Il titolo V della Parte IV del Testo Unico ambientale (D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) è espressamente dedicato alla definizione della procedura di bonifica dei siti inquinati. Discrimen fondamentale per l’attivarsi della suddetta procedura è il superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC), che ai sensi dell’art. 240, co. 1, lett. B, determinano i livelli di contaminazione delle matrici ambientali al di sopra dei quali sono necessarie la caratterizzazione e l’analisi di rischio del sito. La procedura è imperniata su un criterio di progressività, di modo che, se ad un’indagine preliminare sui parametri delle CSC, non ne risulteranno superati i relativi valori non sarà necessario procedere con la caratterizzazione del sito (art. 242, co. 2). Viceversa, in caso di superamento delle CSC, il responsabile dell’inquinamento dovrà attivarsi presentando entro trenta giorni all’autorità competente il piano di caratterizzazione, cui farà seguito l’analisi di rischio (art. 242, co. 3 e 4). Se l’analisi accerterà dei valori maggiori di quelli prescritti dalle soglie di contaminazione rischio (CSR), il soggetto responsabile dovrà presentare alla Regione, entro sei mesi dall’approvazione dell’analisi di rischio, il progetto operativo di bonifica, contenente l’indicazione degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, nonché di riparazione e ripristino ambientale (art. 242, co. 7). Nel caso opposto, in cui siano state oltrepassate solo le CSC, il procedimento si arresterà con l’approvazione dell’analisi di rischio. Ciascuna delle procedure appena descritte è univoca nell’attribuire l’obbligo di rimediare al danno ambientale ad un non meglio precisato “responsabile dell’inquinamento”. Questa formula ha cagionato notevole incertezza nella sua esegesi perchè non esplicita se sia applicabile esclusivamente al soggetto che abbia effettivamente cagionato l’inquinamento del sito oppure anche al soggetto che è divenuto proprietario del medesimo dopo il verificarsi del danno ambientale. Un chiaro punto di riferimento è costituito dalla normativa eurocomunitaria, in particolare dall’art. 191, par. 2 del TFUE, che menziona espressamente il principio “chi inquina paga”, in virtù del quale gli oneri e i costi correlati alla bonifica devono essere imputati al soggetto che ha causato il danno all’ambiente. Il proprietario del sito inquinato, che è a contrario privo di qualsiasi nesso eziologico rispetto al danno, dovrà limitarsi ex lege alle sole misure di prevenzione da adottare in caso di superamento delle CSC (art. 245, co. 2). Spetterà alla Provincia competente identificare il soggetto responsabile al fine di dare corso agli interventi di bonifica.
La normativa italiana appena descritta non sembra collidere con la normativa eurounitaria dal momento che nulla vieta agli Stati di membri di predisporre una tutela aggiuntiva rispetto a quella minimale già predisposta dalla UE.
Il proprietario del sito inquinato mantiene, inoltre, la facoltà di intervenire spontaneamente per la realizzazione degli interventi di bonifica, fattispecie intimamente legata alla necessità della bonifica stessa tutte le volte in cui si voglia intraprendere una trasformazione anche solo immobiliare del sito in questione ai fini del rilascio delle necessarie autorizzazioni amministrative.
Quest’ultima disposizione ha una precisa ratio, da ricavarsi mediante una lettura congiunta degli artt. 245, 250 e 253 t.u. amb. Laddove infatti il soggetto responsabile dell’inquinamento non sia individuato né il proprietario incolpevole provveda volontariamente alla bonifica, quest’ultima dovrà essere realizzata d’ufficio dal Comune e dalla Regione territorialmente competenti (art. 250). Per soddisfare gli ingenti costi di bonifica, la pubblica amministrazione potrà vedere le spese effettuate per la stessa, garantite da privilegio speciale immobiliare sulle aree oggetto degli interventi, di modo che l’azione di ripetizione sarà direttamente esperibile nei confronti del proprietario incolpevole (art. 253, co.2). Per evitare però che egli sia esposto, pur non essendo il responsabile dell’inquinamento, all’integrale rimborso dei costi di bonifica, il t.u. amb. ha previsto una clausola di salvaguardia (art. 253, co. 3) che circoscrive l’azione di rivalsa della P.A. nei limiti del valore di mercato dal sito determinato a seguito dell’esecuzione degli interventi. Resta comunque salva per il proprietario, che abbia adempiuto spontaneamente alla bonifica, la possibilità di rivalersi nei confronti del responsabile dell’inquinamento.
Al proprietario del sito non sono pertanto imputabili operazioni di bonifica, con l’eccezione delle misure di prevenzione adottabili, entro ventiquattr’ore, per contrastare una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente (artt. 240, co. 1, lett. i) e art. 304, co. 1).
Secondaria e altrettanto centrale questione è quella concernente la responsabilità per le contaminazioni storiche, ossia per quegli episodi verificatasi in data antecedente sia all’entrata in vigore del Testo Unico dell’ambiente sia del Decreto Ronchi (Decreto Legislativo del 5 febbraio 1997, n. 22), ma che possono ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione (art. 242, co. 1 t.u. amb.). Da una lettura non attenta di tale asserzione si potrebbe essere indotti a ritenere che le procedure di bonifica siano applicabili a ciascun fenomeno di inquinamento, compresi quelli realizzatesi in un’epoca in cui era ancora inesistente una puntuale normativa ambientale, in palese contraddizione con il consolidato principio per cui le leggi non possono che disporre per l’avvenire (art. 11 delle Preleggi), anche se, in questi casi, la questione riguarda più propriamente gli aspetti più propriamente penalistici della responsabilità da inquinamento .
Tuttavia la vasta portata che potrebbe assumere la disciplina della bonifica va rimodulata attenendosi ad una rigorosa interpretazione letterale dell’art. 242, co. 1 e, più nello specifico, della locuzione “rischi di aggravamento”. Se e solo se una situazione di inquinamento, occorsa in un’epoca precedente alle fonti legislative sopra citate, può cagionare (inciso non chiaro) , nel presente, il superamento delle CSR potranno sorgere obblighi di bonifica. Rimane però il rischio, con specifico riferimento a queste fattispecie, di far sconfinare irragionevolmente in una forma di “responsabilità da posizione” il proprietario incolpevole, che in conseguenza della mera proprietà del sito, potrebbe vedersi attribuire i costi della bonifica per fenomeni di inquinamento assai risalenti. Di diverso avviso è la giurisprudenza maggioritaria, che tende ad affermare, come recentemente confermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Sentenza del 22 ottobre 2019, n. 10), che, in ottemperanza al principio cuius commoda eius et incommoda, l’obbligo di bonifica sarebbe applicabile in capo a colui che succede al responsabile dell’inquinamento nella proprietà o gestione del sito, se gli effetti dannosi permangono nel tempo.
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