Con la legge n. 4 del 2018, il legislatore italiano ha approvato una legge che mira a offrire sostegno agli orfani per crimini domestici. Per orfani s’intendono quei figli delle madri uccise per mano del padre o da una persona cui la stessa era legata da una relazione familiare o affettiva.
Per comprendere meglio questa realtà, va, anzitutto, osservato che la chiave di lettura di questo dramma rimanda all’origine del dramma stesso: il c.d. “femminicidio” che vede al centro la donna come vittima di condotte violente esercitate da un soggetto maschile in danno alla stessa in quanto tale.
Negli ultimi anni, in Italia, si sono registrati numerosi casi di omicidio di donne che hanno portato il legislatore ad intervenire con la l. n. 119 del 2013 per contrastare la violenza di genere e quella domestica. Quest’ultima, in particolare, sussiste allorché si pongono in essere uno o più atti gravi o comunque non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica all’interno della famiglia o del nucleo familiare, tra le persone legate, attualmente o in passato, da un vincolo di matrimonio o da una relazione affettiva, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima.
Occorre, preliminarmente, osservare che l’allarme sociale del fenomeno in questione è provenuto dal legislatore europeo, attraverso l’adozione del primo strumento giuridicamente vincolante per gli stati membri volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza. Il riferimento è alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e della violenza domestica, adottata il 7.4.2011 a Istanbul e ratificata dall’Italia con legge n. 77/2013.
La Convenzione interviene, nel dettaglio, nell’ambito della violenza domestica che non colpisce solo le donne ma anche altri soggetti, ad esempio bambini e anziani, ai quali altrettanto si applicano le medesime norme di tutela.
Dalla normativa sovranazionale, il legislatore interno è intervenuto con la legge n. 4 del 2018 di tutela dei minori in modo più articolato di quanto non lo avesse fatto fin qui con la l. n. 119 del 2013. Con quest’ultima legge veniva introdotto il comma 11 quinquies, all’art 61 c.p, che prevedeva un’aggravante della pena base fino a un terzo per chi, nei delitti colposi contro la vita e l’incolumità individuale, contro la libertà personale nonché nel delitto di maltrattamenti con familiari e conviventi, di cui all’art. 572 c.p., ha commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di una donna in stato di gravidanza, ma che nulla aveva predisposto per i minori vittime di femminicidio.
Pertanto, è stato posto al centro della riflessione della “violenza assistita” la situazione del minore che assiste appunto a quelle condotte di violenza fisica o psicologica realizzate da un genitore nei confronti dell’altro o, ancora peggio, che assiste alla morte del genitore stesso.
Con il nuovo provvedimento, infatti, la visione del legislatore è ad ampio spettro e focalizzata nel cogliere i molteplici aspetti che caratterizzano queste storie drammatiche, secondo una visione multidisciplinare che è la sola in grado di fornire risposte adeguate ed efficaci.
Ciò è confermato dai vari piani d’intervento della novella che ha apportato modifiche e integrazioni legislative, al codice civile, al codice penale, al codice di procedura penale e ad altre disposizioni in favore dei figli minorenni ma anche maggiorenni non economicamente autosufficienti rimasti orfani per crimini domestici.
In primo luogo occorre rilevare che il legislatore, in conformità al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., mette sullo stesso piano di tutela il coniuge e il convivente “more unxorio”. Con questa mossa legislativa, pertanto, si è consolidato il percorso penale delle unioni di fatto, garantendo anche al convivente una tutela adeguata rispetto alla condotta che ha arrecato offesa al bene della vita.
In secondo luogo, il legislatore con la modifica dell’aggravante all’art. 577 c.p., di cui al comma 1, n. 1, e al comma 2, ha assimilato la posizione del partner (sia esso il coniuge, l’altra parte dell’unione civile o il convivente) a quella degli ascendenti e dei discendenti, attribuendogli pari dignità e considerandolo, pertanto, meritevole di essere protetto con la medesima risposta sanzionatoria.
Inoltre, con operazione di coerenza sistematica, dettata dal d.lgs n. 6 del 2017 e dall’art. 574 ter c.p., ha esteso lo stesso riconoscimento anche alle parti delle unioni civili. Tuttavia, occorre attenzionare che tale omogeneità – che equipara coniuge, convivente “more uxorio” e parte dell’unione civile – palesa un deficit che si coglie nella mancata menzione dell’ex partner convivente nella modifica apportata al comma secondo dell’art. 577 cod. pen.
Altro intervento rilevante che intensifica la tutela agli orfani è quello economico, all’art. 1 della legge, che aggiunge al testo dell’art. 76 del “Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia”, di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, il comma 4 quater in forza del quale “i figli minori e i maggiorenni economicamente non autosufficienti rimasti orfani di un genitore a seguito di omicidio commesso in danno dello stesso genitore dal coniuge, anche legalmente separato o divorziato, dall’altra parte dell’unione civile, anche se l’unione civile è cessata, o dalla persona che è o è stata legata da relazioni affettiva e stabile convivenza possono essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato, anche in deroga ai limiti di reddito previsti, applicando l’ammissibilità in deroga al relativo procedimento penale e a tutti i procedimenti civili derivanti dal reato, compresi quelli di esecuzione forzata”.
Questa disposizione contempla il diritto a una difesa gratuita, indipendentemente dalla soglia di reddito, rendendo concreta per le vittime la percorribilità di tutto l’iter procedimentale, consentendo loro non solo di potersi avvalere della assistenza di un difensore, ma anche di poter ottenere gratuitamente le copie degli atti processuali o di potersi vedere anticipate dall’erario alcune spese, come quelle per i consulenti tecnici di parte o per eventuali dati a investigatori privati (art 7 del “Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia”), nonché quelle relative all’attivazione dell’azione di risarcimento del danno nell’ambito del processo penale (art. 108 del “Testo Unico delle disposizioni in materia di spese di giustizia”).
Tuttavia, appare poco chiaro se, quando la legge fa riferimento ai procedimenti civili derivanti dal reato, il legislatore voglia ricomprendervi tutti quei procedimenti relativi alla decadenza della responsabilità genitoriale, o alla dichiarazione di adottabilità del genitore superstite, procedimenti che derivano come conseguenza di questo genere.
A tal riguardo, il nostro ordinamento prevede una misura professionale proposta a rappresentare l’interesse del minore che lo vedono coinvolto nelle procedure giudiziarie civili: la figura del curatore speciale del minore nel processo.
La legge prevede, però, tale figura in tutte quelle procedure giudiziarie in cui vi possa essere un potenziale conflitto di interessi tra il minore e uno o entrambi i genitori, art. 320 c.c., comma 6, e nei casi dell’art. 321 c.c., in cui i genitori non possono o non vogliono compiere uno o più atti di interesse del figlio, eccedenti l’ordinaria amministrazione. In questi casi il curatore speciale sarà nominato dal Giudice Tutelare per il compimento di uno o più determinati atti.
Lo stesso principio vale in genere nelle azioni di stato: azione di contestazione dello stato di figlio nato nel matrimonio (art. 248 c.c.), azione di reclamo dello stato di figlio nato nel matrimonio (art. 249 c.c.), riconoscimento tardivo del figlio, azione di impugnazione del riconoscimento del figlio (artt. 263 e 264 c.c.), autorizzazione a contrarre matrimonio (art. 84 c.c.).
Tuttavia, nelle ipotesi di decadenza della potestà genitoriale (art. 330 c.c.) ed nei casi di condotta del genitore pregiudizievole ai figli (art. 330 c.c.) non si prevede la nomina di un Curatore speciale nelle procedure avanti al Tribunale per i Minorenni, disciplinati con il procedimento ex art. 336 c.c. Per dette procedure, la legge 149/2001 ha stabilito il diritto del minore all’assistenza legale sia nelle procedure di adottabilità che nei procedimenti di cui all’art. 336 c.c.
Orbene, accorerebbe, a questo punto, una sintetica puntualizzazione sull’istituto della responsabilità genitoriale.
Il genitore che si sia reso responsabile dell’omicidio dell’altro genitore non decade automaticamente dalla titolarità della responsabilità genitoriale. Ai sensi dell’art. 34 c.p., è la legge che determina i casi nei quali la condanna importa la pena accessoria della decadenza e l’aver ucciso l’altro genitore del proprio figlio non è tra i casi espressamente previsti. Solo se il genitore sarà condannato all’ergastolo, ex art. 32 c.p., opererà nei suoi confronti la decadenza. Tuttavia, se il genitore omicida si trova in carcere, egli si trova di fatto nella impossibilità di esercitare la propria responsabilità genitoriale e, dunque, si renderà necessaria la nomina di un tutore.
All’art. 330 codice civile, la legge prevede un controllo dell’ordinamento per verificare che la responsabilità genitoriale venga esercitata nel rispetto delle finalità e si riconosce al giudice la possibilità di dichiarare la decadenza della responsabilità genitoriale “quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio”. Sul punto è utile rilevare che l’evoluzione interpretativa di tale disposizione è approdata ad un concetto ampio di condotta pregiudizievole, quale requisito per la decadenza, ravvisandola ogniqualvolta al figlio venga arrecato un pregiudizio che rischi di compromettere il suo sereno processo formativo.
Ebbene, occorre affermare che se questo requisito verrà valutato dal giudice caso per caso, non ci saranno dubbi che chi uccide la madre dei propri figli compromette irreversibilmente l’equilibrato e il sereno sviluppo formativo cui ogni figlio ha il diritto e quindi la sua condotta integra il presupposto per la dichiarazione della decadenza della responsabilità genitoriale da parte del giudice.
Altra modifica importante è avvenuta in ambito processuale, in particolare, in materia di misure cautelari reali. Infatti, all’art 316 c.p.p. è stato aggiunto il comma 1 bis che prevede che, a garanzia del risarcimento dei danni civili, il P.M., quando accerta la presenza dei figli della vittima di omicidio minorenni o maggiorenni economicamente non autosufficienti, in ogni stato e grado del procedimento, chiede il sequestro conservativo dei beni mobili o immobili dell’imputato o delle somme o cose a lui dovute, nei limiti in cui la legge ne consente il pignoramento.
Il sequestro conservativo è una misura cautelare reale volta a garantire che non vengano meno le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario dello Stato; inoltre, è volto a tutelare le garanzie delle obbligazioni civili derivanti dal reato.
Il fine del vincolo imposto con il sequestro del patrimonio dell’imputato è di evitare che durante l’accertamento processuale si possano porre in atto delle condotte atte ad impedire la non soddisfazione di quei crediti connessi al reato, riconosciuti da una eventuale sentenza di condanna.
Tale misura involge la disciplina civilistica ed è disciplinata sia dal codice civile agli artt. 2905 e 2906 sia dal codice di procedura civile agli artt, 672 e seguenti.
Tali ultime norme hanno portata generale e hanno ad oggetto i diritti di credito, tutelando la figura del creditore che può chiedere il sequestro conservativo dei beni del debitore.
Invero, la disciplina generale del sequestro si applica anche in ambito familiare a tutela dell’adempimento dei doveri coniugali di natura patrimoniale, dove all’art. 146, terzo comma c.c. è previsto il sequestro dei beni del coniuge che si allontana senza un giustificato motivo dalla residenza familiare. La disposizione in esame prevede, all’ultimo comma, che il giudice, valutate le circostanze, può ordinare il sequestro dei beni del coniuge allontanatosi, nella misura idonea a garantire l’obbligo generico di contribuzione ai bisogni della famiglia, nonché l’obbligo specifico di mantenimento, istruzione ed educazione dei figli.
Con la novella legislativa, la misura cautelare reale si estende anche agli orfani per crimini domestici, ai quali verrà garantito il risarcimento dei danni civili derivanti dal reato.
In una prospettiva completa di ulteriore rafforzamento del sostegno economico, entra, nel dettato normativo dell’art. 539 c.p.p, una nuova disposizione, quella del comma 2 bis che consente al giudice del giudizio penale (per l’omicidio del genitore) di provvedere, anche d’ufficio, nei confronti dei figli minorenni e dei maggiorenni economicamente non autosufficienti, che siano costituite parte civile, all’assegnazione di una provvisionale in loro favore, quantificata in un importo non inferiore al 50 per cento del danno presumibile, da liquidare in un separato giudizio civile.
Inoltre, in deroga alla disciplina dell’art. 320 c.p.p., che riguardo alla “esecuzione dei beni sequestrati” fissa come requisito per la conversione del sequestro conservativo in pignoramento la irrevocabilità della sentenza di condanna al pagamento di una pena pecuniaria ovvero l’esecutività della sentenza che condanna l’imputato e il responsabile civile al risarcimento del danno in favore della parte civile, permette che, laddove vi siano beni dell’imputato sottoposti a sequestro conservativo, questo si converte in pignoramento già con la sentenza di condanna di primo grado, entro, comunque, i limiti della provvisionale accordata. Va puntualizzato, infine, che la provvisionale resta ferma “fatto salvo quanto previsto dal comma 2 bis dell’art. 539 cpp”.
Alle misure appena elencati vi si affiancano altre misure dalle quali affiora il tratto ancora più dominante della legge: la prospettiva di tutela dei figli, soprattutto quelli minorenni che risultano essere quelli maggiormente bisognosi di protezione, a causa delle difficoltà di ordine psicologico, affettivo ma anche familiare ed assistenziale.
La prima di queste disposizioni attiene alla normativa successoria prevista dell’art. 5 della l. n. 4/2018 che inserisce nel codice civile l’art. 463 bis, rubricato “Sospensione della successione”.
La dottrina maggioritaria ha definito l’istituto della successione come quella volontà del legislatore di escludere anticipatamente l’omicida o il presunto omicida dalla successione del coniuge vittima del reato.
Infatti, nel corso delle indagini preliminari, l’indagato/imputato per l’omicidio, nella sua forma tentata o consumata, è escluso dalla successione del coniuge, anche legalmente separato, nonché la parte dell’unione civile, nei casi indicati dall’art. 463 bis c.c. e fino a quando non intervengono o un decreto di archiviazione o una sentenza di proscioglimento; in questa ipotesi occorrerà nominare un curatore dell’eredità ai sensi dell’art. 528 cod. civ.
Se poi vi sarà sentenza di condanna o applicazione della pena su richiesta delle parti, ai sensi dell’art. 444 c.p.p, la dottrina maggioritaria attribuisce al provvedimento giudiziale, anche in base alla lettura della norma di cui all’art. 463 bis c.c., valenza meramente dichiarativa, giacché ciò rappresenterebbe l’intento del legislatore che è quello di rendere automatica l’applicazione della disciplina dell’indegnità nei confronti del coniuge violento. L’indegnità costituisce, pertanto, una vera e propria causa d’incapacità a succedere con l’inserimento nel codice di procedura penale del nuovo art. 537 bis che sancisce l’indegnità a succedere.
La rimodulazione della disciplina evita quello che, fino all’entrata in vigore della legge, si poteva verificare: un padre omicida, chiamato come erede dalla moglie prima che la uccidesse, avrebbe potuto accettare l’eredità e solo in forza di una sentenza che lo avesse dichiarato indegno, avrebbe potuto restituire quanto acquisito, con la possibilità di poter pretendere il rimborso delle spese e delle passività pagate eventualmente nonché una indennità per le migliorie apportate.
L’indegnità del genitore, in base all’art 16 della nuova legge, consente poi il “Cambio del cognome per gli orfani di crimini domestici”. I figli della vittima dell’omicidio, di cui all’art. 575, aggravato ai sensi dell’art. 577, comma 1, n. 1, e comma 2, c.p., possono chiedere la modificazione del proprio cognome, ove coincidente con quello del genitore condannato in via definitiva.
Il legislatore amplia la sfera di operatività delle tutele e, con l’art. 6 “Diritto alla quota di riserva in favore degli orfani di crimini domestici”, riconosce agli orfani il diritto a vedersi riservato un posto di lavoro, in base a una quota prestabilita, in taluni specifici contesti lavoratavi.
Viene anche riformulato, dall’art. 7 della novella, l’art. 1 della l. 27 luglio del 2011, n. 125, in tema di “pensione di reversibilità”, che sospende dal diritto alla pensione di reversibilità o indiretta o all’indennità una tantum il coniuge, anche legalmente separato, separato con addebito o divorziato, quando sia titolare di assegno divorzile, nonché la parte dell’unione civile, anche se l’unione è cessata, quando la parte stessa sia titolare di assegno, per il quale sia stato chiesto il rinvio a giudizio per l’omicidio del partner.
Dunque, il legislatore anticipa gli effetti conseguiti alla sentenza di condanna al momento della richiesta di rinvio a giudizio. Invece, nel regime della previgente legge, un familiare superstite rinviato a giudizio per omicidio poteva chiedere e ottenere dagli enti previdenziali la pensione di reversibilità o indiretta o un’indennità una tantum della persona che aveva assassinato, per tutto l’iter processuale, in quanto la legge prevedeva la perdita del diritto solo a seguito di sentenza definitiva passata in giudicato.
Durante il periodo di sospensione, il nuovo comma 1 ter, prevede che la titolarità di suddetto diritto venga attribuita ai figli minorenni o maggiorenni economicamente non autosufficienti, senza obbligo di restituzione.
Nell’ottica multilivello in cui si è inserita la legge, il legislatore accorda servizi assistenziali, rappresentando proprio il fulcro del sistema di sostegno offerto agli orfani: di esso devono essere artefici Stato, Regioni e Autonomie Locali, ciascuno in relazione alle proprie attribuzioni.
Tali Istituzioni devono promuovere e sviluppare presidi e servizi, pubblici e gratuiti, di formazione e di orientamento in favore delle vittime, tenendo conto delle necessità specifiche e dell’entità del danno subito nonché delle loro eventuali condizioni di particolare vulnerabilità.
Stato ed enti locali sono chiamati, inoltre, a favorire sistemi assicurativi adeguati in favore degli orfani per crimini domestici e a predisporre misure di sostegno allo studio e di avviamento al lavoro, tenendo in considerazione la disponibilità delle risorse finanziarie destinate a tale scopo dall’art. 11 della riforma, che estende il Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime di reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive, dell’usura e dei reati internazionali violenti anche agli orfani per crimini domestici.
In tema di superamento del trauma, un ruolo decisivo potrà svolgere la previsione dell’art. 9 “disposizione in materia di assistenza medico-psicologica”. Essa introduce misure di sostegno che sono garantite gratuitamente ai figli minorenni e ai maggiorenni non economicamente autosufficienti a cura del Servizio sanitario nazionale, per tutto il tempo necessario al pieno recupero dell’equilibrio psicologico.
Un cenno lo merita il contenuto dell’art. 8, n. 1 lett. E), alla raccolta dei dati al monitoraggio dell’applicazione che verrà fatta delle nuove norme. Quello della raccolta dei dati sulla violenza di genere e su tutte le altre forme di violenze ha lo scopo di delineare la dimensione reale dei fenomeni in questione e studiarne a fondo causa ed effetti, frequenze e percentuali delle condanne ed efficacia delle strategie repressive, preventive e di supporto adottate.
Nodo, invece, doloroso è quello dell’affidamento dei bambini che hanno perso entrambi i genitori. Le vicende più frequenti raccontano di bambini orfani di madre, con il padre in carcere, o di bambini orfani di entrambi i genitori a seguito di omicidio-suicidio; quindi, in entrambe le ipotesi essi si ritrovano privi di riferimenti genitoriali. Di fronte alla scomparsa di riferimenti affettivi nella vita di un minore e all’annientamento del loro assetto familiare precedente, si rende necessario individuare una nuova collocazione adeguata a questa mutata realtà. L’art. 10 introduce l’istituto dell’affidamento dei minori orfani per crimini domestici, oggetto del nuovo comma 5 quinquies, inserito nell’art. 4 della l. 4 maggio 1983, n. 184. Sarà il tribunale competente a decidere quale sarà il nuovo nucleo familiare, “privilegiando la continuità delle relazioni affettive consolidatesi tra il minore stesso e i parenti fino al terzo grado” e se vi sono fratelli o sorelle, provvede “assicurando, per quanto possibile, la continuità affettiva degli stessi”.
Nel successivo comma 5 sexies, viene rimarcato l’impegno a cui sono chiamati i servizi sociali, i quali devono assicurare al minore un sostegno psicologico e l’accesso alle misure volte a garantire il diritto allo studio e l’inserimento nell’attività lavorativa.
Infine, sempre in tema di pene accessorie, il legislatore, con l’art. 12, ne ha introdotta una nuova: la “decadenza dell’assegnazione dell’alloggio di edilizia residenziale pubblica per gli autori di delitti di violenza domestica”. Essa ha una sfera d’azione che va ben oltre le ipotesi di omicidio, prevedendo che in caso di condanna non definitiva, o di patteggiamento, per una gamma di reati ampia quali consumati o tentati, come l’incesto, i maltrattamenti in famiglia, le lesioni, il sequestro di persona e i reati in materi di violenza sessuale, quando siano realizzati nell’ambito della famiglia, il condannato assegnatario di un alloggio di edilizia residenziale pubblica decade dalla relativa assegnazione, mentre non perdono il diritto di abitazione, subentrando nella titolarità, le altre persone conviventi.
In conclusione, la l. n. 4 del 2018 affronta i problemi degli orfani di crimini domestici a tutto tondo s intensificandone la tutela in via interdisciplinare ed esprimendo una chiara e consapevole visione della complessità che caratterizza queste vicende, passibili di attenzione solo attraverso la predisposizione di forme di intervento che siano inserite in una ottica integrata ed organica oltre che di dialogo tra le varie istituzioni e associazioni
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