Con ordinanza n. 26870 del 2019, era stata rimessa alle Sezioni Unite in tema di illecita concorrenza con minaccia o violenza (art. 513-bis c.p.) la seguente questione di diritto : «se, ai fini della configurabilità del reato di illecita concorrenza con minaccia o violenza, sia necessario il compimento di condotte illecite tipicamente concorrenziali o, invece, sia sufficiente il compimento di atti di violenza o minaccia in relazione ai quali la limitazione della concorrenza sia solo la mira teleologica dell’agente».
Con la sentenza n. 13178, depositata il 28 aprile 2020, le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio di diritto: «ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 513-bis c.p. è necessario il compimento di atti di concorrenza che, posti in essere nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale o comunque produttiva, siano connotati da violenza o minaccia e siano idonei a contrastare od ostacolare la libertà di autodeterminazione dell’impresa concorrente».
La Corte, nell’esaminare compiutamente la questione, espone , in via preliminare, tre diversi orientamenti giurisprudenziali affermatisi sul tema
- solo i comportamenti tipici che si prestino ad essere realizzati con mezzi vessatori, ossia con violenza o minaccia nel confronti di altri soggetti economici tendenzialmente operanti nello stesso settore (Sez. 3, n. 46756 del 03/11/2005; ) integrano il reato di cui all’art. 513 bis c.p.;
- la norma incriminatrice può essere ritenuta applicabile agli atti di violenza o minaccia non sostanziatisi in condotte illecite tipicamente concorrenziali, quand’anche la finalità perseguita dall’agente si identifichi con la limitazione della libertà di concorrenza (Sez. 2, 35611 del 27/06/2007.; Sez. 1, n. 6541 del 02/02/2012, Aquino; Sez. 6, n. 44698 del 22/09/2015,; Sez. 2, n. 49365 del 08/11/2016,; Sez. 2, n. 53139 del 08/11/2016)- In questo senso la condotta criminosa s’incentra sulla violenza o minaccia posta in essere con il dolo specifico di inibire la concorrenza (Sez. 3, n. 44169 del 22/10/2008; Sez. 1, n. 9750 del 03/02/2010; Sez. 2, n. 6462 del 16/12/2010, dep 2011 Sez. 2, n. 9513 del 18/01/2018) in maniera da tutelare “ nella sua massima potenzialità espansiva il contenuto del bene protetto, così valorizzando il concetto di “atti impeditivi” della concorrenza;
- L’interpretazione del concetto di “atti di concorrenza” potrebbe essere effettuata facendosi richiamo non solo alla ratio della norma incriminatrice, ma anche alla necessità di integrarne il precetto alla luce della normativa italiana ed europea in tema di tutela della concorrenza in modo da includere tutti gli atti diretti non solo a distruggere l’attività del concorrente, ma anche ad impedire che possa essere esercitato un atto di libera concorrenza, come quello della ricerca di acquisizione di nuove fette di mercato Assumerebbero in tal modo rilievo sia quei comportamenti che, commessi da un imprenditore con violenza o minaccia, risultano ”idonei a falsare il mercato” e a consentire l’acquisizione, in danno dell’imprenditore minacciato, di illegittime posizioni di vantaggio senza alcun merito derivante dalla propria capacità operativa (come nel caso tipico dell’intimidazione esercitata da parte di un imprenditore nei confronti di un altro, rispetto a lavori appaltati ma rivendicati come propri), sia le condotte contrarie ai principi della correttezza professionale, ‘intese come ”qualunque comportamento violento o minatorio” posto in essere nell’esercizio dell’attività imprenditoriale al fine di acquisire una posizione dominante sul mercato non correlata alla capacità operativa dell’impresa.
Passando al merito della questione la Corte a Sezioni Unite ha osservato che l’origine del contrasto giurisprudenziale va ricercata nella ambiguità della formulazione del testo dell’art. 513-bis cod. pen., la cui introduzione risale alla legge 13 dicembre 1982, n. 646 (cd. Rognoni-La Torre), recante disposizioni in materia di misure dì prevenzione di carattere patrimoniale, per la volontà, dettata dall’urgenza della particolare temperie storico-politica in cui la figura criminosa ha trovato la sua genesi, di far fronte ad «un comportamento tipico mafioso che è quello di scoraggiare con l1esplosione di ordigni, danneggiamenti o con violenza alle persone, la concorrenza».
Ora, sebbene la proiezione storico-politica della norma introdotta con l’art. 513-bis rifletta l’intento, generalmente avvertito, di fronteggiare l’emergenza legata ad un contesto socio-economico caratterizzato dalla crescente incidenza di fenomeni crimina.li legati alle attività della cd. “mafia, la struttura della fattispecie penale presenta, in realtà, degli aspetti de tutto peculiari ed indipendenti dalle condotte tipiche della criminalità organizzata in quanto la condotta criminosa può essere posta in essere da “chiunque”, sia pure nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale o produttiva.
L’imprecisione della norma, del resto, era stata subito colta dalla dottrina, che nel criticarne la funzione prevalentemente ”simbolica” ha posto in evidenza la problematicità relatiav all’accostamento di elementi oggettivi di incerta ricomposizione interna (‘‘atti di concorrenza”, da un lato, “violenza o minaccia dall’altro”), dal momento che “l’uso della violenza e della minaccia si pone all’esterno dei limiti e delle caratteristiche proprie dell’atto concorrenziale”.
La Corte, dopo aver evidenziato la difficoltà di allinearsi al primo o al secondo orientamento giurisprudenziale ha individuato nel terzo “prospettive di maggior interesse al fini della corretta soluzione del quesito rimesso a questa Suprema Corte”. Pertanto, dopo aver premesso la rilevanza costituzionale della libertà di concorrenza ha finito con l’evidenziare come la repressione delle forme di concorrenza sleale ha finito con l’offrire “ una specifica tutela nei confronti di comportamenti posti in essere dall’imprenditore allo scopo di assicurarsi indebite posizioni di vantaggio che non ledono tanto (o soltanto) l’economia nazionale astrattamente considerata, ma sono idonei a ledere anche, e soprattutto, l’esercizio dell’altrui libertà di iniziativa economica”. Anche dal punto vista della legislazione europea, la Corte non ha mancato di chiarire che il “favor per la per la tutela della libertà di concorrenza si manifesti, in particolare, nell’insieme di divieti posti dagli artt. 101 e 102 TFUE (e in precedenza stabiliti negli artt. 81 e 82 TCE)”.
Dopo aver esaminato l’art. 2598 c.c. e individuato le fattispecie civilistiche degli atti di concorrenza sleale, la Corte ha chiarito che, in assenza di una precisa definizione, anche penalistica, del concetto giuridico di “concorrenza”, per l’interpretazione del sintagma “atti di concorrenza” non può che farsi riferimento alla pertinente normativa euro-unitaria ed interna che disciplina i presupposti e le regole di funzionamento della libertà di concorrenza. Ne ha concluso che “ la tipicità della fattispecie va inquadrata alla luce sia del superiore divieto di ordine costituzionale posto dall’art. 41, secondo comma, Cost., secondo cui qualsiasi forma di competizione concorrenziale riconducibile alla libera estrinsecazione dell’iniziativa economica privata non può svolgersi “in modo da recare danno” ad una serie di situazioni giuridiche soggettive costituzionalmente tutelate (come i diritti di libertà, sicurezza e dignità umana), sia dell’esigenza di rispetto dei limiti stabiliti dalla legge ordinaria (ex art. 2595 cod. civ.) per lo svolgimento della libera concorrenza, che sono quelli specificamente risultanti dal raccordo fra I diversi livelli della normativa euro-unitaria e delle disposizioni contenute nel codice civile e nella successiva legislazione speciale (in primo luogo, nella legge n. 287 del 1990)”.
La condotta descritta dalla norma incriminatrice si inserisce pertanto all’interno di un’attività imprenditoriale e poggia essenzialmente sulla qualità materiale degli atti che la caratterizzano. Ne deriva chela struttura della fattispecie penale di cui all’art. 513 bis c.p. è quella che riconduce il fatto-reato all’interno di una dialettica concorrenziale, richiedendo “ sia la qualità di imprenditore in capo al soggetto che, direttamente o indirettamente, pone in essere la condotta, sia l’esistenza di un rapporto di competizione economica nei confronti del soggetto che ne subisce le conseguenze”.
E’ pertanto soltanto in questo contesto che deve esplicarsi la violenza o la minaccia richiesta dalla norma incriminatrice come elemento costitutivo della condotta Entro tale prospettiva, assumono perciò rilievo penale tutti quei comportamenti competitivi, posti in essere sia in forma attiva che impeditiva dell’esercizio dell’altrui libertà di concorrenza, che si prestino ad essere realizzati in forme violente o minatorie, sì da favorire o consentire l’illecita acquisizione, in pregiudizio del concorrente minacciato o coartato, di posizioni di vantaggio ovvero di predominio sul libero mercato, senza alcun merito derivante dalle capacità effettivamente mostrate nell’organizzazione e nello svolgimento della propria attività produttiva.
L’idoneità a recare un pregiudizio all’impresa concorrente, contrastandone od ostacolandone la libertà di autodeterminazione, connota la fattispecie dell’art. 513-bis nella sua materialità; essa deve essere accompagnata dalla coscienza e volontà di compiere un atto di concorrenza inficiato dal ricorso ai mezzi della violenza o della minaccia:
La Corte ha quindi chiarito che i reati di cui all’ art. 513 bis e 629 c.p. offendono beni giuridici diversi, incidendo, l’estorsione, sul patrimonio del soggetto passivo (Sez. 61 n. 6055 del 24/06/2014, dep. 2015.) con la previsione specifica e ulteriore dell’ottenimento di un ingiusto profitto con altrui danno, senza tradursi in una violenta manipolazione dei meccanismi di funzionamento dell’attività economica concorrente (Sez. 2, n. 53139 del 08/11/2016). Secondo la Corte, il delitto di illecita concorrenza con violenza o minaccia non può essere pertanto “ assorbito nel delitto di estorsione, trattandosi di norme con diversa collocazione sistematica e preordinate alla tutela di beni giuridici diversi, sicché, ove ricorrano gli elementi costitutivi di entrambi i delitti, si ha il concorso formale degli stessi (Sez. 2, n. 5793 del 24/10/2013, dep. 2014; Sez. 1, n. 24172 del 31/03/2010)”.
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