Le principali questioni relative alle prospettive di riforma della procedura concorsuale attengono ancora una volta alla tempistica, se si considera che la riforma delle modalità di accesso alla carriera è oggi confluita in un disegno di legge particolarmente complesso recante deleghe al governo per l’efficienza del processo civile e del processo penale, per la riforma complessiva dell’ordinamento giudiziario e della disciplina su eleggibilita’ e ricollocamento in ruolo dei magistrati nonche’ disposizioni sulla costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura e sulla flessibilita’ dell’organico di Magistratura. Il disegno di legge in oggetto è stato di recente (agosto 2020) approvato dal Consiglio dei Ministri e non risulta ancora approdato in Parlamento. Poiché si tratta di un iter parlamentare volto ad assumere una legge delega all’esito della quale il Governo dovrebbe emanare, entro l’anno successivo, più decreti legislativi esecutivi della delega stessa, è dato presumere che la riforma effettiva della procedura concorsuale avverrà non prima dei prossimi due o tre anni con conseguenze molto gravi sull’assetto dell’organico dei Magistrati e sull’assetto attuale dei concorsi che continueranno a svolgersi secondo la vecchia normativa e prassi con tutti gli aspetti negativi che si sono già evidenziati.
E’ opportuno tuttavia commentare cosa prevede la proposta di legge al fine di comprendere in che direzione si pone la riforma. Ciò, perché sembra essersi finalmente preso atto delle principali problematiche riscontrate nel percorso di accesso alla magistratura dovute sia all’avanzamento dell’età dei candidati, costretti ad affrontare un sempre più lungo percorso di formazione post-universitaria prima di accingersi alla procedura concorsuale, sia alle difficoltà incontrate dalla Pubblica Amministrazione nell’organizzazione e gestione del concorso dovute al crescente numero di partecipanti e a modalità non proprio trasparenti di gestione della procedura stessa da parte delle Commissioni di esame.
Le nuove norme prevedono i seguenti criteri direttivi cui il Governo dovrà uniformarsi:
- l’accesso al concorso dovrà essere consentito ai laureati che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni.
- Il tirocinio formativo negli uffici giudiziari previsto dall’articolo 73 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, il cui superamento con esito positivo costituisce, oggi, uno dei titoli propedeutici al concorso unitamente al conseguimento di un diploma presso le scuole di specializzazione per le professioni, costituirà una mera facoltà per i giovani laureati e non più un obbligo. Tali modalità formative potranno essere iniziate prima del conseguimento della laurea. In particolare, i programmi formativi delle scuole di specializzazione, dovranno essere caratterizzate dalla stretta pertinenza rispetto alle materie oggetto delle prove scritte del concorso di accesso alla magistratura e dell’esame di Stato per l’esercizio della professione di avvocato.
- La prova scritta vertente sul diritto amministrativo sarà sostituita dalla redazione di un parere motivato su una questione regolata dal codice civile o dal codice penale, individuata mediante sorteggio;
- lo svolgimento delle prove scritte avverrà attraverso l’impiego di postazioni informatiche, che consentiranno l’accesso esclusivamente a Banche dati normative, demandando ad un successivo decreto del Ministro della giustizia la definizione delle relative modalità tecnico-informatiche;
- sarà prevista una riduzione delle materie oggetto della prova orale, previo mantenimento delle seguenti: diritto civile, diritto penale, procedura civile, procedura penale, diritto amministrativo, diritto costituzionale, diritto dell’Unione europea, diritto del lavoro ed ordinamento giudiziario, fermo il colloquio in lingua straniera, già previsto dall’articolo 1, comma 4, del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160;
La legge delega prevede, dunque, che al tradizionale canale di accesso, costituito dalla partecipazione a corsi organizzati da scuole di specializzazione o a stage formativi, se ne affianchi un altro, più veloce, destinato ai laureati in giurisprudenza. Non sembra si sia puntato sul merito per quanto attiene a quest’ultimo requisito posto che non è previsto alcunchè in ordine al voto di laurea o alla media degli esami universitari, requisito, invece, rimasto per quanto attiene l’ammissione agli stage formativi.
E’ stata invece risolta l’annosa problematica relativa ai programmi delle Scuole di Specializzazione per le professioni legali la cui riforma si pone su un piano complementare rispetto alla riforma dell’accesso alla Magistratura ordinaria (allo stato disciplinate dall’articolo 16 d.l.vo 398/97).
Corretta per chi scrive è la scelta della soppressione della terza prova scritta in diritto amministrativo e della sua sostituzione con una prova pratica costituita dalla redazione di un parere in dritto civile o penale, prova non dissimile da quella richiesta per l’esame di avvocato, volta a sondare le capacità del candidato di soluzione di un possibile caso giudiziario, anche se, trattandosi di un concorso di accesso alla carriera di Magistrato, forse sarebbe stato più utile individuare l’adozione di un diverso schema concettuale (quale la redazione di un provvedimento tipo) volto alla verifica della capacità motivazionale e decisionale del candidato e dunque della sua attitudine a dar conto del materiale probatorio e delle osservazioni difensive delle parti. Va comunque considerato che la redazione della terza prova scritta richiederà la verifica dello studio e della conoscenza di elementi di diritto processuale (diritto processuale penale e diritto processuale civile) al posto di quella di diritto amministrativo, prospettiva, questa, molto più sensata rispetto allo studio delle tre materie di diritto sostanziale che si esplica oggi e che, per quanto attiene la materia amministrativa, include anche il diritto processuale amministrativo.
Di certo la proposta di riforma della prova scritta, globalmente intesa, è volta ad adeguare le prove concorsuali all’esigenza di valutare anche la preparazione pratica del candidato, anche se l’ottica in cui si pone il legislatore è ancora una volta quella di non tenere nel giusto conto il periodo non trascurabile (un anno e mezzo) di formazione interna cui sono destinati i MOT (Magistrati ordinari in tirocinio) una volta proclamati vincitori.
Al fine di realizzare compiutamente una riforma come quella sopra prospettata è inoltre auspicabile, anzi doveroso, che la riforma delle Scuole di Specializzazione sia attuata in maniera effettiva. È infatti necessario che le predette Scuole curino realmente l’aspetto pratico della formazione e che si istituiscano scuole dirette solo alla formazione di futuri Magistrati, rivedendo completamente i modelli didattici attualmente in uso. A riguardo va evidenziato che nemmeno i corsi privati prevedono lezioni o esercitazioni atte a consentire all’aspirante Magistrato di essere in grado di redigere un parere che affronti questioni di diritto penale e di civile e che offra, dunque, ai discenti l’opportunità di affrontare in maniera ragionata la soluzione di un caso giudiziario.
Potrebbe essere la buona occasione, da questo punto di vista, per potenziare la Formazione territoriale dei Magistrati facente capo alla Scuola Superiore della Magistratura valorizzando esperienze formative similari attivate in sede locale, allo stato rivolte a supporto dei giovani stagisti in tirocinio e sperimentate con successo negli scorsi anni.
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