Con il termine divisione si fa riferimento ad un particolare istituto del diritto civile grazie al quale è possibile estinguere il regime della comunione. Con la procedura di divisione si realizza una singolare vicenda in funzione della quale la titolarità di più soggetti in relazione ad un determinato bene lascia il posto alla nascita di distinti diritti soggettivi individuali.
Dal punto di vista della teoria generale, la divisione rappresenta diretta espressione del principio di elasticità del diritto di proprietà e trova fondamento nel generale principio di rilevanza costituzionale della proprietà sancito dall’articolo 42 della Costituzione.
Diversamente da quanto avveniva nel diritto romano (che considerava la comproprietà alla stregua di un diritto pieno sulla cosa da parte di ciascun comunista), oggi si ritiene che la proprietà possa essere assoggettata a compressioni potendosi quindi configurare una ipotesi di proprietà frazionata. Può quindi accadere che la proprietà di un determinato soggetto in ordine ad un bene si trasferisca in capo a più soggetti, dando vita ad una situazione di comunione e dunque ad un compressione contenutistica del diritto originariamente vantato dall’unico titolare. Specularmente, con la divisione si realizza una vera trasformazione del diritto tanto dal punto di vista soggettivo che oggettivo. Parte della dottrina ha osservato che la procedura di divisione risponderebbe all’esigenza di garantire il principio di personalità nella titolarità della situazione giuridica soggettiva attiva, essendo la comunione una sorta di deroga a tale principio sostanzialmente derivante dal principio di autonomia privata.
L’introduzione di tale istituto ha origini parecchio risalenti, al punto da essere già previsto nel diritto privato romano. Presupposto indefettibile del procedimento divisorio è che sussista una comunione tra più soggetti. L’istituto della comunione prevede che si instauri un particolare regime giuridico in forza del quale la titolarità del diritto reale in ordine a uno o più beni spetti a più soggetti in funzione di quote ideali di appartenenza (comunione di tipo romano) o in maniera indistinta sull’interezza del bene (comunione di tipo germanico). La dottrina e la giurisprudenza ritengono che in tale ambito sia opportuno distinguere tra comunione ordinaria e forme speciali, ovvero tra comunione ordinaria, ereditaria e legale tra i coniugi. La specialità della comunione tra coniugi e di quella ereditaria si traduce in un regime giuridico in parte differenziato rispetto a quello della comunione ordinaria; tale differenziazione ha delle importanti ricadute pratico applicative e si riflette anche sul relativo regime divisorio.
Ciò posto, deve adesso sottolinearsi che la divisione ordinaria e quella ereditaria rappresentano due figure omogenee che differiscono solo in relazione ad alcuni aspetti specifici. In termini generali deve precisarsi che la disciplina di entrambe le forme è in un certo senso sovrapponibile. In ragione del rinvio espresso dal legislatore alla divisione ordinaria saranno dunque applicabili tutte le norme della divisione ereditaria non permeate da quelle esigenze di tutela e attuazione delle volontà del de cuius. Rilevante è, sul punto, il richiamo alle norme relative alle modalità di divisione. Ai fini dello scioglimento della comunione è infatti possibile che si proceda attraverso una suddivisione in natura del bene in regime di comunione (qualora esso sia divisibile) nonché attraverso vendita del bene e riparto delle somme ricavate. Le citate modalità di divisione (in natura – del prezzo ricavato dalla vendita) sono indistintamente applicabili tanto alla divisione ordinaria che a quella ereditaria.
Ciò posto, deve allora affermarsi che la divisione ordinaria e quella ereditaria differiscono essenzialmente dal punto di vista dei presupposti, invero, mentre la divisione ereditaria richiede la presenza di una comunione ereditaria e, dunque, una fenomeno successorio mortis causa, quella ordinaria ne precinde.
Con la morte del de cuius potrebbe accadere che (in funzione della successione legittima o di quella testamentaria) l’asse ereditario spetti a più soggetti in relazione a quote ideali di appartenenza. Sempre nell’ambito della sovrapponibilità delle due figure vanno poi fatte alcune precisazioni.
La disciplina della divisione ordinaria è regolata da due gruppi di norme codicistiche; il primo gruppo si trova nel libro terzo e attiene alla divisione di ogni comunione mentre il secondo riguarda la divisione ereditaria. Da questa precisazione discendono due conseguenze fondamentali: la prima risiede nel fatto che tutte le norme della divisione in generale si applicano alla divisione ereditaria e l’altra che, per converso, alla divisione ordinaria si applicano quelle della ereditaria solo se non hanno carattere speciale. Tra gli articoli della divisione ereditaria che non si applicano a quella ordinaria ci sono le figure della collazione e del retratto successorio; in ordine a quest’ultimo non vi è unanimità di vedute sulla concreta applicabilità e la posizione maggioritaria tende ad escluderlo. Il particolare ambito della divisione ereditaria richiama inevitabilmente i principi sottesi al fenomeno successorio, primo tra tutti quello relativo al rispetto della volontà del de cuius. Tale particolare si traduce in una forte e stringente limitazione dell’autonomia privata nonché delle stesse procedure di divisione che devono sempre rispondere alla volontà di quest’ultimo.
Da tale esigenza deriva l’introduzione di istituti specifici funzionali alla divisione ereditaria quale, appunto, quello, già citato, della collazione, ovvero, l’atto con il quale determinati soggetti che hanno accettato l’eredità conferiscono alla massa ereditaria le liberalità ricevute in vita dal defunto. Tale istituto risulta disciplinato dagli articoli 737 e ss. del codice civile e non opera in relazione alla divisione ordinaria. La ratio di tale strumento è infatti quella di assicurare ai coeredi la medesima concreta disponibilità dei beni dell’asse ereditario, obbligando i soggetti onerati a conferire tali beni in natura o per equivalente.
Sempre in ordine alle differenze sul procedimento di divisione, deve poi osservarsi che nell’ambito della divisione ereditaria le modalità di divisione possono essere state previste già dal testatore e non possono essere derogate dai coeredi. In tal caso la dottrina ha osservato che non si sarebbe in presenza di una vera e propria ipotesi di comunione ereditaria, atteso che la previsione ab origine dell’assegnazione dei beni realizza una sorta di successione dell’erede direttamente in capo al singolo bene e dunque non vi sarebbe alcuna divisione.
Tratto differenziale particolarmente significativo in relazione alle due tipologie di divisione è costituito, poi, dal già citato retratto successorio. Il retratto successorio è un diritto di prelazione che opera solo nell’ambito della comunione (e divisione) ereditaria. La funzione di tale figura è quella di concentrare il patrimonio ereditario nelle mani di pochi soggetti al fine di agevolare le operazioni divisorie ed evitare, di conseguenza, l’insorgenza di liti tra i coeredi. Ai sensi dell’articolo 732 c.c. il coerede che intende alienare la propria quota deve notificare la proposta agli altri coeredi e questi ultimi hanno la facoltà di accettarla nel termine di due mesi, scaduti i quali il coerede potrà anche alienare ad un terzo. La previsione di questa particolare forma di prelazione si giustifica in quanto si ritiene che il patrimonio ereditario debba rimanere nella cerchia familiare predeterminata dal de cuius. Il retratto è dunque collegato al regime della divisione perché consiste in una limitazione del potere di alienazione e quindi comporta anche delle ricadute sulla successiva divisione. L’ambito applicativo del retratto successorio è parecchio discusso; secondo la posizione oggi maggioritaria quest’ultimo non sarebbe applicabile alla materia della comunione ordinaria ma non mancano posizioni (minoritarie) di contrario avviso.
A sostegno della tesi restrittiva volta ad escludere l’applicabilità del retratto alla comunione ordinaria si osserva che l’istituto si risolve in una compressione del diritto di proprietà e pertanto dovrebbe trovare applicazione nelle sole ipotesi previste tassativamente dalla legge.
In ordine al regime giuridico delle divisioni, deve osservarsi che sia nell’ambito di quella ordinaria che di quella ereditaria il procedimento di divisione può essere promosso dai coeredi liberamente. La libertà in ordine al potere del coerede di chiedere la divisione risulta in modo abbastanza evidente dal dettato normativo degli articoli 713 e 1111 c.c. che pongono i coeredi e i contitolari nella facoltà di poter chiedere la divisione in ogni momento.
La situazione di comunione, invero, è vista con sfavore dal legislatore ed è per questo motivo che le norme citate estendono al massimo la facoltà di chiederne lo scioglimento. Proprio in relazione a quest’ultimo aspetto la disciplina della divisione ereditaria presenta un tratto differenziale.
Il fenomeno successorio permette infatti di ricondurre il concepito della categoria dei successibili, di conseguenza, se tra i chiamati alla successione vi è un concepito la divisione non potrà aver luogo prima della nascita di quest’ultimo.
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