Può definirsi abuso il cattivo uso, ovvero l’uso distorto o non conforme a un dato fine. L’abuso può inerire ad una funzione, a un potere o ad un’autorità. Esso dunque presuppone, per sua stessa natura, la sussistenza di una funzione, un potere o un’autorità attribuiti ad un soggetto per determinate finalità e consiste in una deviazione dal corretto uso di tali poteri e funzioni, cioè in un uso distorto in quanto volto a finalità diverse e non comprese tra quelle che il soggetto stesso era chiamato ad assolvere.
L’abuso di autorità, in particolare, presuppone un rapporto tra due soggetti, in forza del quale uno dei due si trovi in una posizione di sovraordinazione ed eserciti poteri autoritativi nei confronti dell’altro. Tale relazione ricorre, ad esempio, allorché un soggetto abbia taluno in custodia o in affidamento ed eserciti verso di lui poteri connessi a tale funzione di affidamento o custodia.
Da tale rapporto di autorità deriva una maggiore vulnerabilità della persona che si trova nella posizione di soggezione all’altrui potere, la cui libertà potrebbe essere più facilmente compromessa. Di conseguenza, sorge l’esigenza di apprestare una tutela rafforzata nei casi in cui il soggetto che rivesta una determinata autorità abusi della stessa, profittando dello stato di maggiore vulnerabilità in cui si viene a trovare l’individuo soggetto all’autorità.
Tale esigenza di tutela è avvertita dal legislatore che, a vario titolo, attribuisce rilevanza penale alla condotta di chi abusi della propria autorità. In alcuni casi, invero, l’abuso di autorità costituisce elemento costitutivo del reato, contrassegnando il disvalore del fatto oggetto della norma incriminatrice. In siffatte ipotesi, condotte di per sé lecite divengono penalmente rilevanti proprio in virtù della posizione di supremazia rivestita dal soggetto agente. Questi, profittando dello status di soggezione del soggetto passivo, e dunque abusando dei propri poteri, pone in essere una condotta che, ove realizzata da un soggetto privo di autorità, non sarebbe penalmente rilevante.
Al contrario, l’abuso di autorità rileva quale circostanza aggravante allorché acceda ad un fatto di reato già perfetto, incidendo esclusivamente sul quantum sanzionatorio.
L’art. 61 n.11 c.p. ricomprende, tra le circostanze aggravanti comuni, l’avere commesso il fatto con abuso di autorità. Inoltre diverse fattispecie incriminatrici prevedono, quali aggravanti speciali, l’avere abusato dell’autorità nella commissione del fatto di reato.
Occorre precisare che l’aggravante comune ex art. 61 n.11 c.p. può trovare applicazione solo allorché l’abuso di autorità non sia compreso tra gli elementi costitutivi del reato o non sia previsto da una circostanza aggravante speciale.
Il particolare rilevo attribuito dalla legge all’abuso di autorità, dunque, si spiega in considerazione della situazione di maggiore vulnerabilità in cui viene a trovarsi la persona soggetta all’autorità, la cui libertà personale può essere più facilmente violata.
Quanto esposto costituisce la ragione dell’importanza che l’abuso di autorità riveste nei delitti contro la liberta personale. Trattasi dei delitti previsti nel Libro II, Titolo XII, Capo III, Sezione II del codice penale. Questa categoria di reati è posta a precipua tutela della libertà personale, la quale costituisce diritto inviolabile dell’uomo, riconosciuto e difeso dalla Carta Costituzionale (artt. 2, 3 e 13) nonché da numerose fonti sovranazionali (tra le quali si ricordano l’art. 1 della Dichiarazione di New York e l’art. 5 della CEDU).
L’importanza ricoperta dal bene giuridico della libertà personale ha indotto il legislatore ad una tutela rafforzata nei casi in cui tale bene fondamentale sia più facilmente violabile, come avviene quando un soggetto si trovi ad esercitare, verso altri, una determinata autorità.
Si pensi al caso del pubblico ufficiale che abbia la custodia, anche temporanea, di una persona arrestata o detenuta ovvero a lui affidata in esecuzione di un provvedimento dell’Autorità. Ebbene, è evidente lo stato di vulnerabilità in cui si trova il soggetto in affidamento, la cui libertà personale potrebbe essere più facilmente violata proprio da chi eserciti, nei suoi confronti, l’autorità. Ecco dunque spiegata la ratio del delitto di cui all’art. 608 c.p., che punisce l’abuso di autorità esercitata sulla persona in custodia.
La maggiore insidiosità della condotta posta in essere da chi rivesta un particolare ruolo, in forza del quale eserciti una data autorità, si manifesta, in tutta la sua evidenza, nei delitti di violenza sessuale.
Trattasi di reati che colpiscono il bene della libertà personale che si manifesta specificamente nella libertà di autodeterminarsi rispetto alla propria sfera sessuale. In altri termini, i delitti in esame vanno ad incidere, annullandola o comprimendola, sulla libertà personale dell’individuo e, in particolare, sulla libertà di scegliere se compiere o subire atti sessuali.
Rispetto a tali reati l’abuso di autorità rileva, anzitutto, quale una delle possibili forme di costrizione di cui all’art. 609 bis c.p. La citata disposizione prevede una norma a più fattispecie, una delle quali è integrata da chi, mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o a subire atti sessuali.
Nel reato in esame vi è un uso distorto dell’autorità, esercitata a fini costrittivi dell’altrui libertà sessuale. Laddove i fatti oggetto dell’art. 609 bis c.p. siano commessi su soggetti minorenni, ricorrono le circostanze aggravanti di cui all’art. 609 ter c.p.
In particolare, la citata disposizione prevede, al numero 1), l’aggravante dell’aver perpetrato il delitto di violenza sessuale su un soggetto minore degli anni quattordici. Il numero 5), a sua volta, prevede l’applicazione del trattamento sanzionatorio maggiormente afflittivo qualora il fatto sia commesso su un soggetto minore degli anni diciotto del quale il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il tutore.
Dalla violenza sessuale aggravata, in quanto commessa su minorenni, occorre distinguere la diversa ipotesi costituita dal compimento di atti sessuali con minorenne (art. 609 quater c.p.).
Nell’ipotesi di cui agli artt. 609 bis e 609 ter c.p., come chiarito, la condotta di violenza sessuale costituisce reato di per sé e la minore età della persona offesa rileva esclusivamente quale circostanza aggravante.
Nel caso di atti sessuali con minorenne, al contrario, il legislatore attribuisce rilievo penale a condotte che sarebbero, da sole, lecite. A contrassegnare il disvalore del compimento di atti sessuali con minorenne è dunque l’età della persona con cui tali atti sessuali vengono compiuti.
In particolare, occorre distinguere a seconda dell’età del minore.
Se il soggetto non ha compiuto gli anni quattordici, il fatto costituisce, per ciò solo, reato. In tale ipotesi, infatti, il legislatore ritiene che il minore non abbia ancora raggiunto la c.d. maggiore età sessuale, ovvero la piena capacità di autodeterminarsi liberamente circa le scelte relative alla propria sfera sessuale.
Nel caso in cui il soggetto non abbia ancora compiuto gli anni sedici, invece, per attribuire rilevanza penale al compimento degli atti sessuali, l’art. 609 quater c.p. richiede una particolare qualifica in capo al soggetto agente, il quale deve essere quantomeno legato al minore da relazioni di cura, educazione, vigilanza o custodia. Vale a dire relazioni che in vario modo siano idonee ad incidere sulla libertà del minore e sulla sua capacità di resistere ad eventuali abusi di potere o autorità.
Qualora il soggetto minore abbia compiuto gli anni sedici, il legislatore richiede, oltre alla sussistenza delle sopracitate relazioni, un quid pluris costituito dall’abuso dei poteri connessi alla particolare posizione rivestita dal soggetto agente. Ciò in quanto all’aumentare dell’età del soggetto passivo corrisponde una minore vulnerabilità dello stesso e una più sviluppata capacità di autodeterminarsi liberamente anche nei confronti di soggetti cui lo stesso è legato da particolari relazioni di cura, istruzione, ecc.
È interessante notare come, rispetto agli atti sessuali con minorenne che abbia compiuto gli anni sedici, l’abuso dei poteri connessi alla posizione rivestita dal soggetto agente valga a rendere illecita una condotta altrimenti priva di rilevanza penale.
Il tema del ruolo svolto dall’abuso di autorità rispetto ai delitti incidenti sulla libertà sessuale è stato oggetto di recente attenzione da parte della giurisprudenza. La Suprema Corte è stata chiamata a dirimere un contrasto interpretativo in relazione al concetto di autorità al cui abuso possa attribuirsi rilevanza penale, ai sensi dell’art. 609 bis c.p., quale modalità costrittiva della libertà sessuale altrui.
Secondo un primo orientamento non potrebbe attribuirsi penale rilevanza all’abuso di un’autorità privata, dovendosi circoscrivere la nozione de qua all’autorità esercitata da chi rivesta una qualche funzione pubblicistica, altrimenti pervenendosi ad un’estensione eccessiva del concetto in esame.
L’orientamento di segno opposto è invece volto ad attribuire rilievo anche all’autorità priva di connotati pubblicistici, qualora dalla stesa derivi quel rapporto di supremazia idoneo a incidere negativamente sulla libertà altrui.
Nel dirimere il contrasto ermeneutico, le Sezioni Unite con una recente pronuncia hanno ripercorso la nozione di abuso di autorità ed attribuito particolare rilievo alla ratio di tutela della libertà personale alla stessa sottesa. Sulla base di tali considerazioni, le Sezioni Unite della Cassazione hanno riconosciuto la maggiore pericolosità, insidiosità e pervasività per il bene giuridico della libertà sessuale insita nella condotta poste in essere da chi, ricoprendo un certo ruolo, abusi della autorità dallo stesso derivante nei confronti di un soggetto che, inevitabilmente, si trova in uno stato di subalternità ed è meno capace di resistere a tale abusi.
Ciò, a prescindere dal fatto che l’autorità sia pubblicisticamente connotata. A titolo esemplicificativo, può citarsi il caso dell’abuso di autorità posto in essere dall’insegnante di diritto privato che, profittando del proprio ascendente sull’alunno, ne compromette la libertà sessuale esattamente alla stregua dell’insegnante pubblico che abusi della propria autorità, pubblicisticamente intesa.
Deve dunque concludersi osservando come l’abuso di autorità, presupponendo una relazione qualificata e non paritaria tra due soggetti, sia idoneo ad incidere sensibilmente sulla libertà personale di chi si trovi in posizione di subalternità e soggezione, specie nei delitti contro la libertà personale e in particolare con riguardo a quelli di violenza sessuale con minorenne o su minorenni, incidendo la minore età sulla capacità del soggetto passivo di autodeterminarsi liberamente e di resistere ai possibili abusi di autorità.
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