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Per fonti primarie dell’ordinamento s’intendono l’ insieme degli atti e dei fatti che un ordinamento giuridico o un determinato contesto socio-culturale reputano idonei modificare o innovare l’ordinamento stesso. Tradizionalmente si distingue fra fonti di produzione e fonti di cognizione. Le “fonti di produzione” hanno lo scopo di produrre diritto, pertanto si identificano con gli atti e i fatti che l’ordinamento riconosce idonei a produrre norme giuridiche. Le “fonti di cognizione” del diritto sono invece rappresentate da testi normativi (Costituzione della Repubblica Italiana, Gazzetta Ufficiale, codici…), contenenti norme giuridiche già formate di cui assicurano la conoscibilità legale.
La legge, fonte del diritto per antonomasia, viene in considerazione sotto entrambi i profili: come fonte di produzione, in riferimento al processo di formazione delle leggi previsto agli artt. 70 e ss. della Costituzione, e come fonte di cognizione, in veste di atto normativo già esistente, contenente norme giuridiche vigenti. Nel nostro ordinamento costituisce principio indefettibile quello della gerarchia delle fonti in virtù del quale le fonti secondarie non possono derogare alle fonti primarie ma ne sono sottordinate
Tra le fonti primarie di diritto amministrativo dell’ordinamento italiano possiamo indicare seguendo un ordine di grado : 1) la costituzione; 2) i principi generali che si desumono dalle norme positive attraverso un procedimento di astrazione e generalizzazione; 3) le leggi formali ordinarie dello stato; 4) gli atti normativi del governo equiparati alle leggi ordinarie (decreto legge e decreto legislativo).
Sono considerate fonti di livello primario anche lo statuto e le leggi regionali.
Lo statuto regionale è fonte a competenza riservata e specializzata; ai sensi dell’art 123 cost deve essere in armonia con la costituzione perchè costituisce il frutto dell’autonomia regionale, esercitata nella sfera di competenza riservata alle regioni. Il rapporto tra legge regionale e statale è improntato sul principio della competenza.
Allo stesso principio si ispira anche il rapporto tra leggi speciali e leggi regionali, che agiscono in un rapporto di competenza concorrenza. La potestà esclusiva regionale assume carattere residuale e generale, potendosi esprimere in tutte quelle materie che non sono riservate espressamente alla potestà esclusiva statale o alla legislazione concorrente.
Per quanto attiene all’interpretazione delle fonti di diritto amministrativo appena menzionatele norme giuridiche di diritto amministrativo seguono le medesime regole che valgono in generale per le norme giuridiche. Pertanto esse regolano le condotte del soggetto per il tempo successivo alla loro entrata in vigore (principio irretroattività). Tuttavia, talvolta si pone il problema dell’applicazione di tale principio laddove le fattispecie concrete non si esauriscano in fatti istantanei, collocati in un tempo determinato, ma si svolgono nel tempo attraverso successioni di fatti, condotte che si verificano in un arco temporale più lungo. Spesso tale problema viene risolto dal legislatore con la previsione di prescrizioni delimitative del tempo di applicazione della nuova norma, o con l’introduzione di norme transitorie che regolano il passaggio dal regime preesistente a quello nuovo.
In assenza di un tale intervento, il problema di diritto intertemporale ha diversa soluzione a seconda della norma che viene in rilievo: se è una norma processuale, che disciplina l’attività giurisdizionale, si applicherà il principio tempus regit actum, motivo per cui si applica anche ai processi in corso relativi a rapporti giuridici sorti precedentemente la norma entrata in vigore successivamente; qualora, invece, la norma ha carattere sostanziale, disciplinando rapporti sostanziale tra le parti, la nuova norma troverà applicazione solo ai rapporti sorti dopo la sua entrata in vigore, mentre per quelli anteriori continuerà ad applicarsi la normativa anteriore.
In proposito si è posto il problema dei cd diritti quesiti, cioè dei diritti già definitivamente consolidatisi in capo ai loro titolari, sia in senso migliorativo che peggiorativo.
La giurisprudenza si è orientata nel senso che fuori dal campo penale la possibilità di leggi retroattive non è di per sé esclusa ma non è senza limiti: una legge non può disporre retroattivamente se, venendo ad incidere sfavorevolmente sulla sfera dei soggetti, contrasta con l’esigenza di rispettare il legittimo affidamento dei cittadini, alterando gravemente e senza particolari ragioni giustificative il quadro normativo sul quale i soggetti facevano affidamento.
Un’ipotesi di legge retroattiva è la legge interpretativa con cui il legislatore, eliminando le incertezze sul significato da attribuire ad una norma, emana una nuova norma con la quale impone di interpretare e applicare la norma preesistente secondo un certo significato.
La corte costituzionale, al fine di salvaguardare il rispetto del principio generale di ragionevolezza, dell’affidamento, della certezza dell’ordinamento giuridico, ha posto quale limite alle leggi di interpretazione il giudicato: le leggi di interpretazioni autentica sono ammissibili purché non dispongano direttamente la caducazione di sentenze passate in giudicato (per il divieto di ingerenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia e per evitare che tali leggi influenzino controversie nelle quali lo stato è parte).
L’intervento del legislatore può, però, essere giustificato in presenza di imperativi motivi di interesse generali, laddove ad es si voglia garantire la conformità all’intenzione originaria del legislatore (non per mere esigenze di carattere finanziario o economico dello stato).
tra le fonti primarie di diritto amministrativo puo essere considerata anche la legge provvedimento che è un atto formalmente legislativo, ma sostanzialmente amministrativo. Difatti il contenuto della legge, normalmente astratto e generale è in questo caso particolare e concreto. Il legislatore esercita un potere di cura concreta dell’interesse pubblico attraverso un atto che si colloca tra le fonti primarie del diritto.
La natura ancipite della legge provvedimento ha posto dubbi di legittimità costituzionale in relazione all’effettività della tutela giurisdizionale avverso tale forma di atto a forma legislativa ma con sostanza amministrativa. Tale legge, essendo un atto normativo, esclude la tutela giurisdizionale diffusa dinnanzi al giudice ordinario o al giudice amministrativo, comportando il rischio di elusione delle regole a garanzia del procedimento amministrativo nonché di sottrazione dell’atto al controllo giurisdizionale.
La corte costituzionale sul punto è stata altalenante, affermando talvolta l’illegittimità della legge provvedimento emanata per adottare surrettiziamente un atto amministrativo al di fuori dalle garanzie procedimentali, e affermando talvolta la loro legittimità.
In particolare, la corte ha affermato che la tutela del diritto di difesa del cittadino va declinata in relazione al tipo di atto che incide sulla sua posizione soggettiva: le leggi provvedimento non sono equiparabili agli atti della pubblica amministrazione ricorribili dinnanzi al giudice, ferma restando la garanzia ex art 24 cost che sancisce il diritto di agire in giudizio senza specificare gli atti impugnabili, tra cui possono ricomprendersi anche le leggi provvedimento. Pertanto, il privato leso da una legge provvedimento ne può censurare la legittimità di fronte alla corte costituzionale, investendola della questione tramite il giudice a quo dinanzi al quale venga azionata la situazione giuridica soggettiva lesa o negata dalla legge provvedimento.
Il principale parametro di legittimità costituzionale della legge provvedimento è il principio di ragionevolezza, del buon andamento e dell’imparzialità dell’attività amministrativa. Il sindacato di ragionevolezza deve essere rigido e teso a verificare se il legislatore abbia inteso, attraverso la legge provvedimento, eludere i principi costituzionali e, tra tutti, il principio di eguaglianza. Tale ultimo principio deve ritenersi violato qualora l’atto regoli determinate fattispecie e non altre aventi la medesima ratio, ovvero non si riferisca a situazioni omogenee che dovrebbero essere disciplinate nello stesso modo.
C’è da dire, tuttavia, che la trasposizione del giudizio dal giudice amministrativo al giudice costituzionale non è priva di conseguenze in ordine alle modalità di instaurazione del giudizio (mentre il giudizio innanzi al giudice amministrativo è instaurabile direttamente dal destinatario, quello dinnanzi alla corte costituzionale deve passare previamente per il giudice amministrativo, il quale deve sollevare la questione alla corte) oltre che in ordine all’esperibilità della tutela cautelare (mentre nel processo amministrativo è possibile chiedere la sospensione dell’esecutività del provvedimento impugnato, in quello costituzionale non è ammissibile la sospensione dell’efficacia della legge provvedimento).
Ulteriore limite alla legge provvedimento è poi dato dalla tutela del legittimo affidamento del privato. La CGUE ha affermato che la legge provvedimento può incidere su un precedente atto amministrativo o giudiziario solo se (i) la legge non produca effetti discriminatori , (ii) sia imposta da ragioni imperative di interesse pubblico, (iii) sia idonea a perseguire tale interesse pubblico, (iv) nel raggiungere il suo scopo la legge rispetti il principio del minimo mezzo utile.
Volendo esemplificare, un esempio di sindacato del giudice amministrativo su legge provvedimento è rappresentato dal caso PONTE DI GENOVA – ART 4 BIS DL 109/2018. Tale decreto ha carattere provvedimentale, contenendo previsioni di contenuto particolare e concreto che incidono su un numero limitato di destinatari.
Il giudice amministrativo ha sollevato questione di legittimità costituzionale sotto il profilo della ragionevolezza, della separazione dei poteri, del diritto di difesa e del giusto processo nonché della proporzionalità della legge nella parte in cui ha previsto la realizzazione delle attività mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione e senza potersi rivolgere alla società concessionaria del tratto autostradale o agli operatori da essa controllati.
Il giudice amministrativo ha ritenuto la norma lesiva della sfera giuridica del soggetto destinatario per gli effetti che ne derivavano, equiparabili a delle vere e proprie sanzioni amministrative, senza che fosse stato effettuato un accertamento idoneo a giustificare i profili di eventuale responsabilità.
La Corte cost con sentenza n. 168/2020 – ha ritenuto non fondate le questioni, essendo sussistenti interessi in grado di giustificare la legge provvedimento.
Infatti, la decisione di non attivare la convenzione è dipesa dall’urgenza di avviare i lavori per ripristinare tempestivamente un tratto autostradale essenziale per i collegamenti della regione, sia dai dubbi insorti sull’affidabilità del concessionario alla luce della gravità dell’evento verificatosi. Secondo la corte in un tale contesto, segnato da un grado eccezionale di gravità, è tutt’altro che irragionevole, incongrua o sproporzionata la scelta di affidare la ricostruzione a terzi, anziché al concessionario, il quale in quanto obbligatovi contrattualmente e custode del bene, avrebbe dovuto provvedere alla manutenzione dell’infrastruttura e prevenirne il disfacimento. Non è una sanzione e la legge provvedimento non si sostanzia in un giudizio di responsabilità contrattuale o aquiliana in capo al concessionario; è una mera presa d’atto dell’incrinatura nel rapporto di fiducia del concedente nell’affidabilità del concessionario.
Inoltre, la legge provvedimento è coerente con l’art 57 dir. 2014/24/ue in tema di contatti pubblici la quale comporta l’esclusione dalla gara degli operatori colpevoli di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la loro integrità o affidabilità.
Per la corte cost tale legge provvedimento ha finalità cautelare, tesa a sottrarre la pubblica amministrazione dall’instaurare rapporti ragionevolmente sospettati da inaffidabilità.
La legge provvedimento incontra il limite del rispetto dell’esercizio della funzione giurisdizionale ex art 101 cost. in particolare, la legge provvedimento potrebbe incidere su un giudizio pendente o può impedire l’instaurazione di un giudizio o, ancora può comportare la violazione o l’elusione di un giudicato, provvedendo in contrasto con una decisione definitiva del giudice.
È consolidato l’orientamento della giurisprudenza per cui il giudicato è un limite invalicabile per il legislatore, non potendosi consentire di violare i principi relativi al rapporto di separazione tra potere legislativo e giurisdizionale.
La corte costituzionale ha più volte ribadito che il legislatore può intervenire per recepire e convalidare con legge un atto amministrativo sub iudice, prima che sia intervenuto un giudicato (il diritto di difesa in tal caso non verrebbe leso, spostandosi la giurisdizione dal giudice amministrativo alla corte costituzionale).
In ogni caso, anche laddove non sia intervenuto il giudicato, il legislatore deve tener conto della pendenza del giudizio.
Nel caso ILVA di Taranto, nonostante la pendenza del giudizio il legislatore è intervenuto con una legge provvedimento giudicata legittima dalla corte costituzionale perché giustificata da una particolare urgenza.
Si è posto il problema delle leggi provvedimento auto-applicative, non precedute da un provvedimento amministrativo. In questo caso, mancando un provvedimento amministrativo prodromico o successivo alla legge provvedimento, manca la possibilità di instaurare il giudizio dinanzi al giudice amministrativo e quindi non sarà possibile rimettere la questione alla corte costituzionale in via incidentale salvo i limitati casi in cui l’ordinamento consente l’accesso diretto alla tutela dinnanzi alla corte cost. qui c’è un problema di esistenza della tutela.
Quando la legge provvedimento auto- applicativa interviene in una materia di competenza UE, la CGUE ha affermato che una legge provvedimento che ostacoli l’accesso alla giustizia è in contrasto con la normativa ue, il che consentirebbe al giudice nazionale di disapplicare la legge stessa.