Con ordinanza n. 19598 del 18 settembre 2020 le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno effettuato rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, ex art 267 TFUE, sottoponendole i seguenti quesiti:
“a. Se gli articoli 4, paragrafo 3, 19, paragrafo 1, del TUE e 2, paragrafi 1 e 2, e 267 TFUE, letti anche alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ostino ad una prassi interpretativa come quella concernente gli articoli 111,ottavo comma, della Costituzione, 360, primo comma, n.1, e 362, primo comma, del codice di procedura civile e 110 del codice del processo amministrativo – nella parte in cui tali disposizioni ammettono il ricorso per cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato per motivi inerenti alla giurisdizione – quale si evince dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 6 del 2018 e dalla giurisprudenza nazionale successiva che, modificando il precedente orientamento, ha ritenuto che il rimedio del ricorso per cassazione, sotto il profilo del cosiddetto difetto di potere giurisdizionale, non possa essere utilizzato per impugnare sentenze del Consiglio di Stato che facciano applicazione di prassi interpretative elaborate in sede nazionale confliggenti con sentenze della Corte di Giustizia, in settori disciplinati dal diritto dell’Unione europea ( nella specie, in tema di aggiudicazione degli appalti pubblici) nei quali gli Stati membri hanno rinunciato ad esercitare i loro poteri sovrani in senso incompatibile con tale diritto, con l’effetto di determinare il consolidamento di violazioni del diritto comunitario che potrebbero essere corrette tramite il predetto rimedio e di pregiudicare l’uniforme applicazione del diritto dell’Unione e l’effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive di rilevanza comunitaria, in contrasto con l’esigenza che tale diritto riceva piena e sollecita attuazione da parte di ogni giudice, in modo vincolativamente conforme alla sua corretta interpretazione da parte della Corte di Giustizia, tenuto conto dei limiti alla autonomia procedurale degli Stati membri nella conformazione degli istituti processuali.
- Se gli articoli 4, paragrafo 3, 19, paragrafo 1, TUE e 267 TFUE, letti anche alla luce dell’art 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ostino alla interpretazione e applicazione degli articoli 111, ottavo comma, della Costituzione, 360, primo comma, n.1, e 362, primo comma, del codice di procedura civile e 110 del processo amministrativo, quale si evince dalla prassi giurisprudenziale nazionale, secondo la quale il ricorso per cassazione dinanzi alle Sezioni Unite per motivi inerenti alla giurisdizione, sotto il profilo del cosiddetto difetto di potere giurisdizionale, non sia proponibile come mezzo di impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato che, decidendo controversie su questioni concernenti l’applicazione del diritto dell’Unione, omettano immotivatamente di effettuare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, in assenza delle condizioni, di stretta interpretazione, da essa tassativamente indicate ( a partire dalla sentenza 6 ottobre 1982, Cilfit, C-238/81) che esonerano il giudice nazionale dal suddetto obbligo, in contrasto con il principio secondo cui sono incompatibili con il diritto dell’Unione le normative o prassi processuali nazionali, seppure di fonte legislativa o costituzionale,che prevedano una privazione, anche temporanea, della libertà del giudice nazionale (di ultimo grado e non) di effettuare il rinvio pregiudiziale, con l’effetto di usurpare la competenza esclusiva della Corte di giustizia nella corretta e vincolante interpretazione del diritto comunitario, di rendere irrimediabile ( e favorire il consolidamento del)l’eventuale contrasto interpretativo tra il diritto applicato dal giudice nazionale e il diritto dell’Unione e di pregiudicare la uniforme applicazione e la effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive derivanti dal diritto dell’Unione.
- Se i principi dichiarati dalla Corte di giustizia con le sentenze 5 settembre 2019, Lombardi, C-333/18; 5 aprile 2016, Puligienica, C-689/13; 4 luglio 2013, Fastweb, C-100/12, in relazione agli articoli 1, par. 1 e 3, e 2, par. 1, della direttiva 89/665/CEE, modificata dalla direttiva 2007/66/CE, siano applicabili nella fattispecie che è oggetto del procedimento principale, in cui, contestate dall’impresa concorrente l’esclusione da una procedura di gara d’appalto e l’aggiudicazione di altra impresa, il Consiglio di Stato esamini nel merito il solo motivo di ricorso con cui l’impresa esclusa contesti il punteggio inferiore alla soglia di sbarramento attribuito alla propria efficienza tecnica e, esaminando prioritariamente i ricorsi incidentali dell’amministrazione aggiudicatrice e dell’impresa aggiudicataria, li accolga dichiarando inammissibili ( e ometta di esaminare il merito) gli altri motivi del ricorso principale che contestino l’esito della gara per altre ragioni ( per indeterminatezza dei criteri di valutazione delle offerte nel disciplinare di gara, mancata motivazione dei voti assegnati, illegittima nomina e composizione della commissione di gara), in applicazione di una prassi giurisprudenziale nazionale secondo la quale l’impresa che sia stata esclusa da una gara di appalto non sarebbe legittimata a proporre censure miranti a contestare l’aggiudicazione all’impresa concorrente, anche mediante la caducazione della procedura di gara, dovendosi valutare se sia compatibile con il diritto dell’Unione l’effetto di precludere all’impresa il diritto di sottoporre all’esame del giudice ogni ragione di contestazione dell’esito della gara, in una situazione in cui la sua esclusione non sia stata definitivamente accertata e in cui ciascun concorrente può far valere un analogo interesse legittimo all’esclusione dell’offerta degli altri, che può portare alla constatazione dell’impossibilità per l’amministrazione aggiudicatrice di procedere alla scelta di un’offerta regolare e all’avvio di una nuova procedura di aggiudicazione, alla quale ciascuno degli offerenti potrebbe partecipare”.
La questione trae origine dall’indizione, da parte dell’Azienda USL Valle d’Aosta, di una procedura di gara, da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa,il cui bando di gara aveva previsto una “soglia di sbarramento” delle offerte tecniche, stabilita in un punteggio prestabilito, tale da non ammettere al prosieguo della procedura i concorrenti che avessero riportato un punteggio inferiore.
Alla procedura avevano partecipato otto concorrenti.
La commissione aggiudicatrice, valutate le offerte tecniche, aveva ammesso alla fase successiva solo alcune partecipanti, con esclusione delle altre,le quali avevano ottenuto un punteggio inferiore a quello previsto.
La procedura proseguiva giungendo all’esito dell’avvenuta aggiudicazione.
Una delle società escluse per mancato superamento della soglia di sbarramento proponeva dunque ricorso al TAR per la Valle d’Aosta avverso il provvedimento di esclusione, e con motivi aggiunti impugnava anche l’aggiudicazione della gara al RTI vincitore, deducendo, al fine di ottenere la riammissione alla gara, la irragionevolezza dei punteggi tecnici attribuiti alla propria offerta, nonostante la palese somiglianza con quella del vincitore, così come la inadeguatezza della determinazione dei criteri di valutazione delle offerte indicati nel bando di gara ed il difetto di motivazione circa i voti numerici assegnati alle offerte.
Deduceva altresì la illegittima nomina della commissione aggiudicatrice con una persona incompatibile e la mancata suddivisione della gara in lotti.
La stazione appaltante ed il RTI vincitore della gara resistevano eccependo l’inammissibilità dei motivi di ricorso della ricorrente, assumendo la carenza di legittimazione della stessa alla proposizione dei medesimi poiché esclusa dalla gara.
Il TAR adito rigettava le eccezioni relative alla legittimazione a ricorrere della società esclusa, poiché aveva partecipato alla gara – essendone incontestatamente in possesso dei requisiti di ammissione – e ne era stata esclusa dal prosieguo solo per la valutazione insufficiente della propria offerta
Procedendo quindi all’esame dei motivi di ricorso nel merito, il giudice amministrativo provvedeva alla loro integrale reiezione.
La ricorrente proponeva dunque appello innanzi al Consiglio di Stato, sostanzialmente ribadendo le censure e gli argomenti difensivi dedotti innanzi al giudice di prime cure.
Avverso la sentenza di primo grado veniva proposto altresì appello incidentale da parte delle appellate, le quali ne domandavano la censura nella parte in cui aveva ritenuto ammissibili ed esaminato nel merito le doglianze dirette all’annullamento della gara, poiché proposte da soggetto che, in quanto escluso dalla competizione, non era legittimato a proporle.
Il Consiglio di Stato, Sez. III, con sentenza del 7.8.2019, rigettava il motivo del ricorso principale relativo alla illegittima attribuzione all’offerta tecnica dell’appellante di un punteggio insufficiente per il prosieguo della gara, ma al contempo accoglieva i ricorsi incidentali delle appellate, per l’effetto riformando parzialmente l’impugnata sentenza nella parte in cui il giudice di primo grado aveva esaminato nel merito gli altri motivi del ricorso principale, che andavano dichiarati inammissibili in quanto dedotti da soggetto all’uopo non legittimato, poiché escluso dalla gara.
In buona sostanza, il C.d.S. non esaminava nel merito gli ulteriori motivi di ricorso principale, diretti a contestare l’esito della gara ed ottenerne l’annullamento, poiché la ricorrente principale, in quanto esclusa dalla gara, sarebbe stata portatrice di un mero interesse di fatto, ponendosi nella medesima situazione di un qualunque operatore economico che non avesse mai partecipato a quella gara.
In tal senso, i Giudici di Palazzo Spada hanno aderito all’orientamento fatto proprio da A.P. 4/2011 e 9/2014, per il quale nel caso in cui la PA abbia escluso dalla gara un concorrente, questi non è legittimato ad impugnare gli atti di gara, a meno che non venga accertata l’illegittimità della propria esclusione.
Avverso questa sentenza del Consiglio di Stato la soccombente ha proposto ricorso per cassazione, deducendo come unico motivo di ricorso la violazione:
– degli artt 362, comma 1, c.p.c. e 110 c.p.a., nella misura in cui il Consiglio di Stato avrebbe negato ad un soggetto escluso dalla gara, peraltro con provvedimento la cui legittimità non era ancora definitivamente accertata poiché era contestata nel giudizio in questione, la legittimazione e l’interesse a proporre ricorso volto, per vari motivi, alla caducazione della procedura selettiva;
– conseguenzialmente, del principio di effettività della tutela giurisdizionale – posto dall’art 1, par 1, terzo comma, della Direttiva CEE 665/89 – con conseguente diniego di tale garanzia, censurabile con ricorso per cassazione dinanzi alle SS.UU. ex art 111, comma 8, Cost., così come statuito da specifici precedenti della stessa Corte ( cfr. SS.UU. 2242/2015 e 31226/2017).
La ricorrente invoca parimenti, a sostegno della censura avanzata contro la pronuncia del C.d.S., le statuizioni di principio fatte proprie dalla giurisprudenza della CGUE in materia, secondo la quale ciò che è sufficiente a radicare l’interesse e il diritto alla tutela giurisdizionale è la mera probabilità di conseguire un vantaggio mediante la proposizione del ricorso, consistente in qualsiasi risultato, anche rappresentato dalla ripetizione della gara.
In particolare, la ricorrente richiama le sentenze Lombardi del 2019, Puligienica del 2016 e Fastweb del 2013 – tutte pronunciate su rinvii pregiudiziali di giudici italiani – le quali hanno escluso che l’eccezione ed il ricorso incidentale dell’aggiudicatario di una gara di appalto possano dispiegare effetti paralizzanti – poiché volti ad ottenere l’esclusione (o la conferma dell’esclusione) dalla gara del ricorrente – rispetto al ricorso principale, determinandone la carenza di legittimazione ed interesse: e ciò quali che siano le ragioni poste a base del ricorso ed il numero di partecipanti alla gara, anche al fine di ottenerne l’annullamento e la riedizione.
I resistenti, invece contestano anzitutto l’inammissibilità del ricorso ex art 111, comma 8, Cost. perché diretto a denunziare un vizio della sentenza impugnata che non può essere contestato in quella sede processuale, in quanto trattasi non già di una violazione dei limiti esterni della giurisdizione, che viceversa determinerebbe la piena ammissibilità del ricorso alle SS.UU., quanto piuttosto una violazione di legge ormai consolidata e non più contestabile.
Del resto, ricordano le resistenti il revirement operato sul punto dallo stesso Giudice della giurisdizione, che con sentenza SS.UU. 13243/2019 ha aderito ad un orientamento espresso dalla Corte Cost. n. 6 del 2018, successiva agli arresti del 2015 e 2017 richiamati dalla ricorrente.
Parimenti, deducono i resistenti che la giurisprudenza della CGE richiamata dalla ricorrente non sia pertinente al caso di specie; infine, ritengono che il C.d.S. abbia correttamente applicato le coordinate ermeneutiche desumibili dalle citate pronunce della A.P. 4/2011 e 9/2014.
Ciò posto, la S.C. provvede anzitutto alla ricostruzione del quadro normativo relativo alla questione sottopostale, individuandone le specifiche disposizioni, con riguardo tanto all’ordinamento europeo, quanto a quello nazionale.
La S.C. ricorda dunque che se le dedotte eccezioni di inammissibilità del ricorso, sollevate dalle resistenti, dovessero ritenersi fondate, l’effetto ultimo sarebbe quello di consolidare, definitivamente e senza ulteriore possibilità di rimedio, una grave violazione del diritto UE in un momento in cui ad essa vi si possa ancora rimediare: tuttavia, la possibilità di giudicare ammissibile detto ricorso e dare corso all’esame nel merito del medesimo trova ostacolo in un orientamento interpretativo affermatosi a partire dalla citata pronuncia Corte Cost. 6/2018 e seguito dalla successiva giurisprudenza delle SS.UU.
In precedenza, infatti, rammenta la Corte, si era consolidato l’orientamento opposto, incline a ritenere che tra i motivi inerenti alla giurisdizione, per i quali è ammesso il ricorso alle SS.UU. della Cassazione, rientrano non solo quelli afferenti alla individuazione dei presupposti dell’attribuzione del potere giurisdizionale in capo al GA , ma anche quelli concernenti la verifica che questi abbia concretamente esercitato detto potere.
Infatti, la Corte stessa ricorda sul punto la copiosa giurisprudenza delle SS.UU. ( si tratta, invero, di una produzione giurisprudenziale copiosa e stratificata nel corso degli anni, come tale, per brevità, si rinvia alle pagg. 13 – 16 dell’ordinanza in commento).
E’ dunque chiaro che le SS.UU. prendano conseguentemente atto che l’orientamento consolidatosi sino alla sentenza 6/2018 del Giudice delle leggi era quello che effettivamente garantisse la corretta applicazione delle disposizioni comunitarie che, così come opportunamente interpretate dalla Corte di Giustizia, garantivano in modo ampio ed effettivo l’accesso alla tutela giurisdizionale .
Del resto, le SS.UU. ricordano come la stessa Adunanza Plenaria del C.d.S., nella nota pronuncia n. 11 del 2016, aveva evidenziato come nell’o.g. italiano fosse già immanente quel principio che impone al giudice nazionale di adoperarsi al fine di impedire la formazione di un giudicato violativo delle norme del diritto sovranazionale, che allo Stato italiano è fatto obbligo di applicare.
Ed è proprio la A.P. a prendere atto del meritorio intervento delle SS.UU., le quali hanno sancito che la violazione del diritto comunitario da parte del giudice amministrativo dia luogo precipuamente alla violazione di un limite esterno di giurisdizione: in tale caso – avendo il giudice adottato una decisione abnorme, poiché omette il pur doveroso esercizio del proprio potere giurisdizionale – si concretizza una violazione del limite esterno della giurisdizione, con la conseguenza che non può non ammettersene quel controllo che è peraltro presidiato da una specifica disposizione della Carta Fondamentale ( art 111, comma 8, Cost.).
Ciò posto, le SS.UU. prendono poi atto del proprio revirement, operato in seguito alla pronuncia della Corte Cost n. 6/2018.
Secondo il Giudice delle leggi, il controllo di giurisdizione operato dalle SS.UU., sulle pronunce del C.d.S. non può spingersi al punto tale da ricomprendere anche le ipotesi di violazione del diritto sovranazionale, poiché tanto integrerebbe una semplice violazione di legge, come tale incensurabile con lo strumento del ricorso per cassazione.
Tale presa di posizione della Consulta è stata ritenuta vincolante e recepita nella giurisprudenza successiva delle SS.UU. (cfr. pronunce 32622 e 32773 del 2018; 13243 e 29085 del 2019; 6460 del 2020): in particolare, la pronuncia n. 13243 del 2019, occupandosi di un caso analogo a quello per cui è causa, dichiara espressamente la necessità di rimeditare la questione e di superare il, pur più garantista, orientamento precedente alla citata pronuncia della Corte Costituzionale del 2018.
Tanto premesso, le SS.UU. si interrogano sulla compatibilità con il diritto europeo di tali ultime statuizioni di principio, all’uopo ricordando la copiosa giurisprudenza della Corte di Giustizia che depone nel senso diametralmente opposto e nella quale ha trovato conforto l’orientamento formatosi in seno alle SS.UU. prima della citata pronuncia della Corte Costituzionale ( per brevità si rinvia alle pagine 18 – 26 dell’ordinanza in commento): la Corte del resto rammenta altresì che il principio di preminenza del diritto europeo rispetto a quello nazionale, efficacemente compendiato dalla CGE nella celebre pronuncia Van Gend & Loos del 1963, verrebbe frustrato se il giudice nazionale non potesse applicare immediatamente il diritto comunitario, conformemente all’interpretazione fattane dalla Corte di Giustizia ( cfr. anche CGE sentenza Simmenthal 1977).
Del resto, il principio di effettività della tutela giurisdizionale è altresì sancito espressamente dalla Direttiva “appalti” del 1989.
Come tale, se anche si dovesse ritenere effettivamente vincolante l’interpretazione fatta da Corte Cost. n. 6/2018 in relazione alla portata dell’art 111, comma 8, Cost., questa stessa statuizione di principio risulterebbe a sua volta violativa del citato principio di preminenza e, come tale, da considerarsi conseguentemente recessiva e disapplicabile.
Peraltro la stessa Corte Costituzionale ha avuto la possibilità di porre rimedio alla situazione già nel 2018, laddove ben avrebbe potuto dichiarare la illegittimità costituzionale dell’art 395 c.p.c. – nella parte in cui non prevede tra i casi di revocazione quello in cui sia necessario adeguarsi alle pronunce della CEDU e della CGUE – come peraltro paventato dai rimettenti giudici amministrativi: ciò nonostante, la Consulta ha dichiarato infondato il relativo incidente di incostituzionalità.
Di conseguenza, appare dunque di solare evidenza come lo strumento del ricorso per cassazione rappresenti di fatto l’unico rimedio possibile ed efficace per scongiurare il consolidamento della violazione del diritto comunitario da parte del Consiglio di Stato in un momento in cui a tale violazione si possa ancora porre rimedio: ricorda la Corte che le sentenze del C.d.S., ex art 92 c.p.a., acquistano forza di giudicato solo dopo la scadenza dei termini di impugnazione previsti ovvero a seguito dell’infruttuoso ricorso per cassazione.
Del resto, la stessa Corte di Giustizia ha affermato che, quanto allo scopo di evitare l’intangibilità di giudicati violativi del diritto europeo, gli Stati membri restano liberi di individuare gli strumenti processuali all’uopo ritenuti più opportuni.
Per quanto sin qui detto, le SS.UU. provvedono quindi alla formulazione della prima questione pregiudiziale, come dianzi riportara.
Relativamente alla seconda questione pregiudiziale, le SS.UU., ritenuto dunque ammissibile l’odierno ricorso, prendono atto di un proprio consolidato orientamento ( cfr pronunce n. 2403/2014; 25629/2016; 30301/2017; 29391 e 32622 del 2018) che depone nel senso della incensurabilità mediante ricorso per cassazione, per motivi inerenti alla giurisdizione, dell’omissione immotivata di rinvio pregiudiziale ex art 267 TFUE da parte del Consiglio di Stato, nella sua qualità di giudice amministrativo di ultima istanza, per materie di competenza dell’UE, così come dell’impossibilità, per le SS.UU., dinanzi alla quale sia impugnata la decisione di tale giudice, di operare rinvio pregiudiziale ( cfr pronunce 14042/2016 e 6460/2020).
Ciò posto, le SS.UU. ammettono che, una volta ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione avverso le sentenze del C.d.S. contrastanti con il diritto europeo, sarebbe illogico sostenere che il giudice di tale impugnazione non possa operare il rinvio pregiudiziale ex art 267 TFUE, che di fatto costituisce l’unico strumento che possa far emergere il contrasto della sentenza censurata con il diritto UE, così come interpretato dalla Corte di Giustizia.
Il giudice della giurisdizione rammenta poi la nota pronuncia della CGE Cilfit del 1982, relativa alle condizioni (tassativamente indicatevi) che esonerano il giudice nazionale dell’obbligo di rinvio pregiudiziale, così come le varie pronunce ( pagine 28 – 30 del provvedimento in commento) per le quali l’istituto del rinvio pregiudiziale di cui all’art 267 TFUE è espressione diretta ed immediata del principio di leale cooperazione tra Stati membri ed istituzioni dell’UE, che risulterebbe violato per effetto del consolidamento di normative e prassi giurisprudenziali interne che di fatto precludano il rinvio pregiudiziale fuori dei casi tassativi in cui tale obbligo viene meno: ciò in base all’elementare considerazione per cui il giudice nazionale deve garantire la piena efficacia delle norme comunitarie e la Corte di Giustizia non può in alcun modo essere distolta dall’esercizio della propria funzione di interpretazione autentica del diritto europeo, affidatole dal Trattato istitutivo; parimenti, alle SS.UU. non può essere inibito di esercitare le funzioni di garanzia, inerenti al rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni, affidatele dall’ordinamento nazionale ( art 65 Ord. giud.), tanto più se risulta ancora possibile evitare la formazione di un giudicato “antieuropeo”.
La terza questione pregiudiziale è la necessaria conseguenza logico – giuridica delle prime due concernendo la compatibilità della decisione assunta dal C.d.S., di cui all’odierno gravame, con i principi del diritto europeo più volte stabiliti dalla Corte di Giustizia, e precipuamente relativi ai rapporti tra ricorso (ed appello) principale ed eccezione ovvero ricorso ( o appello) incidentale.
Sul punto, la questione è fin troppo nota ed è stata ampiamente trattata e decisa, a più riprese e nello stesso modo, dal giudice europeo ( pronunce Fastweb 2013, Puligienica 2016, Archus 2017 e Lombardi 2019) il quale ha costantemente asserito come l’eccezione ovvero il ricorso ( o l’appello) incidentale non possano avere efficacia preclusiva della disamina del merito del ricorso principale: ciò in quanto, la posizione del concorrente alla gara che contesti la propria esclusione e proponga censure volte alla riedizione della stessa, previa caducazione del provvedimento di aggiudicazione, non può in alcun modo considerarsi analoga a quella dell’operatore economico che non abbia mai partecipato a tale procedura selettiva, a condizione che non si sia formato il giudicato sulle ragioni della relativa impugnazione.
Le considerazioni in ordine al numero di partecipanti alla gara, così come al numero dei soggetti ricorrenti e la eterogeneità dei relativi motivi di doglianza, sono all’uopo privi di alcuna rilevanza: tanto nella misura in cui, in una situazione del genere, ognuno dei partecipanti può vantare l’interesse equivalente all’esclusione dell’offerta degli altri, tale che la stazione appaltante potrebbe decidere di annullare la procedura e di disporne la riedizione, alla stregua della considerazione per cui le rimanenti offerte regolari non corrispondano in modo esaustivo a quanto la PA medesima aspirasse; per questa via, la possibilità di una tale evenienza deve essere considerata all’uopo sufficiente ( come peraltro considerato dalle stesse SS.UU. nella pronuncia 31226/2017) a ritenere ammissibile il ricorso (o l’appello principale) che dovrà essere compiutamente esaminato nel merito.
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