I regolamenti, fonte secondaria per eccellenza, costituiscono la principale espressione del potere di autonomia normativa riconosciuto dalla legge alle amministrazioni centrali e periferiche.
La stessa definizione di regolamento ora delineata mette in luce la natura “bifronte” degli atti in questione: formalmente amministrativi ed al contempo sostanzialmente normativi.
Dal profilo soggettivo ne deriva, come da sempre sostenuto dalla dottrina tradizionale, la sicura impugnabilità degli stessi in sede giurisdizionale, in ossequio al principio costituzionale secondo il quale avverso gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale (art.113 Cost.).
D’altra parte, il carattere normativo del regolamento, ed in particolare l’astrattezza e la generalità delle previsioni in esso contenute rendono l’atto in questione difficilmente lesivo della sfera giuridica dei destinatari in via diretta ed immediata.
È proprio partendo dalla distinzione tra regolamento immediatamente lesivo e regolamento che abbisogna di un provvedimento attuativo per esplicare i suoi effetti lesivi che la giurisprudenza ha enucleato la summa divisio tra regolamenti cd. di volizione-azione e regolamenti cd. di volizione-preliminare ed ha sottoposto gli stessi ad un diverso regime impugnatorio.
I primi, in quanto immediatamente lesivi, devono essere impugnati autonomamente entro il consueto termine previsto per i provvedimenti amministrativi, decorrente dalla data di adozione del regolamento.
La mancata impugnazione del regolamento entro il termine di decadenza preclude l’impugnazione degli atti attuativi ove mutuino il vizio dal regolamento non impugnato.
I secondi, per contro, non esplicando effetti diretti, possono essere impugnati solamente secondo il meccanismo della cd. doppia impugnativa, ovvero congiuntamente al provvedimento attuativo ed il termine decadenziale sarà da computarsi dall’adozione di quest’ultimo. È solo da questo momento, infatti, che può essere riconosciuto l’interesse attuale e concreto del destinatario all’annullamento del regolamento.
Infine, in caso di regolamenti misti, il regime di impugnazione varierà a seconda della natura delle disposizioni oggetto di contestazione.
Oltre al meccanismo impugnatorio ora accennato, la tutela del destinatario del regolamento illegittimo è completata, secondo la teoria tradizionale, dalla previsione del potere di disapplicazione che gli artt. 4-5 L.A.C. riconoscono in capo al G.O. In particolare, nei casi di giudizio attinente ai diritti soggettivi, ove venga in rilevo il regolamento ai fini della risoluzione della controversia, il G.O. può accertare in via incidentale l’illegittimità dello stesso, privandolo quindi l’atto di efficacia con riferimento al caso in esame.
La possibilità di disapplicazione del regolamento illegittimo da parte del G.A. è stata tradizionalmente limitata alle sole ipotesi di giurisdizione esclusiva, non rilevando in questo caso i termini di decadenza. Al contrario, nelle ipotesi di giurisdizione sulle posizioni di interesse legittimo, la disapplicazione era esclusa con fermezza in quanto avrebbe comportato una ingiustificata elusione del termine di decadenza per l’impugnazione dell’atto.
Più di recente, un filone giurisprudenziale che ha via via acquisito importanza ha operato una rivisitazione della teoria tradizionale, aprendo le porte alla disapplicazione del regolamento illegittimo da parte del G.A. a prescindere dall’oggetto del giudizio. In particolare, il Consiglio di Stato, occupandosi di un caso di contrasto tra regolamento illegittimo e provvedimento attuativo conforme alla legge (cd. antipatia), ha messo in evidenza l’esigenza di valorizzare il carattere essenzialmente normativo del regolamento. Da questo ne deriverebbe che, alla luce dei principi dello iura novit curia e di gerarchia delle fonti, il giudice sarebbe da un lato tenuto a conoscere del regolamento a prescindere dalla prospettazione fattane dalle parti e dall’altro, a far prevalere, in caso di contrasto tra legge e regolamento, la fonte sovra-ordinata.
Successivamente, la teoria in questione è stata estesa anche alle ipotesi di cd. simpatia, ovvero ai casi in cui il provvedimento mutui il vizio dal regolamento illegittimo.
È stato inoltre precisato che in quest’ultimo caso sarebbe più opportuno parlare di “invalidazione” ed altresì che la disapplicazione in questione costituisce una forma di disapplicazione normativa (ovvero atta a risolvere le antinomie tra fonti), da tenere ben distinta dalla diversa ipotesi di disapplicazione provvedimentale.
Sebbene la teoria della disapplicazione sia stata ripetutamente ribadita dai giudici amministrativi, sulle diverse sfumature di questa, nonché sul rapporto tra disapplicazione ed annullamento, il dibattito non è ancora sopito.
In particolare, con riguardo a quest’ultimo profilo due sono le posizioni dottrinali sul punto: secondo un primo orientamento la disapplicazione dovrebbe considerarsi uno strumento alternativo ma non sostitutivo dell’annullamento; secondo una seconda tesi, al contrario, la disapplicazione sarebbe completamente alternativa alla tutela demolitoria. A sostegno di quest’ultima posizione si è argomentato che la disapplicazione offre al ricorrente il pieno soddisfacimento del proprio interesse, garantendo al contempo un adeguato bilanciamento con i contrapposti interessi dei controinteressati. A ciò si è aggiunto che la disapplicazione appare maggiormente coerente con le esigenze di certezza connesse alla natura diffusa del sindacato sui regolamenti, la quale impone soluzioni atte ad evitare il contrasto di giudicati.
Quest’ultimo orientamento, sostenuto da autorevole dottrina e maggioritario nella giurisprudenza più recente, appare preferibile in quanto valorizza ancora una volta la natura normativa dei regolamenti, garantendo un adeguato contemperamento delle varie esigenze in campo.
Deve però essere precisato che la soluzione in questione deve considerarsi percorribile solamente con riguardo ai regolamenti cd. di volizione-preliminare in quanto solamente detta tipologia di regolamenti presenta la natura tipica dei regolamenti, di guisa che la disapplicazione è giustificata dalla natura generale ed astratta delle previsioni illegittime. Discorso diverso deve invece essere fatto con riferimento ai regolamenti volizione- azione che, come si diceva sopra, contenendo previsioni direttamente lesive, sono in realtà solo nominalmente dei regolamenti e dunque, data la natura essenzialmente provvedimentale, non possono essere censurati che attraverso l’impugnazione tempestiva.
Da quanto detto appare evidente la centralità dell’analisi della natura della previsione asseritamente illegittima, la quale risulta fondamentale, oltre che per la determinazione del regime impugnatorio altresì per comprendere se vi sia o meno spazio per operare la disapplicazione cd. normativa.
Ulteriori profili problematici attinenti alla tutela impugnatoria del regolamento illegittimo riguardano l’efficacia della sentenza di annullamento e l’invalidità derivata dei provvedimenti attuativi.
Quanto alla efficacia della sentenza di annullamento, la giurisprudenza costante è nel senso di ritenere l’efficacia ultra partes della sentenza in questione, in deroga all’art. 2909 c.c. secondo cui la sentenza non fa stato che tra le parti, i loro eredi ed aventi causa.
L’efficacia erga omes ed ex tunc della sentenza di annullamento, peraltro tipica della tutela demolitoria in generale, è estesa anche alla pronuncia in questione sulla base di una serie di argomenti difficilmente superabili.
Anzitutto, il carattere normativo del regolamento comporta l’indeterminabilità dei destinatari e la indivisibilità dello stesso, ostando al frazionamento del suo contenuto sia sotto il profilo soggettivo sia sotto quello oggettivo.
In secondo luogo, esigenze di certezza giuridica impediscono che il regolamento, una volta dichiarato illegittimo, continui a trovare applicazione in relazione solamente a taluni destinatari.
Infine, l’efficacia erga omnes sembra essere confermata, a livello legislativo, dall’art. 14 co.3 del D.P.R. 1199/1971. La norma prevede che nei casi di annullamento degli atti normativi a seguito di ricorso straordinario ne sia data pubblicità nelle medesime forme di pubblicazione degli atti.
Con riguardo al secondo profilo cui si è fatto cenno sopra, ovvero alla invalidità derivata dei provvedimenti attuativi, è opportuno premettere che il nucleo maggiormente problematico della questione riguarda l’ipotesi di atti applicativi medio tempore adottati e non impugnati.
Invero, nel caso di doppia impugnativa, l’annullamento dell’atto a monte travolge fisiologicamente l’atto a valle contestualmente impugnativo.
Ben più problematica è l’ipotesi di mancata impugnazione dell’atto attuativo, stante la necessità, in quest’ultimo caso, di individuare l’efficacia di annullamento del regolamento illegittimo con riguardo ad atti ulteriori rispetto a quello oggetto del giudizio e che sono nel frattempo divenuti definitivi.
Un primo orientamento, per vero minoritario, sostiene la tesi dell’effetto caducante della pronuncia di annullamento nei confronti dell’atto applicativo, a prescindere dall’impugnazione di quest’ultimo, evidenziando il nesso di presupposizione -consequenzialità necessaria tra i due atti.
La tesi prevalente in giurisprudenza nega, invece, il rapporto di necessaria consequenzialità tra atto a valle ed atto a monte, sottolineando che quest’ultimo, ove divenuto definitivo, non può essere travolto dalla pronuncia di annullamento.
Nel più recente orientamento del Consiglio di Stato si può notare la tendenza a recepire entrambe le tesi sopra esposte, diversificando la soluzione a seconda dell’intensità del rapporto di consequenzialità tra regolamento e provvedimento attuativo.
I Giudici di Palazzo Spada hanno infatti più volte ribadito l’esigenza di distinguere tra invalidità ad affetto viziante ed invalidità ad effetto caducante. Quest’ultima, che comporta l’annullamento dell’atto consequenziale anche ove non impugnato tempestivamente, è ravvisabile solo nel caso in cui l’atto successivo venga a porsi nella medesima sequenza procedimentale dell’atto presupposto, configurandosi dunque quale conseguenza immediata, diretta e necessaria dell’atto a monte. Per contro, in caso di invalidità viziante, l’atto successivo, pur essendo affetto da invalidità derivata, resta efficace ove non tempestivamente impugnato, non essendo ravvisabile un nesso di inevitabile consequenzialità con l’atto a monte. In quest’ultimo caso, infatti, alla base del provvedimento è ravvisabile una nuova ed ulteriore valutazione di interessi che pone l’atto all’esterno della sequenza procedimentale del regolamento, rendendolo il provvedimento autonomo e richiedendo per tale motivo l’impugnazione dello stesso secondo le regole ordinarie.
Il recepimento giurisprudenziale della categoria della invalidità caducante consente di certo un ampliamento non indifferente della tutela del destinatario del regolamento illegittimo, così come una maggiore tutela è garantita attraverso lo strumento della cd. disapplicazione normativa di cui si è trattato sopra.
Entrambe le menzionate ed importanti aperture recenti del Consiglio di Stato rivelano la sentita tendenza verso una tutela giurisdizionale maggiore e sempre più slegata dalla tradizionale natura esclusivamente demolitoria dell’azione nel processo amministrativo.
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