Le ordinanze di necessità e di urgenza costituiscono una categoria di atti giuridici rientranti nel novero del più ampio genus dei cosiddetti atti atipici in quanto il contenuto, che si sostanzia a seconda dell’oggetto positivo o negativo in un obbligo o in un divieto, è l’espressione dell’attribuzione da parte dell’ordinamento giuridico di un potere amministrativo eccezionale e straordinario nonché contingentato all’esigenza improcrastinabile di fronteggiare situazioni connotate da una necessità ed un’urgenza tali da non consentire l’ordinario ricorso agli strumenti già tipizzati dal legislatore.
Nell’ambito dell’intricato tessuto connettivo del nostro sistema normativo non è dato, tuttavia, rinvenire né una precisa definizione né una disciplina organica delle ordinanze de quibus in quanto la legge si limita ad indicarne i presupposti, la forma, le materie e i soggetti legittimati ad emanarle. De jure condito, la tanto discussa e lamentata assenza di un riferimento positivo generale sulla natura nonché la disciplina giuridica delle ordinanze di necessità e di urgenza lungi, tuttavia, dal costituire un apprezzabile motivo di perplessità in quanto tale lacuna è ontologicamente strumentale al fondamento giuridico delle stesse: in altri termini essa non può trovare altra giustificazione se non nell’ambito della ben consapevole voluntas legis di non poter attuare le garanzie della tipizzazione, imposte dal principio di legalità, in riferimento a quegli atti che, per le caratteristiche intrinseche sottese alla loro ragion d’essere e validità, devono necessariamente assumere le connotazioni particolari e specifiche imposte dalla situazione concreta e imprevedibile cui intendono far fronte. Rebus sic stantibus, appare, dunque, comprensibile la ragione per cui la necessità, che non è possibile aprioristicamente cristallizzare nelle maglie di una previsione generale ed astratta, purché non diventi la regola, imponga, talvolta, di adottare anche misure contra legem, i cui effetti sospensivi producono un’eccezionale deroga al principio di tipicità in coerenza al brocardo “ necessitas non habet legem, sed ipsa sibi facit legem”.
A tal proposito, proprio la carenza del carattere della tipicità, che contraddistingue la vis ordinatoria delle ordinanze di necessità e di urgenza, costituisce il fulcro della distinzione delle ordinanze de quibus rispetto ai cosiddetti “atti necessitati”. Questi ultimi, invero, pur condividendo con le prime i presupposti di adozione della necessità ed urgenza, sono, ciononostante, atti nominati e tipizzati espressamente dal legislatore per cui non rientrerebbero nella categoria degli atti atipici: basti pensare, ad esempio, agli atti aventi ad oggetto le occupazioni d’urgenza preordinate all’espropriazione di cui all’art. 22- bis del D.P.R. n.
237/2001 che, pur essendo parimenti adottati in casi urgenti e necessari, vengono espressamente disciplinati dal decreto presidenziale per cui, di conseguenza, non pongono alcun problema di collisione con il principio di legalità.
Dal punto di vista strutturale, posto che i fondamentali presupposti della necessità ed urgenza si sono reputati da soli insufficienti a circoscrivere il raggio d’azione di un potere potenzialmente illimitato, grazie all’apporto integrativo sia della dottrina che della giurisprudenza, l’esercizio dello stesso è stato sottoposto non solo a limiti di natura sostanziale ma anche procedurale che insieme ne hanno integrato il fondamento giuridico. Orbene, tra questi ultimi, come è noto, è previsto che l’obbligo di motivazione, sancito già in via generale per il procedimento amministrativo dall’art. 3 della legge 241/90, sia addirittura rinforzato soprattutto nelle ipotesi di maggiore urgenza che, dunque, non esonerano l’Amministrazione dall’assolvimento di un ulteriore obbligo fondamentale relativo al compimento di un’istruttoria adeguata sebbene entro le possibilità consentite dalla situazione eccezionale. Quanto ai limiti sostanziali, questi altri in più occasioni sono stati individuati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, oltre che nell’esigenza del minor sacrificio possibile per i destinatari del relativo provvedimento, nei principi di proporzionalità e di congruità in quanto l’Amministrazione ordinante nell’individuare il contenuto di tali ordinanze deve attenersi “al rispetto dei principi di utilità e congruità del mezzo prescelto in riferimento allo scopo nonché della proporzionalità e coerenza tra le circostanze di fatto e il contenuto dell’atto”.
Con particolare riferimento alla natura giuridica delle ordinanze di necessità e di urgenza, a seguito dell’evoluzione dei notevoli e numerosi sforzi interpretativi, parzialmente ridimensionata sembra la relativa questione, tutt’altro che teorica per le differenti implicazioni non solo sul piano del diritto sostanziale ma anche e soprattutto sul piano processuale, sede privilegiata per la tutela delle posizioni giuridiche soggettive che si intendano lese. Come è noto, secondo un primo orientamento, espressione della cosiddetta teoria normativa, le ordinanze di necessità e di urgenza celerebbero, dietro la veste di fonti di livello secondario, natura sostanzialmente normativa in virtù del contenuto generale ed astratto potenzialmente idoneo a derogare norme di legge. A tale orientamento si contrappone la dottrina contraria che sostiene, invece, la natura formalmente e sostanzialmente amministrativa delle ordinanze extra ordinem e, dunque, provvedimentale, fondando l’assunto sulla considerazione che la temporaneità della situazione eccezionale che esse mirano a regolare mal si concilierebbe con i caratteri propri della normatività e rectius dell’innovoatività, intesa come l’attitudine ad incidere sull’ordinamento giuridico.
Allo stato, la disputa teorica è stata in parte ridimensionata grazie alla prevalenza di un orientamento intermedio e misto che contempla entrambe le soluzioni, a seconda del riscontro concreto degli effetti delle ordinanze nella realtà: sarà, dunque, necessario verificare se l’ordinanza fissi regole generali ed astratte assumendo carattere normativo (ipotesi eccezionale); ovvero analizzare se essa si limiti a regolare casi specifici assumendo la natura di atto amministrativo provvedimentale, (regola generale).
Un approfondimento, a tal proposito, merita la disamina relativa alla natura giuridica delle ordinanze di necessità e di urgenza adottate da alcune Regioni Italiane per fronteggiare la situazione di emergenza nazionale legata alla diffusione del corona virus. Tra queste, hanno suscitato non poche perplessità quelle adottate dal Presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana e dal Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca e che hanno prestato il fianco ad ulteriori spunti di criticità in relazione ad uno strumento eccezionale che si manifesta in tutta la sua trasversalità, per le importanti implicazioni anche negli altri settori dell’ordinamento giuridico diversi dal diritto amministrativo, primo fra tutti quello costituzionale nonché quello penale.
Talune di queste ordinanze sono state additate dalla dottrina costituzionalista non solo come “incostituzionali”, poiché emanate in materie coperte da riserva di legge assoluta; ma anche illegittime, a causa delle disposizioni più restrittive rispetto a quelle contenute nella fonte primaria di riferimento nonché legge provvedimento, individuata nel decreto legge del 23 febbraio 2020 n. 6 convertito dalla legge 5 marzo 2020 n. 13 recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, in seguito e più nel dettaglio integrate dai successivi decreti ministeriali, di cui alla legge 400/1988, attuativi del suddetto decreto, tra i quali il D.P.C.M. n. 21 del 09 marzo 2020 emanato dal Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte.
Con particolare riguardo allo scenario campano, bersaglio delle critiche è stata l’ordinanza n. 15 del 13 marzo 2020 della Regione Campania in relazione alla quale il chiarimento n. 6 del 14 marzo 2020 ha precisato che l’attività sportiva o ricreativa all’aperto in luoghi pubblici o aperti al pubblico non fosse da ritenersi consentita sul territorio regionale campano ad onta di quanto ammesso, invece, sebbene ad una condizione ben precisa, sul restante territorio nazionale dal D.P.C.M. n.21/2020 attuativo del decreto legge sopracitato.
La questione, che deve essere imprescindibilmente analizzata mediante la lente dei principi generali sottesi alla gerarchia delle fonti e alle eventuali forme di coordinamento tra queste, presuppone preliminarmente una breve disamina circa la natura giuridica dell’ordinanza sopracitata.
Orbene, non è revocabile in dubbio che trattasi di ordinanza eccezionale ed urgente emanata per fronteggiare e contenere a livello regionale un’emergenza sanitaria che in pochissimi giorni ha assunto una portata non solo nazionale ma addirittura mondiale, tanto da indurre l’OMS a dichiarare lo stato di pandemia. Posto che le ordinanze regionali in questione non si riferiscano a situazioni particolari e concrete ma contengano un generale divieto di esercizio di attività ludiche e sportive all’aperto nonché un inasprimento delle sanzioni susseguenti alle violazioni delle misure di contenimento, è plausibile optare ai fini dell’inquadramento per la soluzione normativa, per cui si tratterebbe di atti formalmente amministrativi ma sostanzialmente normativi. Medesima discrasia tra l’elemento formale e il contenuto sostanziale dell’atto si riscontra anche in quegli atti formalmente legislativi ma sostanzialmente normativi rappresentati dalle controverse leggi provvedimento, ovvero quelle leggi in cui l’elemento formale – che è
alla base della classificazione gerarchica delle fonti e che è relativo al regime giuridico conseguente al procedimento di adozione degli atti giuridici e che conferisce loro un determinato nomen juris – non corrisponde al contenuto sostanziale, in quanto queste, pur assumendo una veste normativa, sono dotate di un contenuto provvedimentale finalizzato alla regolamentazione di casi specifici e particolari.
Nel caso de quo la fonte idonea ad assumere i connotati della legge provvedimento è indubbiamente il decreto legge n. 6 del 23 febbraio 2020 in quanto, pur essendo questo formalmente un atto avente forza di legge, contiene delle previsioni specifiche e puntuali in merito ai divieti e alle modalità di contenimento del contagio, costituendo, pertanto, la norma quadro di riferimento cui devono attenersi le altre autorità competenti nell’adozione delle rispettive misure di attuazione. Del resto la stessa legge provvedimento in esame, dopo aver elencato all’art. 1 tutta una serie di divieti, al secondo comma dell’art. 3, autorizza espressamente l’adozione nonché l’attuazione delle misure di contenimento di cui agli artt. 1 e 2 mediante il rinvio alle norme che disciplinano il ricorso in casi eccezionali alle ordinanze di estrema necessità ed urgenza, ovvero gli artt. 32 della legge del 23 dicembre n. 833/1978 e l’art. 117 del decreto legislativo n. 112/98, senza, ciononostante, meglio specificare il riparto di competenze relativo all’esercizio della potestà amministrativa per fronteggiare l’emergenza tra le autonomie regionali e l’autorità statale centrale.
Il primo rinvio normativo concerne la legge istitutiva del servizio sanitario nazionale, la Legge n. 833 del 23 dicembre 1978, la quale all’art. 32 – oltre ad attribuire al Ministero della Sanità il potere di emettere ordinanze contingibili ed urgenti in materia di igiene e sanità pubblica o di polizia veterinaria con efficacia estesa all’intero territorio nazionale o parte di esso comprendente più regioni – al terzo comma prevede che, nelle medesime materie, sono emesse dal Presidente della Giunta regionale e dal Sindaco ( ex art. 50 del D. Lgs. 267/2000 Testo Unico degli Enti locali) ordinanze contingibili ed urgenti con efficacia estesa rispettivamente alla Regione o parte del suo territorio comprendenti più comuni o al territorio comunale.
Il secondo rinvio fa, invece, riferimento al D. Lgs n. 112 del 31 marzo 1998 contenente disposizioni inerenti al conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli Enti Locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo n. 59/1997. Premesso che, ai sensi del presente decreto, attengono alla tutela della salute umana le funzioni e i compiti rivolti alla promozione, alla prevenzione, al mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica della popolazione, in linea con gli obiettivi della legge istitutiva del servizio sanitario nazionale, è doveroso evidenziare come l’art. 117 del presente decreto, rubricato “Interventi d’urgenza” riconosca, in caso di emergenze di carattere sanitario non aventi carattere esclusivamente locale, l’adozione dei provvedimenti di urgenza “allo Stato o alle Regioni” in ragione della dimensione dell’emergenza e dell’eventuale interessamento di più ambiti regionali.
Tali rinvii, dunque, quantunque da un lato, costituiscano l’ulteriore conferma del favor autonomiae, desumibile d’altronde già dal combinato disposto di cui agli artt. 5 e 114 comma 1 della Costituzione, nonchè del riconoscimento di una piena equiparazione tra gli enti territoriali e lo Stato, – in quanto entrambi costituiscono la Repubblica e sono da essa riconosciuti nella logica dei principi del decentramento, dell’autonomia e del policentrismo autarchico e istituzionale – dall’altro, nulla hanno specificato riguardo al riparto di competenze della potestà amministrativa creando i presupposti per l’esercizio incontrollato e potenzialmente arbitrario del potere amministrativo regionale.
A tal proposito, si devono, però, effettuare due ordini di considerazioni: in primo luogo non è illogico ritenere che una tale assenza di coordinamento possa essere stata causalmente giustificata dal rilievo che illo tempore il livello epidemico non fosse così omogeneo in tutte le regioni italiane ( tanto che in alcune di queste non vi era alcun contagio), per cui sarebbe stato eccessivo adottare su tutto il territorio nazionale misure di contenimento che in quel momento si rendevano particolarmente necessarie esclusivamente nelle aree dei focolai delle regioni del nord Italia più colpite.
In secondo luogo, vero è che la tutela della salute rientra tra le materie di potestà legislativa concorrente elencate al terzo comma dell’art. 117 della Costituzione – ambiti in cui la legislazione statale si limita a dettare norme di principio lasciando la specificazione di dettaglio alla legislazione regionale – ma è anche vero che, avendo la riforma costituzionale del titolo V sugellato il superamento del previgente principio del parallelismo tra la potestà legislativa e quella regolamentare, tale delimitazione si riferisce esclusivamente alla potestà legislativa e non anche a quella regolamentare per la quale vige, invece, una clausola più elastica rispetto al rigido riparto di competenze legislative e che è rappresentata dal principio di sussidiarietà di cui all’art. 118, comma 1 Cost: pertanto, se da un lato, il Comune diviene l’epicentro territoriale delle funzioni amministrative in quanto realtà territoriale più vicina ai cittadini; dall’altro, la clausola di salvaguardia prevede che “per assicurarne l’esercizio unitario” le funzioni amministrative siano conferite nell’ordine alle Province, alle Città Metropolitane, alle Regioni e, infine, allo Stato in virtù dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
Pertanto, proprio in ossequio al principio di sussidiarietà di cui al primo comma dell’art. 118 Cost., il Presidente De Luca, considerati l’aumento vertiginoso dei contagi e l’impossibilità del sistema sanitario regionale campano di far fronte ad un picco pari a quello avvenuto in Lombardia o in Veneto, ha ulteriormente inasprito le misure di contenimento mediante il divieto di effettuare passeggiate e di svolgere attività sportive e motorie all’aperto, attività non contemplate, invece, dalla norma nazionale primaria di riferimento, ma ammesse da una fonte di rango secondario, il D.P.C.M. n. 6/2020, che lascerebbe intendere, sebbene con qualche imprecisione di carattere logico rispetto agli unici tre casi in cui si ammette la possibilità di circolazione, l’ammissibilità delle suindicate attività a condizione che sia possibile garantire la distanza interpersonale di un metro.
Orbene, premesso che, quanto all’accusa di incostituzionalità alcuna riserva di legge è stata violata poichè una norma di rango primario o meglio un atto avente forza di legge sia già intervenuta nelle materie coperte da riserva di legge assoluta e relative alla libertà personale, al diritto alla salute e alla libertà di circolazione, nemmeno alcun rimprovero di illegittimità sembrerebbe essere fondato perché le ordinanze de quibus sono motivate da constatazioni di fatto che sono suggerite dalla norma di attuazione della norma primaria di riferimento stessa, laddove specifica che le attività sportive siano ammesse solo a condizione che sia possibile garantire la distanza interpersonale di un metro. Dunque, poiché appare inverosimile pretendere che il dispiegamento delle forze dell’ordine su tutto il territorio regionale, per quanto capillare possa essere, sia sufficientemente idoneo a verificare che ogni singolo cittadino rispetti la prescrizione inerente la distanza interpersonale, il Governatore della Regione Campania ha ritenuto opportuno vietare in maniera assoluta qualsiasi tipo di attività sportiva, motivando l’ordinanza con l’esigenza preventiva di contenere quanto più possibile il rischio relativo al picco di contagi “tenuto conto delle gravissime ed irreparabili conseguenze collegate all’eventuale ulteriore incremento delle positività al virus e del concreto rischio di paralisi dell’assistenza agli ammalati a causa dell’insufficienza di strutture e strumentazioni idonee, allo stato, a fronteggiare un aggravio dell’emergenza già in essere, stante la crescita esponenziale della curva di contagio scientificamente attestata con riferimento ai territori nei quali i focolai si sono registrati antecedentemente”. Di conseguenza, sebbene apparentemente questa appaia come una misura eccessivamente severa e lesiva delle libertà personali e di circolazione dei cittadini campani, essa rappresenta, invero, l’esito di un sofferto e doveroso bilanciamento di valori in cui l’interesse pubblico prevalente che si è inteso preservare in un contesto eccezionale come quello relativo all’ emergenza e come confermato anche dal Tar Campania il 18.03.2020 in occasione del respingimento dell’istanza di sospensione cautelare avverso la discussa ordinanza, è stato indubbiamente la tutela della salute pubblica, tra l’altro previsto come limite espresso alla libertà di circolazione ex art. 16 della Costituzione.
Infine, allo stato attuale, in seguito alla pronuncia del Tar Campania e alla progressiva espansione della diffusione del virus su tutto il territorio nazionale italiano, il problema del mancato coordinamento tra la potestà amministrativa extra ordinem centrale e periferica è stato prontamente risolto con l’adozione di un’ulteriore legge provvedimento, il Decreto Legge n. 19 del 25 marzo 2020, con la quale il Governo, mediante la medesima elasticità del sopra richiamato principio di sussidiarietà di cui all’art. 118, comma 1 Cost, disponendo che i sindaci, e rectius i presidenti delle regioni, non possano adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza in contrasto con le misure statali, ne’ eccedendo i limiti di oggetto di cui al comma 1 dell’art. 2, ha completamente avocato a livello centrale la potestà amministrativa, per cui i contenuti e i limiti del potere ordinatorio straordinario dei Governatori delle regioni sono ora dettagliatamente disciplinati dall’art. 1 del nuovo decreto al fine di meglio fronteggiare un’emergenza di carattere nazionale che richiede irrimediabilmente degli interventi univoci.
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