regolamentare deve attenersi.
Il principio di legalità va inteso poi come riserva di legge perchè nelle materie coperte da riserva assoluta di legge il potere regolamentare non è in assoluto esercitabile.
Il principio di subordinazione del regolamento alla legge è codificato all’art 1 disp prel c.c. nonché nella disciplina generale dell’esercizio del potere regolamentare, ex art 17 L 400/88.
Ai sensi dell’art 17 L 400/88: “. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato che deve pronunziarsi entro novanta giorni dalla richiesta, possono essere emanati regolamenti per disciplinare:
a) l’esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi nonché dei regolamenti comunitari; (r. esecutivi)
b) l’attuazione e l’integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio, esclusi quelli relativi a materie riservate alla competenza regionale; (r. attuativi e integrativi)
c) le materie in cui manchi la disciplina da parte di leggi o di atti aventi forza di legge, sempre che non si tratti di materie comunque riservate alla legge; (r. indipendenti)
d) l’organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge; (r. di organizzazione)
Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l’esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l’abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall’entrata in vigore delle norme regolamentari. (r. di delegificazione)
Con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del ministro o di autorità sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere.
Tali regolamenti, per materie di competenza di più ministri, possono essere adottati con decreti interministeriali, ferma restando la necessità di apposita autorizzazione da parte della legge. I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione. (r. ministeriali e interministeriali) .I regolamenti di cui al comma 1 ed i regolamenti ministeriali ed interministeriali, che devono recare la denominazione di “regolamento”, sono adottati previo parere del Consiglio di Stato, sottoposti al visto ed alla registrazione della Corte dei conti e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale.
L’organizzazione e la disciplina degli uffici dei Ministeri sono determinate, con regolamenti emanati ai sensi del comma 2, su proposta del Ministro competente d’intesa con il Presidente del Consiglio dei ministri e con il Ministro del tesoro, nel rispetto dei principi posti dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, con i contenuti e con l’osservanza dei criteri che seguono:
a) riordino degli uffici di diretta collaborazione con i Ministri ed i Sottosegretari di Stato, stabilendo che tali uffici hanno esclusive competenze di supporto dell’organo di direzione politica e di raccordo tra questo e l’amministrazione;
b) individuazione degli uffici di livello dirigenziale generale, centrali e periferici, mediante diversificazione tra strutture con funzioni finali e con funzioni strumentali e loro organizzazione per funzioni omogenee e secondo criteri di flessibilità eliminando le duplicazioni funzionali;
c) previsione di strumenti di verifica periodica dell’organizzazione e dei risultati;
d) indicazione e revisione periodica della consistenza delle piante organiche;
e) previsione di decreti ministeriali di natura non regolamentare per la definizione dei compiti delle unità dirigenziali nell’ambito degli uffici dirigenziali generali (r. per organizzazione e disciplina degli uffici dei ministeri)”.
Il regolamento è un atto formalmente amministrativo, perché emanato da un organo amministrativo, ma sostanzialmente normativo. E per il suo contenuto è considerato fonte secondaria del diritto: nella qualificazione dell’atto prevale la sostanza sulla forma. I regolamenti disciplinano in astratto dei rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, pur rimanendo però innovativa; lo fanno con precetti astratti e generali, essendo questi ultimi ripetibili nel tempo e non essendo determinabili i soggetti cui si riferiscono.
Al regolamento si contrappone l’atto amministrativo generale a contenuto non normativo. Entrambi provengono da un organo amministrativo, però mentre il regolamento è per il suo contenuto un atto normativo, l’atto amministrativo generale è per il suo contenuto un atto amministrativo. Si ha un regolamento quando la potestà affidata alla pubblica amministrazione comporta la produzione di norme generali e astratte; si ha invece un atto amministrativo generale quando la potestà esprime una scelta di carattere essenzialmente tecnico, con cui l’amministrazione persegue la cura degli interessi pubblici ad essa affidati dalla legge. L’atto amministrativo generale non pone una disciplina generale e astratta e non innova l’ordinamento.
La distinzione tra regolamento e atto amministrativo generale però in concreto non è facilmente inquadrabile, come dimostra la difficoltà di inquadramento di fattispecie come i piani regolatori generali, provvedimenti di determinazione di prezzi o tariffe e bandi di gara.
In base al criterio normativo, la giurisprudenza ha negato che il bando di gara abbia carattere normativo perché in esso difettano sia l’elemento dell’innovatività che quello dell’astrattezza; il bando regolamenta una specifica procedura selettiva ed esaurisce la propria efficacia con la conclusione della procedura ad evidenza pubblica. Secondo Cons. Stato, Sez. V, 06/05/2022, n. 3561 le regole contenute nel bando di gara vincolano rigidamente l’operato dell’amministrazione procedente, la quale è obbligata alla loro applicazione senza alcun margine di discrezionalità per preservare i principi di affidamento e di parità di trattamento tra i concorrenti che sarebbero pregiudicati ove si consentisse di modificare le regole (o anche disapplicarle) a seconda delle varie condizioni dei partecipanti.
I piani regolatori generali hanno la funzione di pianificare il territorio in via generale e astratta. Per questo motivo taluno li inquadrava nell’ambito degli atti normativi. Non si spiegava però l’esistenza all’interno di questi piani di normative prive dei caratteri della generalità e dell’astrattezza. Si è propeso per la tesi della natura di atto misto del piano regolatore generale, che contiene sia prescrizioni amministrativo che normative. Segnatamente, si riconosce carattere normativo alle statuizioni concernenti tipologie e standard urbanistici, mentre si attribuisce valore amministrativo alle prescrizioni relative alle localizzazioni e alle zonizzazioni.
I regolamenti delle Autorità amministrative indipendenti si collocano in posizione sub primaria e costituiscono il prodotto normativo indipendente di soggetti estranei, per statuto costitutivo, al circuito politico parlamentare. Non sempre però la legge prevede i criteri direttivi che l’organo amministrativo deve osservare nell’emanazione dei propri regolamenti (delega in bianco). Questo ha posto in dubbio la legittimità di tali regolamenti per violazione del principio di legalità sostanziale. I settori in cui operano le autorità indipendenti presentano caratteristiche tecniche ed economiche ad alto tasso di complessità, oltre ad essere soggetti a rapide evoluzioni tali da determinare la necessità di una maggiore rapidità nell’adeguare le regole alle esigenze del mercato.
La dequotazione del valore della legalità sostanziale viene in tal caso compensata però con un rafforzamento della legalità procedurale, sotto forma di garanzia del contraddittorio. È prevista infatti una procedura di consultazione preventiva, volta a raccogliere il contributo informativo e valutativo dei soggetti vigilati (legittimazione dal basso) e un obbligo di motivazione delle scelte operate nell’emanazione del regolamento che consente il controllo in sede giurisdizionale sulle modalità di esercizio del potere normativo (v.di L 262/2005).
le fonti secondarie del diritto, a differenza degli atti amministrativi generali, soggiacciono al principio iura novit curia, essendo il giudice tenuto a conoscerle e potendo conoscerle incidentalmente; in ogni caso la loro violazione comporta il vizio della violazione di legge cui consegue l’applicabilità del ricorso in cassazione ex art 360 n 3 cpc.. Sia gli atti normativi che quelli amministrativo però sono sottratti all’obbligo di motivazione sancito per ogni provvedimento amministrativo; inoltre non si applicano le disposizioni sulla partecipazione procedimentale ex L 241/90 previste per gli atti amministrativi. L’atto generale, rivolgendosi a destinatari non determinati, di regola non è lesivo di posizioni giuridiche soggettive (volizione preliminare). Per questo sia per il regolamento che per l’atto amministrativo la legittimazione ad impugnare sorge solo in conseguenza dell’atto applicativo. Dunque, non sono impugnabili immediatamente, ma solo unitamente all’atto applicativo che rende attuale e concreta la lesione, radicando l’interesse ad agire.
Il termine di impugnazione inizia a decorrere insieme al termine per impugnare l’atto applicativo. In alcuni casi, però, è possibile individuare soggetti maggiormente qualificati in quanto destinatari finali dei precetti contenuti nel regolamento o nell’atto amministrativo generale (volizione azione). In tal caso gli atti saranno immediatamente precettivi e direttamente lesivi, e quindi immediatamente impugnabili. In questo caso, il soggetto non ha la facoltà di impugnare autonomamente l’atto, ma ha l’onere di farlo, essendogli altrimenti preclusa anche l’impugnazione degli atti applicativi, laddove questi ultimi siano impugnati non per vizi propri ma per vizi mutuati dall’atto generale.
Per la giurisprudenza amministrativa, l’annullamento dell’atto generale ha efficacia erga omnes, poiché il vizio che inficia l’atto nel suo procedimento formativo o nel suo elemento di generalità comporta necessariamente la rimozione integrale dello stesso.
La disapplicazione del regolamento è ammessa sia quando il provvedimento impugnato sia contrastante con il regolamento (RAPPORTO DI ANTIPATIA) sia quando il provvedimento impugnato sia conforme al presupposto atto normativo (RAPPORTO DI SIMPATIA). Nel primo caso il giudice, disapplicando il regolamento illegittimo, accerta la conformità del provvedimento alla legge (altrimenti si avrebbe il paradosso che il giudice sarebbe costretto ad annullare un provvedimento conforme alla legge). Nel secondo caso il provvedimento mutua il vizio del regolamento, essendo entrambi violativi di legge. Se il giudice non potesse disapplicare il regolamento, dovrebbe dichiarare valido il provvedimento.
La disapplicazione del regolamento si fonda sul principio di gerarchia delle fonti, sul principio iura novit curia. Da ciò discende che quando il regolamento non è immediatamente lesivo è sufficiente impugnare l‘atto esecutivo per far valere l’illegittimità del regolamento, ma non è necessaria l’impugnazione di quest’ultimo. Il regolamento, se riconosciuto illegittimo, viene disapplicato incidenter tantum nel caso deciso e considerato tamquam non esset. In tal caso però non si avrà l’estinzione del regolamento, ma solo la sua disapplicazione nella controversia specifica.
La disapplicazione dell’atto amministrativo generale è consentita solo nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in cui si faccia questione di diritti soggettivi. Ciò si desume dall’art 5 LAC che riconosce al giudice ordinario il potere di disapplicare l’atto amministrativo nelle controversie aventi ad oggetto diritti soggettivi. Eguale potere deve riconoscersi al giudice amministrativo.
Giurisprudenza
Secondo Corte dei Conti Campania, Sez. contr., Delibera, 28/06/2023, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che esso ha evidente carattere di atto amministrativo generale a contenuto programmatorio, natura valorizzata al fine d’escludere, ex art. 13, L. n. 241/1990, l’applicabilità allo stesso delle norme in tema di partecipazione procedimentale di cui al Capo III della medesima legge. Gli atti de quibus sono frutto di scelte che, quindi, sono caratterizzate da un amplissimo margine di discrezionalità e possono essere sindacate dal giudice amministrativo solo per manifesta irragionevolezza, arbitrarietà o palese travisamento dei fatti.
Secondo Cons. giust. amm. Sicilia, 03/11/2022, n. 1140 : ai sensi dell’art. 3, comma 2, della L. n. 241 del 1990, la motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli di contenuto generale (tranne casi individuati dalla giurisprudenza, nei quali è esigibile una specifica motivazione i ragione della immediata e diretta incidenza su specifiche posizioni giuridiche), sicché l’onere di motivazione gravante sull’Amministrazione in sede di adozione degli stessi risulta soddisfatto con l’indicazione dei profili generali e dei criteri che sorreggono le scelte predette, senza necessità di una motivazione puntuale.
Secondo Cons. Stato, Sez. IV, 08/09/2023, la delibera di approvazione del regolamento urbanistico edilizio (RUE) – a prescindere dalla natura di atto “generale” di quest’ultimo – costituendo una variante specifica dello strumento urbanistico, deve necessariamente essere oggetto di notifica individuale ai proprietari dei terreni incisi dalle sue prescrizioni e, in mancanza di tale adempimento, poteva essere impugnata dagli interessati in ogni tempo, a prescindere dalla scadenza del termine di 60 giorni dall’avviso di pubblicazione sul BUR. (Conferma T.A.R. Emilia Romagna n. 433 del 6 aprile 2016.)
Secondo Cass. civ., Sez. V, 14/07/2023, n. 20218 la sostituzione dell’imposta comunale sulla pubblicità (ICP) con il canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari (CIMP), postula l’imprescindibile emanazione di un apposito regolamento dal contenuto conforme ai criteri previsti del citato art. 62, comma 2, D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, la cui carenza non può essere supplita dall’eventuale approvazione del piano generale degli impianti pubblicitari (atto generale non normativo, con funzione autonoma e distinta dal regolamento), nonostante la previsione in esso contenuta (quindi, con valore meramente programmatico della relativa istituzione) dell’entrata in vigore del canone sostitutivo (nella specie, con decorrenza dal 1° gennaio 2002). Ne discende che, in difetto di regolamento adottato ai sensi del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 52, l’ICP continua a trovare applicazione (nella specie, anche dopo il 1° gennaio 2002) secondo le tariffe vigenti ratione temporis.
Secondo T.A.R. Veneto Venezia, Sez. II, 13/07/2023, n. 1042 Il Piano di alienazioni e valorizzazioni, costituendo un atto generale di natura programmatoria, non richiede una particolare motivazione ed è frutto di scelte che scaturiscono da apprezzamenti di merito e che, quindi, sono caratterizzate da un amplissimo margine di discrezionalità, con la conseguenza che le scelte in questione debbono essere considerate sottratte al sindacato del giudice amministrativo, con l’unica eccezione dei casi in cui le stesse risultino inficiate da manifesta irragionevolezza, arbitrarietà e/o palese travisamento dei presupposti.
Secondo T.A.R. Lazio Roma, Sez. II, 03/05/2023, n. 7553, in tema di prestazioni patrimoniali imposte aventi natura tributaria, ai fini del riparto della giurisdizione occorre distinguere tra l’impugnativa di atti generali (o a contenuto normativo), che fissano i criteri per la determinazione delle prestazioni pecuniarie, e l’impugnazione di concreti provvedimenti con i quali l’amministrazione determina l’ammontare della prestazione e/o ne impone l’esecuzione, atteso che nel primo caso gli atti costituiscono espressione di potestà discrezionale e incidono su posizioni di interesse legittimo tutelabili dinanzi al giudice amministrativo laddove si denuncino i vizi tipici previsti dalla L. n. 1034 del 1971, artt. 2 e ss.
Secondo T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. I, 24/04/2023, n. 373, in sede di revisione della pianta organica delle sedi farmaceutiche non incombe sull’Amministrazione l’obbligo di motivare sulle osservazioni presentate spontaneamente dai privati nel corso del procedimento, in quanto trattasi di procedimento diretto alla emanazione di un atto generale di pianificazione, e come tale sottratto alla disciplina degli art. 7 ss. L. n. 241/1990 in virtù di quanto espressamente previsto dall’art. 13 della L. n. 241/1990, che esclude l’applicazione delle norme sul procedimento amministrativo in caso di attività amministrative dirette all’emanazione di atti di pianificazione, tra i quali rientrano anche i piani delle farmacie.
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