Nel corso degli ultimi decenni, la maggiore attenzione rivolta alla tutela di beni ritenuti di rilevante valore (come ad es. l’ambiente, la salute ecc.), oltre che l’incremento delle attività rischiose da prevenire, frutto della continua evoluzione tecnologica, hanno comportato una modifica nel modo di configurare le norme da parte del legislatore, con la frequente previsione di un arretramento della soglia di punibilità al fine di prevenire l’insorgenza del danno.
Per questa ragione, il legislatore ha sempre più di frequente attribuito rilevanza non solo a condotte da cui derivino effetti direttamente lesivi (configurando dei reati di danno), ma anche a condotte dalle quali solo potenzialmente possano derivare tali effetti, essendo sufficiente ai fini dell’integrazione del reato la mera (no)messa in pericolo del bene tutelato, anche solo indiretta o potenziale.
Tale pericolosità può configurarsi ogniqualvolta, in base ad un giudizio ex ante realizzato sulla base di massime di esperienza, appaia altamente probabile o – per alcuni- possibile che dalla condotta derivi l’evento lesivo.
Tradizionalmente i reati di pericolo sono stati distinti in reati di pericolo astratto, reati di pericolo concreto e reati di pericolo presunto.
I reati di pericolo concreto sono quei reati la cui sussistenza è subordinata all’effettiva presenza di un pericolo che rappresenta elemento tipico della fattispecie che il giudice deve accertare in concreto (es. art 423 cp incendio di cosa propria): tale verifica presuppone che il referente (l’elemento) cui accede il pericolo sia adeguatamente determinato e sussumibile in massime di esperienza sufficientemente collaudate. I reati di pericolo concreto, dunque, incriminano condotte non intrinsecamente pericolose e che solo eventualmente espongono a pericolo il bene tutelato.
Quanto ai reati di pericolo astratto, invece, essi tendono a punire un comportamento già considerato pericoloso di per sé, senza che sia necessario l’accertamento, in concreto, da parte del giudice dell’effettiva esistenza del pericolo, ritenuto sussistente in re ipsa nella condotta (come ad es. in materia di inquinamento ambientale).
Infine, una parte della dottrina individua anche i reati di pericolo presunto, ovverosia quei reati che puniscono comportamenti che vengono considerati pericolosi in base a una presunzione legale per proteggere interessi pubblici rilevanti. In proposito, tuttavia, la giurisprudenza maggioritaria ritiene ormai che i reati di pericolo presunti non vadano distinti da quelli di pericolo astratti, presentando gli stessi connotati identificativi e strutturali.
La classificazione dei reati di pericolo presunto /astratto ha fatto sorgere non pochi dubbi sulla loro legittimità sotto lo specifico profilo del principio di offensività, principio informatore del nostro ordinamento penale secondo il quale è obbligo de giudice procedere, caso per caso, alla verifica della concreta lesione del bene giuridico. Difatti, secondo il nostro sistema penale la sanzione penale può essere inflitta solo allorquando dalla condotta derivi un’offesa a un bene giuridico, sia nella forma della lesione del bene giuridico tutelato che della mera esposizione a pericolo del bene stesso. Ne deriva che escludere a priori una concreta verifica circa l’esistenza del pericolo ritenuto presuntivamente esistente per legge può comportare la punibilità di fatti criminosi che, seppure corrispondenti alla fattispecie astratta, non determinano in concreto alcun danno neanche in termini di pericolo.
Della questione in passato si è anche occupata la corte costituzionale, la quale, riferendosi alle incriminazioni di pericolo astratto, ha affermato che esse non sono incostituzionali laddove la scelta del legislatore di incriminare sia ragionevole, non arbitraria e fondata su massime di esperienza.
Inoltre, al fine di recuperare la costituzionalità di queste fattispecie, si è ritenuto necessario che il legislatore nel formulare la norma definisca con chiarezza i requisiti del reato e preveda sanzioni proporzionate alla gravità del fatto.
Nella pratica giudiziaria i margini di distinzione fra i reati di pericolo astratto e reati di pericolo concreto appaiono piuttosto labili.
Infatti, in taluni frangenti, la giurisprudenza, pur definendo alcune fattispecie come reato di pericolo astratto, ha nondimeno verificato in concreto la sussistenza del pericolo e ha, quanto meno ritenuto che il fatto da considerarsi presuntivamente pericoloso dal legislatore dovesse avere connotati ragguardevoli e tali da rivestire notevole gravità o estensione
Il problema si è posto recentemente in relazione al reato di valanga, così come disciplinato dall’art 426 cp, e al delitto di disastro colposo ex art 449 cp.
Tali norme sono disciplinate all’interno del libro II titolo VI del codice penale dedicato ai delitti contro l’incolumità pubblica.
Tali delitti si contraddistinguono per la diffusività del danno, capace di interessare un numero indeterminato di persone non determinabili a priori.
Il reato di valanga è disciplinato, nella sua versione dolosa, dall’art 426 c.p. e, nella sua versione colposa, dall’art 449 cp.
L’art 426 cp statuisce che è punito chiunque cagioni un’inondazione o una frana, ovvero la caduta di una valanga.
Come già anticipato, il bene giuridico tutelato dalla norma è l’incolumità pubblica, essendo il danno contraddistinto dall’elemento della diffusività che espone a pericolo un numero indeterminato di persone non individuabile ex ante. Il reato di valanga si atteggia a reato di evento a forma libera, perchè non richiede una specifica condotta per la sua sussistenza ma il semplice fatto di aver cagionato, con qualsivoglia azione od omissione, un’inondazione, una frana o una valanga: l’evento viene perciò precisato in termini naturalistici ed obbliga il giudice penale ad un’indagine relativa al suo accertamento in fatto, indagine in assenza del quale il reato non può ritenersi sussistente. Alla base della norma incriminatrice vi è perciò una presunzione non altrimenti ineludibile in virtù della quale fatti come la valanga o l’inondazione o la frana costituiscono eventi naturalistici che, se provocati dalla condotta umana, espongono a grave pericolo una pluralità di individui. Non va pertanto accertata la loro messa in pericolo o l’esistenza di un danno ma la semplice ricorrenza del fenomeno naturale menzionato dalla norma incriminatrice, considerato dal legislatore ad alto rischio per la incolumità pubblica.
Al fine di ricondurre la fattispecie nei limiti dell’offensività, la giurisprudenza ha perciò ritenuto che per la configurabilità del reato nello schema tipico predisposto dal legislatore non basti un evento di piccole dimensioni, riconducibile a uno smottamento del terreno ma che sia necessario che si verifichi un evento di danno di proporzioni ragguardevoli, per vastità e difficoltà di contenimento che comporti il verificarsi di un fatto realmente rischioso per la pubblica incolumità, mettendo in effettivo pericolo un numero indeterminato di persone.
Laddove, invece, la condotta causativa dell’evento valanga sia colposa, la fattispecie rientra nell’art 449 cp, ai sensi del quale è punito chiunque, al di fuori dalle ipotesi previste nell’art 423 bis comma 2, cagioni per colpa un incendio, o altro disastro preveduto dal capo primo del titolo VI. Il reato in oggetto si differenzia dal precedente per il semplice fatto che l’azione od omissione posta in essere dal soggetto agente deve avere le caratteristiche della colpa cosi’ come delineata dall’art. 42 c.p., ragione per cui l’evento naturalistico già menzionato nel reato doloso deve determinarsi contro l’intenzione, deve essere cioè non preveduto nè voluto ma deve verificarsi a causa di negligenza, inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline
Anche in questo caso il reato de quo presuppone un avvenimento grave e complesso con conseguente pericolo per la vita o l’incolumità delle persone coinvolte nell’evento stesso.
La giurisprudenza, pur ritenendo il reato in esame come di pericolo astratto ha affermato che, in ogni caso, al giudice spetterebbe il compito di analizzare in concreto l’offensività della fattispecie, verificando con un giudizio ex ante se, alla luce degli eventi, della potenza dell’evento e del danno prodotto, il fatto sia in grado di esporre a pericolo l’integrità fisica di un numero potenzialmente indeterminato di persone. La questione è stata pertanto risolta in fatto avendo riguardo all’accertamento del fatto -reato e alle caratteristiche di pervasività e di diffusione che esso comporta.
È discussa la configurabilità del concorso di più reati di valanga, inondazione o frana sussumibili nelle due fattispecie criminose appena descritte qualora, in conseguenza di una medesima condotta, si siano verificati più eventi relativi alle distinte ipotesi delittuose dell’art. 426 o dell’art. 449 c.p.. La giurisprudenza, sul punto, ha ritenuto che per applicare in concreto il concorso sia necessario esaminare la peculiarità dei fatti al fine di stabilire se vi sia stata una sola o più modificazioni della realtà naturale comportanti la lesione di più interessi socialmente rilevanti; ciò si è verificato ad esempio nelle ipotesi in cui la frana e l’inondazione non si sono limitati agli aspetti esteriori della caduta dei solidi o dei liquidi ma hanno anche determinato effetti pericolosi e dannosi che si presentano per gli insediamenti umani esistenti sul posto, con riguardo alle vite e ai beni delle persone coinvolte. Di conseguenza l’astratta configurabilità di due reati autonomi è stata esclusa sul presupposto dell’unitaria valutazione giuridica che deriva dalla fusione di due eventi in un evento socialmente sentito come unico sotto il profilo della perdita e della messa a repentaglio di vite umane e del danno economico globale. La dottrina ha precisato, al riguardo, che l’art. 426 è norma a fattispecie plurime in rapporto di equivalenza o alternatività tra loro e configura un’ipotesi in cui il principio di unità normativa del precetto – ricollegato al fine perseguito dall’ordinamento – giustifica l’assunzione di più eventi posti in progressione naturalistica, ma costituenti un unico disastro, in un illecito unitario.
Il delitto di inondazione, frana o valanga si consuma nel momento e nel luogo in cui le masse d’acqua hanno assunto un’estensione e un’altezza tali da costituire inondazione, ovvero quando la frana o la valanga hanno iniziato a spostarsi o a rotolare verso il basso. Si ritiene configurabile il tentativo soltanto nell’ipotesi dolosa che è assistita da dolo generico.
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