La disciplina e le problematiche attinenti alle promesse unilaterali non possono prescindere da una breve analisi delle categorie tipiche del diritto positivo di fatto, atto e negozio giuridico.
Si parla di “fatti giuridici” per riferirsi all’insieme di tutti gli accadimenti umani e naturali al verificarsi dei quali l’ordinamento giuridico ricollega la nascita, la modificazione ovvero l’estinzione di diritti o di doveri.
Per i fatti giuridici umani è necessaria la capacità naturale di intendere e di volere e ciò si deduce dall’art. 2046 c.c., il quale sancisce che non risponde del fatto dannoso colui che, al momento della commissione del fatto, non aveva la capacità di intendere e di volere. Si parla, invece, di “atti giuridici”, per riferirsi a quella sottocategoria di fatti umani, connotati da consapevolezza e volontà, a cui l’ordinamento ricollega determinati effetti giuridici proprio in ragione della consapevolezza e volontà da parte dei soggetti coinvolti.
Solitamente si suole suddividere gli atti giuridici in dichiarazioni di volontà e dichiarazioni di scienza, a seconda che, rispettivamente, il soggetto titolare dell’atto abbia voluto provare l’esistenza di un fatto, ovvero, abbia voluto creare, modificare o estinguere un determinato rapporto.
Per porre in essere un atto giuridico è necessaria, ai sensi dell’art. 2 c.c., la capacità di agire.
Sono, infine, “negozi giuridici” quegli atti giuridici posti in essere da un soggetto che, non limitandosi ad esprimere una generica consapevolezza e volontarietà, esprime una specifica volontà circa gli effetti dell’atto posto in essere.
La categoria del negozio giuridico, teorizzata dai giuristi tedeschi a partire dall’inizio dell’Ottocento, non risulta accolta dal sistema delineato dal Codice civile che, per l’appunto, seguendo il modello francese, non menziona tale categoria. Nella teorizzazione del negozio giuridico, dunque, si pone al centro dell’attenzione l’elemento della volontà degli effetti dell’atto posto in essere, come elemento preminente della fattispecie.
Ebbene, all’interno della categoria dei negozi giuridici, si distinguono: dal punto di vista soggettivo, negozi unilaterali, bilaterali e plurilaterali; dal punto di vista oggettivo, negozi patrimoniali e non patrimoniali; dal punto di vista causale, negozi giuridici mortis causa ovvero inter vivos.
Tra i negozi giuridici unilaterali, patrimoniali, inter vivos ricordiamo le promesse unilaterali. In assenza di una definizione codicistica, la promessa unilaterale può essere definita come quella dichiarazione proveniente da un soggetto in base alla quale, appunto, un soggetto, detto promittente, assume un’obbligazione a favore di un soggetto diverso, detto beneficiario, senza che sia a tal fine necessaria l’accettazione del destinatario.
La promessa unilaterale può essere assunta mediante la stipulazione di un contratto ovvero essere contenuta in una dichiarazione unilaterale.
Nell’indicare quali sono le fonti delle obbligazioni, l’art. 1173 c.c. dispone, infatti, che anche altri atti – diversi da contratto o da fatto illecito – sono idonei a produrre obbligazioni giuridicamente vincolanti, pertanto dovendosene dedurre altresì l’inclusione delle promessi unilaterali. Quanto all’oggetto della promessa unilaterale, essa può riguardare tanto un’obbligazione di fare (prestazioni in senso tecnico), ma anche obblighi di astensione (es. proposta irrevocabile, art. 1329 o quietanza di pagamento, art. 1988) o obbligazioni di un terzo (art. 1381).
Alle promesse unilaterali, che sono, come visto, atti-negozi unilaterali, patrimoniali, inter vivos, si applica l’art. 1324 c.c., il quale dispone che, salvo che la legge disponga altrimenti, agli atti unilaterali si applichino le norme sui contratti.
Per quanto attiene specificamente alle promesse, poi, l’art. 1987 c.c. dispone che la promessa unilaterale non produce effetti obbligatori al di fuori dei casi ammessi dalla legge e, dunque, occorre verificare se, con tale norma il legislatore abbia inteso relegare alle sole ipotesi di promesse unilaterali tipiche l’ambito di operatività delle promesse unilaterali. Secondo un primo orientamento, a lungo dominante, infatti, le uniche promesse unilaterali produttive di effetti erano quelle tipiche previste dalla legge, tra cui, oltre a quelle già citate (proposta irrevocabile, promessa dell’obbligazione o del fatto del terzo), la promessa di pagamento, la ricognizione di debito (art. 1988 c.c.) e la promessa al pubblico (artt. 1989-1991 c.c.). Alla base di questa teoria vi era l’assunto per cui il consenso e il contratto erano il centro del sistema: del resto la non menzione esplicita delle promesse unilaterali nell’art. 1173 c.c. che, invero, parla solo di “atti” e la previsione di un limite espresso come quello di cui al citato art. 1987 c.c. parrebbero elementi a conforto della tesi esposta.
Tra l’altro, i sostenitori di questa tesi aggiungevano che nel nostro ordinamento vige il principio causale, in base al quale ogni spostamento di ricchezza deve essere suffragato da ragioni che l’ordinamento individua come causa idonea; ebbene, se fossero ipotizzabili promesse unilaterali atipiche, le stesse sfuggirebbero a tale principio causale e vi sarebbe il rischio dell’esistenza di spostamenti patrimoniali aventi il loro fondamento solo nelle promesse (promitto quia promitto).
Inoltre, ancora secondo tale tesi, pur vigendo nel nostro ordinamento il principio di libertà delle forme, se si ammettessero le promesse atipiche, si correrebbe il rischio dell’elusione di forme prescritte dalla legge per realizzare particolari forme di liberalità: al posto che realizzare una donazione attraverso la formazione di un atto pubblico davanti a testimoni, si potrebbe eludere tale regola mediante la realizzazione di una liberalità attraverso una promessa unilaterale. Tale tesi, tuttavia, è stata perlopiù superata, assieme con l’idea della centralità del contratto che la sosteneva.
Innanzitutto, l’argomento che riteneva che le promesse unilaterali atipiche potessero sfuggire al principio causale è presto neutralizzato se si pensa che l’art. 1324 c.c. impone il rispetto delle norme che regolano i contratti anche per gli atti unilaterali e, quindi, si applicano alle promesse unilaterali anche gli artt. 1325 in tema di necessità della sussistenza del requisito causale, nonché l’art. 1322, comma 2, c.c., che postula la possibilità di addivenire alla stipulazione di contratti atipici (in questo caso, promesse unilaterali atipiche) purché realizzativi di interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento. Secondo tale indirizzo, poi, non vi sono problemi neppure per quanto concerne il problema del rispetto del principio della intangibilità della sfera giuridica soggettiva altrui, che potrebbe risultare compromesso da una promessa unilaterale: infatti, nel nostro ordinamento, vige sì il principio della intangibilità della sfera giuridica soggettiva altrui, ma solo per quanto attiene agli effetti negativi-sfavorevoli, dovendo restare ammessa la possibilità di formare promesse unilaterali valide ed efficaci seppur realizzative di effetti positivi nella sfera giuridica soggettiva altrui.
Si ricordi, tra l’altro, che il principio di relatività degli effetti favorevoli prodotti dal contratto o dalla promessa di altri è garantito dalla possibilità di rifiuto, come previsto dall’art. 1333 c.c. Ebbene, è proprio nell’art. 1333 c.c. che i sostenitori della tesi oggi dominante trovano il fondamento normativo e la configurazione della promessa unilaterale.
A dispetto della rubrica, infatti, la norma in questione descrive l’istituto della promessa unilaterale, sancendo che essa produce i suoi effetti nel momento in cui giunge a conoscenza del destinatario a prescindere dal consenso di quest’ultimo, il quale può rifiutarla.
In base a tale tesi, infine, l’art. 1987 c.c. deve essere letto e interpretato riferendosi alle sole promesse unilaterali acausali, ragione per cui sarebbe possibile derogare al divieto in questione ritenendo ammissibile fra le parti di un contratto normativo con la possibilità di assumere future obbligazioni a mezzo di promesse unilaterali, situazionc che impedirebbe alla parte che abbia subito l’inesecuzione della promessa di chiederne l’adempimento lasciando alla stessa solo la facoltà di potere richiedere il risarcimento dei danni.
Concludendo, le promesse unilaterali, ammesse dall’ordinamento nella loro forma tipica, per il principio dell’autonomia negoziale sono ammissibili anche nella forma atipica anche se, in quest’ultimo caso, non sono assistite da alcuna tutela volta ad ottenerne l’esecuzione specifica.
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