Ho letto attentamente e quasi incredula il libro di Sallusti sul caso Palamara arrivando alla fine del racconto (o meglio dell’intervista) in poche ore, spinta dal desiderio di comprendere se i fatti narrati fossero andati veramente così. Di tutte le situazioni raccontate nel libro avevo naturalmente sentito parlare ampiamente negli ambienti giudiziari e non per sentito dire ma spesso dal di dentro, attraverso la voce dei nostri colleghi impegnati nella politica associativa. Le loro opinioni (e commenti) mi erano sembrati all’epoca credibili se non addirittura condivisibili.
Mai avrei potuto perciò immaginare che in realtà le cose dette nelle assemblee e nelle riunioni o anche solo attraverso i comunicati di Giunta erano filtrate dalla linea e dagli accordi presi a latere dagli esponenti delle correnti, quasi che ci siano due Magistrature, quella che lavora tutti i giorni e che pensa a rendere giustizia e l’altra che prende accordi con i politici, si spartisce le nomine dei Capi, indica le linee legislative ed ordinamentali che regolamentano l’operato dei Giudici. Dispone, insomma, degli interessi della base in maniera artificiosa, facendosi solo apparentemente interprete delle sue esigenze ma in realtà tradendo, fin nel profondo, il senso vero del fare giustizia e dell’essere Magistrati.
Leggere queste tristi verità fa venire in mente soltanto una cosa: sarà mai possibile una vera moralizzazione della categoria, un cambiamento profondo di mentalità?
Io credo che i Magistrati di oggi debbano seriamente porsi questa domanda cercando di dare ad essa una risposta quanto mai onesta possibile.
Mi permetto perciò un suggerimento personale, quello di partire dalla formazione e dai giovani aspiranti Magistrati.
Forse uno dei passi più inquietanti della grande intervista a Palamara sta in due paginette che saranno sfuggite ai più ma che a me appaiono molto significative.
Si tratta di quello che l’intervistato riferisce circa l’educazione sentimentale che s‘impartiva (e probabilmente s’impartisce tuttora) ai giovani Magistrati. Narra di anni lontani (1998) quando il giovane Pm calabrese procura voti ad un componente togato del CSM e riceve in cambio un aiuto importnte e quasi inaspettato per essere trasferito a Roma, sede che gli era stata negata per assenza di posti liberi. E’ il momento in cui si fa strada in lui per la prima volta l’importanza dello scambio e delle conoscenze per progredire in Magistratura e per diventare uno che conta veramente perché in grado di elargire i favori richiesti (“io la vissi come una cooptazione del leader più potente dei duri e puri della sinistra giudiziaria, al quale sono rimasto sempre affezionato: restituiva un favore ricevuto e nello stesso tempo mi arruolava in modo più stretto alla causa. In quel momento ebbi la certezza di come funziona un tassello del sistema: io do una cosa a te, e tu al momento opportuno la darai a me. Ma avevo chiara anche un’altra cosa..che io dovevo trovare il modo di farle le telefonate, non di riceverle”).
Il “Sistema” delle correnti cui Palamara si associa viene definito dall’intervistato “una squadra di calcio” che ha bisogno di “un vivaio” all’interno del quale attingere per proliferarsi. E’ necessario, cioè, selezionare bene i nuovi Magistrati per garantire il prolungamento della prassi dello scambio e del favore. Questo si ottiene attraverso la selezione e le raccomandazioni al concorso, gestito da Magistrati che “fanno la corsa” per far parte delle Commissioni e che vengono selezionati dalla potentissima III Commissione del CSM definita come “un organo lottizzato dalle correnti che a sua volta lottizza i commissari”.
Il “Sistema” viene definito anche utile per garantire le raccomandazioni per l’accesso alla Magistratura che costituiscono una prassi costante (“basti pensare che con questo meccanismo nella mia consiliatura due figli di componenti del CSM sono diventati Magistrati.. Io ho soddisfatto tante richieste e soprattutto sono stato contattato più volte da Magistrati, anche autorevoli, che chiedevano raccomandazioni per gli esami orali dei figli”). Un malcostume generalizzato alla cui regola nemmeno la Magistratura sfugge e che costituisce la premessa per fidelizzare i nuovi arrivati.
Non appena entrati in Magistratura, i giovani tirocinanti (che dovrebbero imparare il mestiere dall’esempio dei loro Magistrati affidatari) vengono lottizzati addirittura a loro insaputa con una precisa spartizione numerica fra le correnti (L’obiettivo del “Sistema” è accaparrarsi il neo Magistrato. Come? Facendolo iscrivere alla propria corrente. Funziona così.: quando entri in servizio vieni affiancato per un certo periodo a un Magistrato anziano e “chi va con chi” lo decide una commissione apposita in base ai rapporti di forza fra le correnti”. Se entrano in sessanta, trenta andranno a fare tirocinio da un anziano di Unicost, venti da uno di Magistratura democratica, dieci da uno di Magistratura indipendente..E’ ovvio che, nel calcolo delle probabilità, questi ragazzi si iscriveranno alla corrente del loro tutor, soprattutto se questo spingerà in tal senso. E’ la linfa per alimentare il “Sistema” delle correnti … E così sarà in ogni passaggio della vita professionale, sempre che si voglia fare carriera”).
Non c’è chi non veda come, con questo sistema, la mentalità correntizia si perpetua dagli anziani ai giovani in base ad un preciso indottrinamento: se si vuole fare carriera bisogna imparare fin da piccoli ed associarsi alle correnti.
Cose, per chi scrive, di una gravità inaudita; non mi sembra affatto esagerato ritenere che in tale maniera si uccidono, sul nascere, gli entusiasmi di tanti giovani meritevoli indottrinandoli verso un futuro carrieristico privo di spinte ideali. Non ci lamentiamo poi se i Magistrati sono, sempre più spesso, dei burocrati ed interpretano la loro funzione senza anima o umanità.
Maria Rosaria Sodano
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