La lotta alla corruzione è ormai da alcuni anni al centro dell’attenzione della legislazione nazionale e di quella sovranazionale.
La legge 09/01/2019 n° 3, denominata Spazza-corrotti, approvata nel dicembre 2018 e pubblicata in G.U. nel gennaio 2019 ha preso atto della centralità del fenomeno corruttivo e ha disegnato un serio inasprimento dell’impianto penalistico delle norme anticorruzione, lasciando sullo sfondo le misure di contrasto di natura amministrativa concepite dalla Legge Severino, la quale aveva puntato, oltre che su misure di tipo repressivo anche e soprattutto su misure di prevenzione di tipo amministrativo.
Particolarmente rilevanti, sotto questo aspetto, apparivano essere i piani anticorruzione dei quali si devono dotare tutte le pubbliche amministrazioni e alla nuova figura organizzativa del funzionario responsabile dell’anticorruzione chiamato a vigilare sull’attuazione dei piani stessi. La legge Severino puntava infatti a garantire la trasparenza della pubblica amministrazione accrescendo gli obblighi di pubblicazione di molte informazioni nell’ambito della materia dei contributi erogati e dei contratti stipulati dall’amministrazione. L’impianto della Legge Severino non è stato modificato anche se sono stati rafforzati gli obblighi di trasparenza in materia di contributi finanziari a partiti e movimenti politici e dalle fondazioni.
La legge porta da 5.000 a 500 euro la soglia di rilevanza dei contributi per i quali scatta l’obbligo di rendere pubblici i soggetti erogatori. Vieta inoltre di ricevere contributi da soggetti esteri pubblici e, a certe condizioni, privati, o da persone che sono state private del diritto di voto. Equipara poi le fondazioni politiche ai partiti ai fini degli obblighi di trasparenza contabile e di pubblicità degli erogatori di contributi, e ne estende la nozione fino a includervi soggetti i cui organi siano anche solo parzialmente composti da ex titolari di cariche di governo o elettive. Per accrescere la trasparenza dei processi elettorali, la norma impone l’obbligo di pubblicare i curricula e i certificati del casellario.
Ma soprattutto la nuova legge sembra privilegiare nuovamente – e per maggiore ampiezza – le misure di tipo repressivo e le penalizzazioni ex post, il che, se da un lato appare commendevole data l’indubbia efficacia deterrente della norma penalistica, comporterà inevitabilmente un arretramento dell’attività di prevenzione di natura amministrativa, privilegiata, invece, dal legislatore precedente.
La legge denominata Spazzacorrotti si muove su due direttrici parallele:
- la prima, riguardante l’aggravamento e l’estensione del sistema delle pene accessorie a tutti i reati di corruzione e la ridefinizione (e aggravamento) di alcune fattispecie criminose.
- la seconda, riguardante l’introduzione di un sistema premiale che permetta la tempestiva denuncia e l’accertamento dei reati attraverso l’estensione dei benefici premiali anche a chi collabori per il disvelamento dei fenomeni corruttivi, oltre all’introduzione della figura dell’agente provocatore.
Fa da contorno al predetto impianto penalistico la norma di modifica all’articolo 158, il primo comma c.p. circa la decorrenza della prescrizione per il reato consumato, tentato e permanente («Il termine della prescrizione decorre, per il reato consumato, dal giorno della consumazione; per il reato tentato, dal giorno in cui è cessata l’attività del colpevole; per il reato permanente o continuato, dal giorno in cui è cessata la permanenza o la continuazione») e quella di modifica dell’art. 159 c.p., II comma sulla sospensione della prescrizione («Il corso della prescrizione rimane altresì sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto di condanna»). La norma che tanto ha fatto discutere, si applica a partire dal 1.1.2020 e dispone la sospensione dei termini di prescrizione del reato successivamente alla sentenza di primo grado fino all’irrevocabilità della sentenza con l’evidente intento di operare una forte deflazione di tutte le impugnazioni penali.
- Ridefinizione e aggravamento di alcune fattispecie penali corruttive.
La legge ha abolito la fattispecie criminosa di millantato credito e sostituito ad essa il reato di traffico di influenze illecite previsto all’art. 346 bis c.p. la cui norma incriminatrice recita testualmente:
Art. 346-bis c.p. Traffico di influenze illecite.
Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319-ter e nei reati di corruzione di cui all’articolo 322-bis, sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis, ovvero per remunerarlo in relazione all’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, è punito con la pena della reclusione da un anno a quattro anni e sei mesi.
La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altra utilità.
La pena è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio.
Le pene sono altresì aumentate se i fatti sono commessi in relazione all’esercizio di attività giudiziarie o per remunerare il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio.
Da un punto di vista meramente sistematico, l’inserimento del reato di millantato credito in quello di traffico di influenze illecite appare corretto tenuto conto che le due fattispecie criminose si differenziavano fra di loro per il semplice fatto che le relazioni utilizzate dall’imputato nei riguardi dell’incaricato di pubblico servizio o del pubblico ufficiale erano vantate nel millantato credito ed effettivamente esistenti nel traffico di influenze illecite.
Per il resto, il reato ha mantenuto la struttura già esistente con l’aggiunta di novità da ritenersi piuttosto rilevanti:
- Sono state estesi i casi di esclusione del reato nel caso di concorso con i reati di cui all’art. 318 c.p. e di corruzione ex art. 322 bis c.p. prima non menzionati, ragione per cui la fattispecie criminosa di traffico di influenze illecite si configura, a pieno titolo, come una fattispecie residuale rispetto a tutti le ipotesi criminose corruttive.
- Il prezzo della mediazione illecita può consistere in ogni tipo di utilità anche di valenza non patrimoniale.
- Il reato sussiste anche se l’incaricato di pubblico servizio o il pubblico ufficiale compie un atto legittimo nell’esercizio delle sue funzioni.
- Mentre il minimo della pena della pena è rimasto invariato rispetto alla fattispecie criminosa precedente, il massimo è stato aumentato di un anno e sei mesi.
Ulteriori aggravamenti di penasono previsti per il reato di corruzione nell’esercizio della funzione (art. 318 c.p.) per il quale la pena è stata aumentata da 3 a 8 anni ( rispetto alla pena originaria da 1 a 6), per il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che commetta il reato di cui all’art. 316 ter c.p. (indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato) con abuso della sua qualità o dei suoi poteri ( da un anno a 4 anni invece di sei mesi a tre anni) per il reato di appropriazione indebita ex art. 646 c.p. (dalla reclusione fino a 3 anni e multa fino a euro 1032 si passa alla reclusione da 2 a 5 anni e alla multa da 1.000 a 3.000 euro).
- Aggravamento ed estensione delle pene accessorie e restrizione dei benefici della sospensione condizionale della pena e di quelli penitenziari
Aumentano i reati che comportano in via perpetua l’interdizione dai pubblici uffici e l’incapacità a contrarre con la pubblica amministrazione, sanzioni che possono restare in vita anche nel caso della riabilitazione del condannato o dell’affidamento ai servizi sociali con esito positivo. Il beneficio della sospensione condizionale della pena importa l’adempimento di prestazioni riparative disposte dal giudice anche nella forma di lavori per pubblica utilità. Le condanne per i reati corruttivi impongono l’adempimento di misure riparatorie obbligatorie nei confronti del soggetto passivo PA, indipendentemente del risarcimento del danno.
In particolare:
- l’incapacità di contrattare con la PA è introdotta anche come misura interdittiva e si applica all’imputato prima della condanna; inoltre è estesa a ogni condanna per i delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322, 322-bis, 346-bis, 353, 355, 356, 416, 416-bis, 437, 452-bis, 452-quater, 452-sexies, 452-septies, 452-quaterdecies, 501, 501-bis, 640, secondo comma, numero 1, 640-bis e 644, commessi in danno o a vantaggio di un’attività imprenditoriale o comunque in relazione ad essa;
- l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione e l’interdizione dai pubblici uffici divengono perpetue (art. 32 quater c.p. nuovo testo) in caso di condanna superiore a 2 anni di reclusione (c.d. “Daspo per i corrotti”) per tutti i fatti-reato di corruzione. Infatti, ai sensi dell’art. 317 bis c.p. nuovo testo, la condanna per i reati di cui agli articoli 314, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis e 346-bis importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e l’incapacità in perpetuo di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio. Nondimeno, se viene inflitta la reclusione per un tempo non superiore a due anni o se ricorre la circostanza attenuante prevista dall’articolo 323-bis, primo comma, la condanna importa l’interdizione e il divieto temporanei, per una durata non inferiore a cinque anni né superiore a sette anni.
- la riabilitazione non produce effetti sulle pene accessorie perpetue: decorsi almeno 7 anni dalla riabilitazione, è prevista l’estinzione della pena accessoria perpetua quando il condannato abbia dato “prove effettive e costanti di buona condotta”;
- La sospensione condizionale della pena (art. 165 c.p. nuovo testo) può essere subordinata all’adempimento dell’obbligo delle restituzioni, al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o provvisoriamente assegnata sull’ammontare di esso e alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno; può altresì essere subordinata, salvo che la legge disponga altrimenti, all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna. Inoltre, nel caso in cui sia concessa a persona che ne ha già usufruito, deve essere subordinata all’adempimento di uno degli obblighi di riparazione Nei casi di condanna per i reati previsti dagli articoli 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321 e 322-bis, la sospensione condizionale della pena è comunque subordinata al pagamento della somma determinata a titolo di riparazione pecuniaria, così come prevista dalla legge penale per i fatti corruttivi, fermo restando il diritto all’ulteriore eventuale risarcimento del danno. Infine, ai sensi dell’art.166 c.p. nuovo testo, nel caso di condanna per i delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis e 346-bis, il giudice può disporre che la sospensione non estenda i suoi effetti alle pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici e dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.
- I beni sequestrati nell’ambito dei procedimenti penali relativi ai delitti di corruzione, diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, possono essere affidati dall’autorità giudiziaria in custodia giudiziale agli organi della polizia giudiziaria che ne facciano richiesta per le proprie esigenze operative.
- Con la sentenza di condanna per i reati previsti dagli articoli 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320 e 322-bis, è sempre ordinato il pagamento di una somma pari all’ammontare di quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio appartiene, ovvero, nel caso di cui all’articolo 319-ter, in favore dell’amministrazione della giustizia, restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno.
- Con la sentenza di condanna per i reati previsti dagli articoli 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321 e 322-bis, è sempre ordinato il pagamento di una somma equivalente al prezzo o al profitto del reato a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione lesa dalla condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno.
- Le misure premiali e le cause di non punibilità.
Con l’obiettivo di favorire l’accertamento dei reati, la legge prevede la non punibilità di chi denunci volontariamente gli illeciti, prima di avere notizia delle indagini, ed estende ai reati di corruzione la figura dell’agente provocatore. Anche in sede di esecuzione della pena, il riconoscimento dei benefici viene limitato a chi abbia avuto un ravvedimento operoso e collaborato nell’individuazione dei colpevoli. Insomma, per molti versi la legge equipara la corruzione a fenomeni criminosi ritenuti, fino ad oggi, assai più gravi, come le associazioni malavitose e il terrorismo, prevedendo anche strumenti di investigazione, quali le intercettazioni telefoniche e ambientali prima non ammissibili per i reati di corruzione.
Particolarmente stringenti sono le condizioni per poter usufruire dei casi di non punibilità. Infatti, per potervi accedere è necessario che la denunzia relativa al reato sia presentata nei quattro mesi dalla commissione dal fatto e che il colpevole metta a disposizione dell’Autorità l’utilità percepita o, in caso di impossibilità, una somma di denaro di valore equivalente, ovvero indichi elementi utili e concreti per individuarne il beneficiario effettivo, entro il medesimo termine. Inoltre, la causa di non punibilità non si applica quando la denuncia è preordinata rispetto alla commissione del reato denunciato né opera in favore dell’agente sotto copertura che ha agito in violazione delle disposizioni dell’articolo 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146 (che si ricorda prevede la non punibilità degli agenti e ufficiali di polizia giudiziaria che compiano atti investigativi, sotto la diretta supervisione dei Pubblico Ministero, finalizzati all’accertamento di gravissimi reati espressamente indicati dalla norma quali l’associazione mafiosa, reati di terrorismo, traffico di esseri umani ecc. In tali casi può essere autorizzato dal PM anche il ritardo di atti di competenza della polizia giudiziaria oltre che essere ritardati il fermo o l’arresto dei soggetti sottoposti ad investigazione).
Il sistema premiale è da un lato particolarmente favorevole visto che prevede la completa esenzione dal processo dei denunzianti che si siano resi colpevoli di fatti corruttivi o degli ufficiali ed agenti di pg che abbiano posto in essere condotte criminose al fine di consentire il disvelamento dei fatti – reato. Impone, tuttavia, nel medesimo tempo, che i vantaggi conseguenti alla denunzia o all’attività investigativa compiuta sotto copertura siano particolarmente fruttuosi per l’Amministrazione attraverso l’immediata acquisizione della notizia del reato e l’identificazione dei colpevoli oltre che la tempestiva acquisizione dei proventi criminosi.
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