Con sentenza del 30 novembre 2021 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha respinto nel merito il ricorso presentato dall’Associazione politica nazionale lista Marco Pannella e radicali italiani proposto nel 2013 contro lo Stato Italiano per avere soppresso la trasmissione “tribuna politica” e aver così privato la ricorrente dall’esercizio della libertà di espressione politica
La Corte, dopo aver rammentato di avere già esaminato in precedenza delle cause relative al divieto di accesso alle trasmissioni televisive riguardante un partito politico (VgT Verein gegen Tierfabriken c. Svizzera, n. 24699/94, CEDU 2001-VI e TV Vest AS e Rogaland Pensjonistparti c. Norvegia, n. 21132/05, CEDU 2008 (estratti)) o al divieto di diffusione di annunci pubblicitari di natura politica (Animal Defenders International c. Regno Unito [GC], n. 48876/08, § 78, CEDU 2013) ha osservato che “l’ingerenza lamentata dalla prima ricorrente ( la seconda ricorrente – Radicali italiani – e’ stata ritenuta carente di legittimazione) non riguarda un divieto di accesso alle trasmissioni televisive, ma deriverebbe piuttosto dall’inerzia della commissione di vigilanza che ha comportato la soppressione di una trasmissione diffusa dal servizio radiotelevisivo pubblico, ragione per cui se ingerenza c’era stata essa riguardava un caso previsto dalla legge.
Ha quindi ritenuto che la questione fondamentale riguardava se la Commissione di vigilanza avesse adottato una soluzione proporzionata allo scopo legittimo perseguito, e se i motivi invocati dal Governo per giustificarla potessero essere ritenuti pertinenti e sufficienti (si veda Magosso e Brindani c. Italia, n. 59347/11, § 45, 16 gennaio 2020).
A riguardo la prima ricorrente affermava che la soppressione delle «tribune politiche» le aveva impedito di esprimere le proprie opinioni e di diffondere informazioni su argomenti di interesse pubblico. Ciò in quanto la scelta di cessare di trasmettere le «tribune politiche» era motivata dalla volontà delle autorità responsabili di privilegiare altre trasmissioni, in particolare le trasmissioni di informazione politica, che favoriscono le forze politiche più popolari. In particolare, tali trasmissioni, pur se obbligate a rispettare il principio del pluralismo, finivano per presentare sistematicamente due schieramenti opposti, ripetendo all’infinito uno schema rigido che esclude i movimenti politici considerati minoritari
Il Governo non contestava che, a partire dal 2008, la commissione di vigilanza non ha più adottato istruzioni relative alle «tribune politiche», ma ha evidenziato che la soppressione di tali trasmissioni non avesse comportato una violazione del diritto, per la prima ricorrente, di manifestare le sue opinioni politiche, in quanto le «tribune politiche» erano state sostituite da altre trasmissioni che riguardavano tematiche politiche.
La Corte, dopo aver ricordato il principio secondo cui “non vi è democrazia senza pluralismo” più volte indicato nei suoi precedenti arresti, ha affermato che la libertà della stampa fornisce all’opinione pubblica uno dei mezzi migliori per conoscere e giudicare le idee e i comportamenti dei dirigenti. Più in generale, il libero gioco del dibattito politico è al centro della nozione di società democratica sulla quale è interamente basata la Convenzione, ragione per cui i media audiovisivi hanno un ruolo particolarmente importante da svolgere a tale riguardo. A causa del loro potere di far passare dei messaggi attraverso il suono e l’immagine, hanno effetti più immediati e più potenti della stampa scritta (Jersild c. Danimarca, 23 settembre 1994, § 31, serie A 298, Pedersen e Baadsgaard c. Danimarca [GC], n. 49017/99, § 79, CEDU 2004-XI, e Murphy c. Irlanda, n. 44179/98, § 74, CEDU 2003-IX).
La Corte ha pertanto considerato che, nell’ambito della trasmissione radiotelevisiva, questi principi impongono allo Stato (Manole, sopra citata, 99, Informationsverein Lentia e altri c. Austria, 24 novembre 1993, § 38, serie A n. 276, VgT Verein gegen Tierfabriken, sopra citata, §§ 44-47), l’obbligo di garantire, da una parte, l’accesso del pubblico, per il tramite della televisione e della radio, a informazioni imparziali ed esatte, nonché a una pluralità di opinioni e di commenti che rispecchiano, in particolare, la diversità delle opinioni politiche nel paese, e, dall’altra, la protezione dei giornalisti e degli altri professionisti dei media radiotelevisivi dagli ostacoli alla comunicazione di tali informazioni e commenti.
Tuttavia, la scelta dei mezzi attraverso i quali questi scopi devono essere raggiunti deve variare in funzione delle condizioni locali e rientra dunque nel margine di apprezzamento dello Stato di talchè l’articolo 10 non obbliga in alcun modo gli Stati a creare un tale servizio quando sono messi in atto altri mezzi allo stesso scopo.
Applicati tali principi di diritto al caso di specie, la Corte ha osservato che “il regime giuridico italiano che inquadra la diffusione delle opinioni politiche alla televisione distingue le trasmissioni di «comunicazione politica», tra cui le «tribune politiche», dalle trasmissioni di informazione, tra cui i programmi di approfondimento politico. Le prime sono concepite come un mezzo per diffondere il messaggio dei partiti politici, le seconde inseriscono tale messaggio in un contesto dinamico legato all’attualità. Entrambe hanno lo scopo di contribuire al dibattito politico nazionale, garantendo la diffusione delle opinioni e delle idee e il pluralismo dell’informazione”.
La Corte ha pertanto ritenuto che:
- non si tratta in questo caso di un divieto assoluto di accesso alle trasmissioni televisive di natura politica, imposto a un partito politico, il che potrebbe essere incompatibile con l’articolo 10 della Convenzione.
- la soppressione delle «tribune politiche» è stata frutto di una scelta politica legittimamente espressa dalla commissione di vigilanza, che non ha più fornito alla RAI le istruzioni necessarie per organizzare tali trasmissioni
- il format delle «tribune politiche» è stato concepito all’inizio degli anni 1970, in un contesto sociale completamente diverso da quello attuale. Tali trasmissioni miravano a offrire ai partiti politici uno strumento di discussione e di dibattito esterno al Parlamento e rivolto in maniera privilegiata al grande pubblico
- la prima ricorrente non è stata l’unico «soggetto politico» ad aver subìto gli effetti della soppressione delle tribune politiche perché tutte le forze politiche che vi partecipavano, senza distinzioni, hanno subìto le conseguenze di tale soppressione
CONCLUSIONI
La Corte ha osservato che “la sostituzione progressiva delle «tribune politiche» con programmi di approfondimento politico permette alla RAI di beneficiare di una maggiore flessibilità e, dunque, di una più ampia libertà editoriale. Perciò, l’inerzia della commissione di vigilanza e l’interruzione di un nuovo ciclo di «tribune politiche» devono essere ricollocate nel contesto di un sistema radiotelevisivo pubblico che offre ormai alla prima ricorrente altre possibilità concrete di diffusione delle sue idee e opinioni (Animal Defenders International, sopra citata, § 124). L’abbandono delle «tribune politiche» deve essere pertanto considerato nell’ambito dell’evoluzione generale del sistema radiotelevisivo pubblico italiano. Tale evoluzione vede la progressiva riduzione del ruolo diretto del potere politico e riconosce, rispetto al passato, una maggiore autonomia editoriale a ciascuna rete televisiva, nonché alle redazioni responsabili delle trasmissioni di informazione, allo scopo di promuovere l’imparzialità, l’obiettività e il pluralismo dell’informazione. Se ne deve concludere che “la soppressione delle «tribune politiche» non ha privato la prima ricorrente della possibilità di diffondere le proprie opinioni e che, in queste circostanze, tale soppressione non può tradursi in un’ingerenza sproporzionata nel diritto dell’interessata alla libertà di espressione”.
Scrivi un commento
Devi accedere, per commentare.