Project Description
La capacità di agire è, come si è visto, la capacità di attendere ai propri interessi nell’ambito della propria sfera giuridica. Essa può essere compromessa in tutti i casi in cui vi sia l’incapacità giuridica sia che essa si sia determinata da cause naturali ( cd incapacità naturale conseguente all’assoluta incapacità di intendere e di volere e quindi di autodeterminarsi o di avere coscienza dei propri atti) che da cause legali (esempio minore età, interdizione legale).
L’interdizione è l’istituto giuridico attraverso il quale si vieta ad un soggetto giuridico incapace di conpiere direttamente atti negoziali. La sua condizione è per certi versi assimilabile a quella del minore perchè impone la nomina di un tutore che, nell’esclusivo interesse dell’interdetto, è chiamato a compierli in sua vece. L’interdizione è dichiarata dal giudice in via giudiziale attraverso un procedimento che si articola in più fasi e che ha per per oggetto l’accertamento della capacità di agire incidente sullo status della persona e si conclude con una sentenza suscettibile di giudicato; le caratteristiche di questo procedimento, determinate dalla coesistenza di diritti soggettivi privati e di profili pubblicistici, dalla natura e non disponibilità degli interessi coinvolti, oltre che dalla posizione dei soggetti legittimati a presentare il ricorso, i quali esercitano un potere di azione, ma non agiscono a tutela di un proprio diritto soggettivo (art. 417), dalla previsione che essi possono impugnare la sentenza, pur se non abbiano partecipato al giudizio (art. 718 c.p.c.), e dagli ampi poteri inquisitori del giudice (art. 419 e art. 714 c.p.c.), non escludono che esso si configuri, pur con tali importanti deviazioni rispetto al rito ordinario, come un procedimento contenzioso speciale, ritenuto dal legislatore come il più idoneo ad offrire garanzie a tutela dell’interesse dell’interessato. E’ possibile, perciò, solo a determinate condizioni una sentenza di cessazione della materia del contendere ed è, in ogni caso, preclusa sia la rinuncia agli atti che la rinunzia al giudizio (Cass. civ. Sez. I, 24/08/2005)
Elemento centrale del procedimento è l‘ esame diretto dell’interdicendo (art. 419, I comma c.c.) ad opera del giudice teso ad accertare la sussistenza dei presupposti richiesti per la dichiarazione di interdizione vale a dire: a) l’esistenza di una situazione fisica di incapacità naturale (infermità di mente); b) l’abitualità di detta infermità dovendo rimanere escluse le situazioni fisiche di infermità transitoria, c) l’incapacità dell’interdicendo di provvedere validamente ai propri interessi in ragione dell’infermità che lo affligge, il che a dire che la patologia di cui è affetto non rileva di per se ma deve essere tale da impedirgli la valida cura dei propri interessi; c) la necessità di assicurare al soggetto un’adeguata protezione sicchè si potrà procedere all’interdizione solo allorchè gli altri strumenti previsiti dalla legge (inabilitazione o amministrazione di sostegno) risultino insufficienti. L’incapacità legale derivante dalla sentenza di interdizione decorre soltanto dal giorno della sua pubblicazione (art. 421 cod. civ.), con la conseguenza dell’operatività, fino a tale momento, della generale presunzione di normale capacità dell’interdicendo e dell’irretroattività degli effetti della suddetta decisione.
Gli atti compiuti dall’interdetto dono annullabili al pari di quelli posti in essere dal minore d’età. Titolare dell’azione è il tutore dell’interdetto o egli stesso nei cinque anni successivi alla revoca dell’interdizione. Il tutore gestisce il patrimonio dell’interdetto nel suo esclusivo interesse fatta salva, in alcuni casi, l’autorizzazione del giudice tutelare (art. 874 c.c.). In tema di annullamento si segnalano le seguenti sentenze della Corte di legittimità:
- L’annullamento di un testamento per incapacità naturale del testatore postula l’esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del “de cuius”, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi, con il conseguente onere, a carico di chi quello stato di incapacità assume, di provare che il testamento fu redatto in un momento di incapacità di intendere e di volere (Cass. civ., Sez. II, 15/04/2010, n. 9081).
- Ai fini dell’annullamento del contratto per incapacità di intendere e di volere, ai sensi dell’art. 428, secondo comma, cod. civ., non è richiesta, a differenza dell’ipotesi del primo comma, la sussistenza di un grave pregiudizio, che, invece, costituisce indizio rivelatore dell’essenziale requisito della mala fede dell’altro contraente; quest’ ultima risulta o dal pregiudizio anche solo potenziale, derivato all’incapace, o dalla natura e qualità del contratto, e consiste nella consapevolezza che l’altro contraente abbia avuto della menomazione della sfera intellettiva o volitiva del contraente. Peraltro, la prova dell’incapacità deve essere rigorosa e precisa ed il suo apprezzamento, riservato al giudice del merito, non è censurabile in sede di legittimità tranne che per vizi logici o errori di diritto. (Cass. civ., Sez. II, Sentenza, 26/02/2009, n. 4677).
Completamente diversa dall’interdizione giudiziale è quella legale che consegue, come pena accessoria, ad una condanna definitiva alla pena dell’ergastolo o alla pena della reclusione per reati non colposi per un tempo non inferiore a cinque anni (art. 20 e 32 c.p.). L’istituto assolve ad una funzione meramente sanzionatoria ma si atteggia allo stesso modo dell’interdizione giudiziale perchè priva, per legge, il condannato della capacità di compiere atti dispositivi del proprio patrimonio imponendogli, anche in questi casi, la nomina di un tutore che li compia in sua vece. A differenza di quel che accade con l’interdizione giudiziale, gli atti compiuti dall’interdetto legale possono essere dichiarati nulli da chiunque vi abbia interesse e non solo dal tutore o dall’interdetto legale una volta cessata la causa dell’interdizione (espiazione della pena).
La Corte di legittimità ha in più di un’occasione esaminato la questione di legittimità costituzionale delle norme che prevedono l’interdizione legale ritenendole manifestamente infondate. Per ultimo ha ritenuto che è manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 27, comma terzo, e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale degli artt. 20 e 32 cod. pen., ove gli stessi prevedono che il condannato alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni, è, durante la pena, in stato di interdizione legale, giacché detta pena accessoria incide solo sulla possibilità di compimento di atti a contenuto patrimoniale e non confina quindi il condannato in una condizione, degradante e mortificante, di assoluto isolamento dal contesto sociale e, lungi dall’essere oggetto di automatica applicazione, trova giustificazione nell’accertamento di responsabilità per le violazioni più gravi e nelle legittime finalità di tutela dei terzi e del condannato (Cass. pen., Sez. III, 22/09/2022, n. 1666)