Il Trust è l’atto dispositivo con il quale si conferisce al trasferimento della proprietà una nuova funzione, specifica e peculiare, quella di essere destinata alla realizzazione di uno scopo, in vista del quale la gestione e utilizzo del bene sono vincolati. Lo schema negoziale tipico del Trust contempla il trasferimento della proprietà di un bene da parte del disponente (detto settlor) ad altro soggetto (trustee) cui i beni vengono formalmente intestati, con il compito di amministrare e gestire il patrimonio trasferito, al fine di perseguire uno scopo, individuato previamente dal settlor. L’oggetto del Trust può riguardare, oltre che beni immobili o mobili, anche titoli di credito. Si tratta quindi di un complesso di rapporti giuridici facenti capo ad una persona che possono essere segregati in vista di una finalità specifica, di solito individuata a favore di un beneficiario o di un numero indeterminato di beneficiari. Il negozio in esame si caratterizza per la presenza di tre o quattro soggetti, il disponente (detto settlor), l’amministratore (il trustee), il beneficiario del Trust e il guardiano (o protector). E’ discusso se il disponente possa o meno coincidere con il trustee, l’amministratore dei beni. Non sembra che da questo punto di vista ci siano preclusioni nelle fonti internazionali e nella prassi internazionale. Infatti secondo l’art. 2 della Convenzione dell’Aja sono da considerarsi elementi fondamenti del Trust la presenza dei seguenti elementi: (i) la costituzione del Trust con atto tra vivi o mortis causa; (ii) la formale intestazione dei beni al trustee, (iii) la segregazione del patrimonio destinato rispetto alla titolarità dei beni che sono amministrati dal trustee nell’interesse del beneficiario o con il vincolo di destinazione indicato nel programma esplicitato nell’atto;.(iv) la possibile presenza di un guardiano, deputato al controllo dell’amministrazione posta in essere dal trustee.
La natura giuridica del Trust è molto discussa nel nostro ordinamento giuridico. Un primo problema tecnico attiene alla natura giuridica del conferimento dei beni che vengono trasferiti dal settlor al trustee in base ad un programma specifico e con l’intento di vincolarli al soddisfacimento di un fine predeterminato. L’effetto traslativo del negozio conferirebbe la proprietà formale dei beni al trustee, mentre quella sostanziale, secondo le regole dell’equity sarebbe da riconoscere al beneficiario. La compresenza di un duplice potere dispositivo sul singolo bene o rapporto giuridico rappresenta un serio problema per l’ordinamento italiano dal momento che esso non consente una scissione della proprietà in capo a più soggetti, neanche nell’ipotesi di contitolarità del diritto. Parte della dottrina appare perciò più propriamente schierata verso la tesi che vede nel conferimento dei beni al trustee un negozio unilaterale atipico di carattere traslativo in favore del trustee, individuato come l’unico titolare del potere dispositivo sui beni conferiti nel fondo Trust. E’ questa anche la posizione della prevalente giurisprudenza, da sempre schierata per ritenere l’unico soggetto legittimato ad agire e a contraddire in giudizio per il Trust, il trustee, nella sua qualità di titolare dei rapporti giuridici, soggetto da ritenersi ben distinto dal beneficiario, con il quale non può neanche fisicamente coincidere. Tale costruzione giuridica suggerisce un parallelismo con quanto avviene in tema di contratto a favore di terzo perché, anche in tal caso, la funzione in concreto svolta dall’attribuzione al terzo voluta dallo stipulante può essere la più varia.
Non minori problematiche riveste la questione del riconoscimento al Trust di una personalità giuridica autonoma e distinta dal trustee in ragione della sua specifica rilevanza in tema di trattamento fiscale. Il problema dal punto di vista più propriamente dottrinario, attiene alla inderogabilità del dogma dell’unicità del patrimonio, inteso come complesso di rapporti giuridici facenti capo ad un soggetto. L’ammissione del patrimonio separato, inteso nel senso indicato dalla Convenzione dell’Aja come “massa” distinta da quella del soggetto che ne ha la titolarità, pone l’ulteriore questione dell’atipicità del patrimonio separato nella misura in cui esso si configura come “proprietà destinata”. Tale soggettività è stata da sempre esclusa dalla giurisprudenza, sì da individuare nel trustee l’unico soggetto legittimato nei rapporti con i terzi oltre che obbligato agli adempimenti fiscali. Così, nel caso di rapporto di discendenza fra il settlor e il beneficiario, l’arricchimento realizzatosi con l’istituzione del Trust in capo a quest’ultimo è stato ritenuto alla stregua di una donazione indiretta.
Quanto alla forma, l’art. 3 della Convenzione dell’Aja ne impone la forma scritta, ferma l’esigenza – nel caso di Trust liberale – dell’adozione di una forma idonea a consentire la pubblicità del vincolo e, con essa, l’opponibilità ai terzi. Stante la sua caratteristica di liberalità non donativa, non appare necessaria la forma prescritta dagli artt. 782 c.c. e 48 L. Notarile in tema di donazione, con particolare riguardo alla presenza dei testimoni, anche se, in via prudenziale la forma dell’atto pubblico appare commendevole avuto riguardo a quanto prescritto circa il negozio di destinazione ex art. 2645-ter c.c., per il quale è comunque testualmente imposta tale forma ad substantiam.
Il disponente è, assieme al trustee, la figura centrale del trust, trattandosi del soggetto che decide di conferire i suoi beni vincolandoli al programma. Una volta specificata la natura traslativa dell’atto di trasferimento, non v’è dubbio che il disponente perda la titolarità del bene uscendo sostanzialmente di scena. In realtà la perdita del possesso del bene è soltanto eventuale poiché il disponente potrebbe mantenere – come spesso accade – diritti sul bene che, invece, in altri ordinamenti non sarebbero riconosciuti. E’ ciò che si verifica non infrequentemente allorché viene conferita nel fondo Trust la nuda proprietà del bene, venendo mantenuto l’usufrutto o il diritto di abitazione in capo al settlor. Pur in presenza di tali eccezioni, è comunque certa l’impossibilità da parte del disponente di poter agire nei confronti del trustee in conseguenza delle violazioni commesse nel corso della gestione dei beni vincolati, posto che il trustee, a differenza di quanto accade nel negozio fiduciario, è il fiduciario del rapporto di affidamento e non del disponente. Degli obblighi assunti il trustee dovrà pertanto rispondere, oltre che nei confronti del beneficiario, anche nei confronti del “guardiano” del Trust, nominato in sede di atto istitutivo dal disponente, cioè di colui che viene preposto dal settlor al controllo dell’operato del trustee. L’’art. 2 della Convenzione dell’Aja stabilisce che il disponente possa riservarsi determinati poteri sul fondo costituito in Trust, sempre a condizione che il patrimonio conferito passi sotto il controllo del trustee e diventi formalmente di sua proprietà. Tale disposizione ha fatto ritenere possibile da parte della dottrina l’identità fisica del trustee con quella del disponente o del disponente con quella del beneficiario. Ma l’eventualità è stata recisamente esclusa, oltre che dalla giurisprudenza di merito in materia tributaria, dove è stata vista con sfavore perché valutata alla stregua di un’interposizione fittizia di persona, anche dalla stessa giurisprudenza di legittimità che, nell’analizzare con compiutezza le caratteristiche dell’istituto, ha individuato nel disponente, nel beneficiario e nel trustee tre differenti centri di imputazione di interessi, da ritenersi inconciliabili tra loro.
Ancor oggi si discute della possibilità di riconoscere nel nostro ordinamento il Trust denominato “interno” o autodichiarato che sia disciplinato da altra legislazione, per il quale, in ragione della presenza di elementi di connessione con il territorio italiano, quali il luogo di amministrazione dei beni, la loro collocazione, la residenza abituale del fiduciario, venga richiesto il riconoscimento nello Stato italiano. In base alla disciplina della L. 31/05/1995, n. 218, che stabilisce la prevalenza delle norme di diritto internazionale privato sulle norme di diritto interno, sia precedenti che successive, queste ultime possono essere applicate solo se consentono di realizzare lo scopo contenuto nelle norme di diritto uniforme e purché vi siano rapporti caratterizzati da elementi di internazionalità, nel nostro caso garantiti dalla sottoscrizione della Convenzione dell’Aja da parte dello Stato italiano che l’ha accettata senza riserve. E’ questa la ragione per la quale la giurisprudenza di merito, dopo iniziali perplessità, ha pressoché unanimemente ritenuto l’ammissibilità nel nostro ordinamento del Trust interno, salva la possibilità di disconoscerlo nell’ipotesi in cui la sua applicazione in Italia da parte dei soggetti che ne hanno chiesto il riconoscimento non sia avvenuta in buona fede e sia stato fatto al fine di perseguire interessi non meritevoli di tutela. Il problema è pertanto inquadrabile nel rinvenimento nel nostro ordinamento di una norma che disciplini la “segregazione” della proprietà, intesa come possibilità di imporre dei limiti all’utilizzo del bene da parte del proprietario, in vista di uno scopo o a favore di un beneficiario. Naturale corollario della segregazione è, infatti, la questione inerente la non aggredibilità dei beni del Trust da parte dei creditori dell’intestatario dei beni del Trust, concetto espressamente indicato nella Convenzione dell’Aja all’art. 2 nella parte in cui ha specificato che tali beni “non fanno parte del patrimonio del Trust”, locuzione di non facile interpretazione, tendente ad affermare il principio della loro non assoggettabilità alle pretese creditorie generali, esperibili nei confronti dei soggetti intestatari dei rapporti giuridici conferiti nel Trust. E’stato perciò osservato come le limitazioni poste alla garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c., con particolare riguardo alla riserva di legge prevista dal secondo comma, debbano trovare una loro ragion d’essere nel soddisfacimento di interessi sociali superiori, tali da giustificare gli effetti reali della segregazione. Non è quindi un caso se molti Trust interni siano stati oggetto di pretese revocatorie da parte dei creditori generali dell’intestatario dei beni conferiti nel Trust, essendo stato loro opposto – in sede di esecuzione – il vincolo di destinazione costituito sui beni del loro debitore attraverso l’atto dispositivo.
Con D.L. n. 273/2005 il legislatore italiano ha introdotto nel codice civile l’art. 2645 ter c.c., rubricato “trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni o ad altri enti o persone fisiche”, disposizione che è apparsa a molti idonea a legittimare l’introduzione dell’istituto del Trust nel nostro ordinamento ancorandolo alla realizzazione di una funzione economico-sociale meritevole di tutela. La norma in esame, pur non menzionando espressamente l’istituto del Trust, contiene l’importante previsione dell’effetto segregativo per i negozi di destinazione stipulati in vista della protezione di interessi meritevoli di tutela, prevedendone la trascrivibilità ai fini della loro opponibilità a terzi. La trascrizione riveste, in questi casi, un duplice ruolo fondamentale, una funzione dichiarativa pe quanto riguarda l’opponibilità del negozio ai terzi e una funzione costitutiva, inerente l’effetto segregativo, senza il quale la destinazione non potrebbe di fatto realizzarsi. La segregazione dei beni destinati è tuttavia parziale e imperfetta in quanto i beni conferiti possono costituire comunque oggetto di esecuzione ove i debiti siano contratti a tale scopo. Potranno, pertanto, soddisfarsi sul patrimonio destinato soltanto i creditori il cui credito sia stato contratto per il perseguimento della destinazione, rimanendo privi di tutela i creditori che vantino sul bene un diritto di credito che esuli dalle finalità proprie del patrimonio destinato. Stante la sua collocazione nell’ambito delle norme sulla trascrizione, si è posto, innanzitutto, il problema se l’art. 2645 ter c.c. abbia natura di norma sostanziale o sia semplicemente diretta a disciplinare la trascrivibilità dei negozi di destinazione. La tesi preferibile appare quella che considera l’art. 2645 ter c.c. norma di diritto sostanziale, diretta a disciplinare il negozio di destinazione (e quindi, tra essi, anche il Trust, la cui principale caratteristica è stata individuata dalla stessa Convenzione dell’Aja nell’effetto segregativo). Ciò sarebbe desumibile dal dato testuale della norma che delinea i caratteri sostanziali dell’atto e la disciplina a esso sottesa (beni trasferibili, causa dell’atto, trascrizione, effetto segregativo e opponibilità nei confronti dei terzi e dei creditori). Il negozio destinato è, infatti, costituito, al pari del Trust, da un atto dispositivo da parte di un soggetto conferente, con il quale beni immobili o mobili iscritti vengono destinati a precipue finalità meritevoli di tutela nei confronti di determinate categorie di soggetti.
Sulle modalità di trascrizione del Trust – come facente parte dell’ampio genus dei negozi di destinazione – vi è molta incertezza sia in dottrina che in giurisprudenza, stante la tipicità delle formalità di trascrizione. Le problematiche inerenti tale questione attengono, da un lato, alla trascrivibilità dell’atto e, dall’altro, alle sue concrete modalità. In accordo con la migliore dottrina, chi scrive ritiene che il Trust possa (e debba) essere trascritto, al pari dei negozi di destinazione, a favore del solo trustee, con contestuale pubblicità del vincolo a carico di costui.. Quanto al secondo aspetto, molti gerenti dei Registri Immobiliari propendono a favore dell’orientamento tradizionale in materia di esecuzione della formalità pubblicitarie immobiliari, in base al quale, salvo espressa disposizione legislativa, nella nota di trascrizione vanno indicati i soggetti a favore e contro i quali il negozio è stato perfezionato
Il vincolo di destinazione ha delle caratteristiche stringenti. La norma prevede infatti la possibilità della stipula di tali atti a condizione che essi realizzino interessi meritevoli di tutela, riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni o a soggetti o enti che perseguano tipologie di interessi di natura analoga. Tali interessi caratterizzano fortemente la funzione economico sociale del negozio di destinazione dandogli una valenza sociale tipica non suscettibile di interpretazione estensiva. Il vincolo è pertanto ammissibile nella misura in cui risponda ad esigenze sociali della collettività particolarmente rilevanti attinenti all’assistenza e al sostegno dei soggetti più deboli e degli enti o persone fisiche che possano esprimere bisogni sociali di gruppi e/o beneficiari determinati o determinabili, particolarmente meritevoli di tutela.. Se ne deve concludere che la causa di tali negozi non può che risiedere nella finalità sociale, in difetto della quale il negozio non ha ragione di essere, in linea, peraltro, con le stesse disposizioni della Convenzione dell’Aja che attribuiscono alla destinazione e al conseguente effetto segregativo le caratteristiche di maggiore rilievo dell’istituto del Trust. Il concetto di utilità sociale, intesa come limite interno ed esterno all’autonomia privata richiama, infatti, nell’immediato, la tutela dei diritti sociali e/o fondamentali, suscettibili di protezione e quindi collocabili, secondo la Corte Costituzionale “su di un gradino ancora più alto rispetto al diritto comunitario, che pure, a sua volta, si pone su di un piano superiore rispetto alle norme aventi rango costituzionale”.
L’entrata in vigore della legge N. 112/206, denominata “Dopo di Noi” costituisce la definitiva conferma di quanto appena detto. Tale normativa, sorta con l’intento di definire ed assicurare ai disabili gravi specifiche garanzie patrimoniali, accanto alle misure più squisitamente assistenzialistiche (creazione di un fondo per il sostegno e l’assistenza dei disabili privi di sostegno familiare, finalizzato all’elaborazione di progetti abitativi e programmi residenziali) e alle importanti agevolazioni fiscali, ha previsto all’art. 6 per tutti i negozi di destinazione (e nello specifico anche per il Trust) l’esenzione dal pagamento di imposta di successioni e donazioni, con la possibilità di detrarre nella misura massima del 20% del reddito imponibile e di 100 mila euro annui le erogazioni liberali, le donazioni e gli atti a titolo gratuito effettuati dai privati in favore del Trust. Tali agevolazioni – rilevanti anche per il sostentamento del Trust – sono possibili in presenza dei seguenti requisiti: a) il Trust o il negozio di destinazione devono essere costituiti per atto pubblico; b) nell’atto istitutivo devono essere indicati i soggetti coinvolti, i ruoli, la funzionalità e i bisogni delle persone per le quali il trust è istituito, le attività assistenziali previste col fine di garantire l’autonomia delle persone con disabilità grave; c) l’atto deve indicare gli obblighi del fiduciario e del gestore, chiamati a salvaguardare i diritti della persona con grave disabilità e le modalità di rendicontazione obbligatoria; d) i beneficiari del trust\fondo possono essere soltanto persone con grave disabilità; e) l’atto istitutivo deve stabilire l’identità del soggetto preposto al controllo delle obbligazioni previste, e stabilisce il termine di durata del trust; f) Il gestore o fiduciario può essere sia una persona di fiducia, vicina alla persona con grave disabilità beneficiaria del trust, oppure una Onlus, a patto che operi prevalentemente nel settore della beneficenza; g)la durata del Trust deve coincidere con la vita del beneficiario, ovvero del disabile grave..
La specifica equiparazione del Trust alla più generale categoria dei negozi di destinazione consente di attribuire all’atto istitutivo del Trust l’effetto dell’opponibilità dei terzi nella misura in cui quest’ultimo risponda a specifiche esigenze di tutela della collettività ed assolva ad una funzione economico sociale non solo lecita ma da giudicarsi meritevole. Il richiamo esplicito agli interessi riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni o a enti caratterizzati dal perseguimento degli interessi menzionati all’art. 1322 c.c. ha infatti il significato di consentire all’autonomia privata, di derogare all’uso delle fattispecie tipiche a condizione che vengano perseguiti interessi che l’ordinamento ritiene degni di tutela, il cui controllo è, conseguentemente, affidato al giudice in via successiva, non potendo provvedervi la legge in via preventiva. Di qui, due conseguenze fondamentali: a) la norma di cui all’art. 2645 ter c.c. espressamente richiamata anche nella legge “Dopo di Noi”, nel disciplinare le caratteristiche degli atti dispositivi segregativi, ricomprende fra di essi il Trust così come delineato dalla Convenzione dell’Aja; b) il Trust interno o autodichiarato può essere riconosciuto nell’ordinamento italiano soltanto in presenza delle condizioni indicate dall’art. 2645 ter c.c. ed è suscettibile di specifiche agevolazioni fiscali ove sia costituito in favore di persone affette da gravi disabilità. Il che costituisce la definitiva conferma del fatto che la realizzazione della funzione di utilità sociale nei negozi di destinazione (e con essi anche il Trust) costituisce una condizione imprescindibile per rendere tali atti conformi alle norme inderogabili inerenti il loro riconoscimento come lecito strumento pattizio.
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