L’evoluzione dei rapporti tra PA e privati, in un ottica sempre crescente di apertura a forme di partecipazione del privato alla azione amministrativa, ha coinvolto anche il settore urbanistico – ma più in generale l’intera materiale del governo del territorio ( tale materia comprendente, tradizionalmente, non solo l’urbanistica, ma anche edilizia ed espropriazioni per pubblica utilità) – settore questo per molto tempo estraneo a tali logiche partecipative.
Se infatti le decisioni concernenti tale ambito erano illo tempore assunte unilateralmente dalla PA, oggi è ferma la necessità di valorizzare le forme di esercizio consensuale del potere: ciò nel dichiarato intento di favorire le istanze di democraticità delle scelte di parte amministrative, nonché di porre un argine al proliferare di contenziosi, attraverso una composizione anticipata, e concertata, dell’assetto del territorio e dell’interesse privato inciso dalla regolamentazione urbanistica; si suole in merito adoperare l’espressione micropianificazione privata (GAMBARO).
Ciò posto, vale la pena ricordare come già prima dell’avvento della legge sul procedimento amministrativo, L241/90, il cui art 11 reca proprio la disciplina degli accordi amministrativi, il legislatore si era premurato di prevedere forme di convenzioni urbanistiche e di lottizzazione, come previsto dalla c.d. legge urbanistica ( L1150/1942).
La generalizzazione del fenomeno della concertazione urbanistica verrà successivamente sancita proprio dalla riforma del procedimento amministrativo con la citata L 241/90, art 11; occorre qui menzionare le convenzioni edilizie e la cessione di cubatura: quest’ultima in particolare, sebbene consista in una determinazione consensuale privata è subordinata, quanto ad efficacia, all’assenso di parte amministrativa, con conseguente verificarsi di fattispecie a formazione progressiva.
Il trasferimento dei diritti edificatori, inoltre, soggiace alle regole previste in tema di circolazione dei diritti immobiliari e, tra queste, a quella di cui all’art 2643 c.c., relativa alla trascrizione dei contratti che trasferiscono la proprietà ovvero diritti reali immobiliari.
Il legislatore, infatti, con DL 70/2011, conv. in L 106/11, ha infatti provveduto alla riforma di tale norma codicistica, introducendo il comma 2 bis, relativo alla trascrizione dei contratti che trasferiscono, costituiscono ovvero modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti dalla normativa vigente, statale, regionale ovvero da strumenti di pianificazione territoriale.
Tale novella sembra dunque riconoscere, una volta per tutte, la categoria dei diritti edificatori, la prassi della loro circolazione indipendentemente dal suolo a cui afferiscono, in uno alla legittimità dei contratti che regolano le loro vicende, cui si intende garantire certezza attraverso il sistema della trascrizione.
Prima di esaminare nello specifico la disciplina dei diritti edificatori, vale la pena ricordare che il diritto urbanistico demanda al PRG, emanato dal Comune e sottoposto ad approvazione regionale, due tipologie di prescrizioni:
– localizzazioni, nell’ambito delle quali vengono individuate le aree del territorio del comune che saranno interessate da opere pubbliche o di pubblica utilità;
– zonizzazioni, mediante le quali il territorio comunale viene suddiviso in zone omogenee in base a tipologie di interventi attuabili dai proprietari ed alla volumetria complessivamente realizzabile; sono poi completate da ulteriore suddivisione di dettaglio del territorio nei cd comparti edilizi, nell’ambito dei quali il Comune individua per ciascun suolo un identico indice di edificabilità – c.d. indice volumetrico – che rappresenta il rapporto tra superficie e cubatura realizzabile.
Si comprende perciò come la capacità edificatoria di un suolo costituisce un valore in sé, autonomo ed indipendente dal valore del suolo in quanto tale.
L’origine dei contratti di trasferimento di volumetria va ricercata nella c.d. Legge Ponte ( L 765/67) il cui art 17 ha introdotto nel corpo della legge urbanistica l’art 41 quinquies, il quale sanciva che lo ius aedificandi debba essere esercitato nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici che, conformandolo, ne fissano in particolare la destinazione urbanistica, capacità edificatoria e cubatura realizzabile.
Le fattispecie principali aventi ad oggetto il trasferimento di diritti edificatori sono essenzialmente quelle della cessione di volumetria ed il trasferimento di cubatura, entrambi aventi ad oggetto l’utilizzazione della cubatura spettante ad una certa area su di un altro suolo parimenti edificabile, con il consenso dei titolari dei relativi diritti dominicali e dell’amministrazione comunale.
Le due figure presentano elementi distintivi, nella misura in cui:
– nella cessione di volumetria è marcatamente accentuato il carattere di realità, nel senso che il decollo e l’atterraggio del diritto edificatorio concernono aree ben identificate, anche se non espressamente confinanti, sebbene contigue o radicate nella medesima zona;
– nel trasferimento di cubatura, invece, tale carattere reale è ben attenuato, poiché è possibile negoziare i diritti edificatori anche a prescindere dalla presenza di una area cedente e di una cessionaria: il trasferimento della cubatura è dunque possibile a prescindere dal decollo e dall’atterraggio, tale che la dottrina ha coniato l’espressione di crediti edificatori.
Accanto a tali strumenti negoziali di micropianificazione privata si sono progressivamente affermati modelli consensuali di pianificazione urbanistica, tutti attributivi a vario titolo di diritti edificatori, quali:
– la perequazione urbanistica, quale attribuzione anche ad aree qualificate dal piano come non edificabili una potenziale cubatura da realizzare su aree edificabili così da operare un riequilibrio alla sperequazione determinata dalla pianificazione urbanistica che, in quanto individua in modo unilaterale ed autoritativo le diverse destinazioni dei suoli, finisce per svantaggiare i proprietari di suoli non edificabili ai quali viene dunque attribuito un diritto edificatorio cedibile anche a titolo oneroso;
– compensazione urbanistica, quale alternativa allo strumento espropriativo, che consente alla PA di acquisire aree soggette a vincolo espropriativo senza esborso monetario a titolo di indennizzo ma previa attribuzione di crediti edificatori che potranno essere utilizzati su aree edificabili di proprietà dello stesso soggetto ovvero trasferibili a terzi anche a titolo oneroso ( cfr sul punto Corte Cost 179/99 che ha riconosciuto la legittimità di tale intervento);
– premialità edilizia, quale attribuzione di un diritto edificatorio aggiuntivo a quello previsto dalla normativa operante a regime come premio per il raggiungimento di obiettivi pubblicistici, es interventi di riqualificazione urbana, recupero aree degradate, promozione edilizia biochimica e di risparmio energetico, riqualificazione paesaggistica etc;
– convenzioni urbanistiche, soggette alle norme in tema di contratti pubblici, che prevedono il trasferimento di diritti edificatori ai costruttori a titolo di corrispettivo per la realizzazione di infrastruttura pubbliche ovvero di edilizia residenziale sociale.
Tutti questi istituti, seppur differenti tra loro, quanto alle modalità di attribuzione di diritti edificatori, appaiono accomunati da tre momenti essenziali:
– decollo, in cui il diritto edificatorio viene scisso dal suolo originario e diviene circolante;
– volo, in cui tale diritto circola sotto forma di credito edilizio;
– atterraggio, in cui esso viene acquistato ed esercitato su di una nuova area, anche non appartenente al medesimo proprietario del suolo di decollo.
Occorre ora soffermarsi sulla natura giuridica dei diritti edificatori.
Secondo una prima tesi, l’istituto della cessione dei diritti edificatori andava inquadrata nell’ambito delle servitù prediali, poiché istitutivo di un rapporto tra fondi, dei quali quello di decollo è asservito al fondo di atterraggio, alla stregua di una servitù di non sopraelevazione ( servitus altius non tollendi); quanto al requisito della vicinitas tra fondi si riteneva poi che questa potesse essere anche solo di tipo funzionale.
Per un diverso orientamento, la cessione di cubatura rappresenta un contratto ad effetti obbligatori, tale che il diritto edificatorio oggetto dello stesso costituiva un diritto di credito; tale tesi ha di recente ricevuto l’avallo di parte della giurisprudenza di legittimità, come più ampiamente si dirà in seguito.
Ulteriore teoria propendeva poi per la natura di diritto di superficie atipico, in cui l’atipicità consisterebbe nella cessione dello ius aedificandi su di un bene altrui piuttosto che sul proprio, come nel diritto di superficie previsto dal Cod. civ. ( c.d. concessione ad aedificandum).
Con la citata riforma del 2011, in tema di trascrivibilità dei contratti aventi ad oggetto diritti edificatori, si sono sviluppate ulteriori teorie. La prima, poiché attribuisce ai diritti edificatori la natura di bene immateriale ex art 810 c.c., assimila tali diritti ai beni immobili, posto che sono attribuiti e possono essere fruiti solo ove vengano costruiti edifici ( c.d. teoria del bene immobile virtuale o del bene immateriale di origine immobiliare.
Secondo altro orientamento i diritti edificatori avrebbero la consistenza di interessi legittimi pretensivi, in considerazione del fatto che non potrebbe realmente parlarsi di diritti soggettivi sino a che la PA non abbia rilasciato il titolo edilizio abilitativo.
Tale ricostruzione comporta, quanto ai risvolti processuali, l’attribuzione al GA della giurisdizione concernente la legittimità del provvedimento con cui l’Amministrazione comunale abbia acconsentito al trasferimento dei diritti edificatori. Viceversa, con riferimento agli atti di ritiro in autotutela del suddetto provvedimento comunale, che abbiano determinato la lesione di un legittimo affidamento riposto dalle parti private in ordine al trasferimento di tali diritti, le controversie concernenti le richieste risarcitorie di queste ultime ricadono nella competenza giurisdizionale della AGO, alla luce della recente giurisprudenza delle Sezioni Unite della S.C.
Vale la pena ricordare che lo stesso Giudice delle leggi ha stabilito come lo ius aedificandi costituisca un diritto soggettivo connesso al più ampio diritto di proprietà, del quale costituisce corollario, seppur sottoposto a condicio iuris del rilascio del permesso a costruire da parte amministrativa, ormai costantemente qualificato in termini di provvedimento autorizzatorio, che interviene a rimuovere un ostacolo legale all’esercizio di un diritto proprio del titolare del diritto dominicale, non più di una concessione di diritto nuovo.
Appare preferibile, dunque, la tesi che afferma la natura reale del diritto edificatorio poiché il novum legislativo di cui alla riforma del 2011 ha lo scopo di evitare la violazione del principio del numerus clausus che caratterizza tale tipologia di diritti, laddove l’art 2643 c.c. n. 2 bis debba essere letto in uno al conseguente numero 3, che si riferisce alla trascrizione dei contratti che trasferiscono la proprietà o gli altri diritti reali; tale riferimento letterale è sufficiente a ricondurre i diritti edificatori nella più ampia categoria dei diritti reali di godimento, dei quali condividono le caratteristiche e la disciplina, quanto ad es. all’obbligo di forma scritta ex art 1350 c.c., principio consensualistico ex art 1376 c.c. in ordine al perfezionamento del contratto che li concerne e, come già accennato, al regime della trascrizione di cui agli artt 2643 e ss. c.c., con efficacia dichiarativa ed opponibilità dell’acquisto da parte del (primo) trascrivente.
Ciò nonostante, giova evidenziare come la tesi della natura obbligatoria dei diritti reali edificatori sia stata di recente avallata dalla SC, sez V, che con ordinanza del mese di ottobre 2019 ha rimesso gli atti al Primo Presidente per valutare la assegnazione alle SSUU del quesito se un’area prima edificabile e poi assegnata con legge regionale a vincolo di inedificabilità assoluta, sia da considerarsi edificabile ai fini ICI/IMU ove inserita in un programma di compensazione urbanistica non ancora concluso poiché manchevole della individuazione dell’area di atterraggio del diritto edificatorio.
Tale ordinanza, nel prospettare la questione, propende infatti espressamente, almeno con riguardo alla compensazione urbanistica, per la natura obbligatoria del diritto edificatorio, rilevando la sussistenza di un rapporto di credito tra privato e PA comunale, con risvolti sulla effettiva consistenza del diritto di proprietà del privato; secondo la prospettazione offerta dalla sezione rimettente, dunque, il proprietario aderente al procedimento di compensazione urbanistica diventerebbe titolare di un credito compensativo consistente nella attribuzione a titolo indennitario – conseguente alla sopravvenuta inedificabilità dell’area in questione – della fruibilità di cubatura originariamente espressa dal proprio suolo su di un’altra area invece edificabile.
Inoltre, la mancanza di realità dei diritti edificatori è di tutta evidenza soprattutto nella fase del volo, nella quale il diritto edificatorio è sganciato completamente sia dal suolo di decollo che da quello di atterraggio, con conseguente rarefazione dei requisiti di immanenza ed inerenza tipici dei diritti reali.
Fatta tale premessa in ordine all’ubi consistam, alla natura giuridica e disciplina dei diritti edificatori, occorre soffermarsi su di un aspetto problematico che più in generale concerne il trasferimento del diritto di proprietà e dei diritti immobiliari, quale il fenomeno della doppia alienazione e la tutela del primo acquirente non trascrivente.
Il riferimento è ad esempio al caso di doppia alienazione di diritti edificatori, ovvero di alienazione di diritti edificatori con successiva alienazione del fondo di decollo, e viceversa.
In tutti questi casi, il primo acquirente non trascrivente non potrà esercitare i diritti edificatori sul proprio fondo ovvero avrà acquistato un suolo privo, o quasi, di potenzialità edificatoria.
Sul punto, è noto come il sistema della trascrizione, in quanto forma di pubblicità dichiarativa, preveda che il conflitto tra acquirenti del diritto dominicale o diritti reali su di un medesimo immobile sarà risolto a favore di chi abbia trascritto il proprio acquisto per primo: la regola prius in tempore, potior in iure consente al primo trascrivente, anche non primo acquirente, di opporre il proprio acquisto al primo acquirente non trascrivente, come previsto dall’art 2644 c.c.
La trascrizione di tali contratti, invero, ha effetto nei confronti della PA, trattandosi di atti costitutivi del titolo legittimante il rilascio del permesso di costruire a favore dell’acquirente, con la conseguenza che solo il primo trascrivente può chiedere ed ottenere il rilascio del titolo edilizio in questione.
Parallelamente, il comune non può rilasciare tale permesso se non previa verifica della avvenuta trascrizione da parte del richiedente.
Vale la pena considerare che l’ipotesi della doppia alienazione di diritti edificatori non è affatto peregrina, come tale dovendosi approntare forme di tutela per il primo acquirente non trascrivente.
Sul punto non potendo recuperare il bene oggetto di doppia alienazione, per quanto sopra detto, il primo acquirente non trascrivente vanta una azione risarcitoria da inadempimento contrattuale nei confronti dell’alienante, così come ex art 2043 c.c. nei confronti del secondo acquirente primo trascrivente in mala fede, e ciò in quanto è fermo il principio per cui i terzi non possono dolosamente incidere sulle posizioni contrattuali altrui.
La soluzione effettiva, che previene a monte tutte le problematiche è rappresentata dall’istituto del deposito del prezzo presso il notaio, introdotto ex art 1 co 63 L124/2017, in virtù del quale in caso di trasferimento di diritti reali immobiliari detto notaio trattenga il corrispettivo di vendita sino al momento della trascrizione e solo in tale momento potrà rilasciarlo all’alienante.
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