Con Ordinanza n. 8236 del 28/04/2020 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno esaminato il caso della responsabilità della P.A. per il danno derivante dalla lesione dell’affidamento nella correttezza dell’azione amministrativa.
Hanno espresso, sul tema il seguente principio di diritto:
“Spetta alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria la controversia relativa ad una pretesa risarcitoria fondata sulla lesione dell’affidamento del privato nell’emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, atteso che la responsabilità della P.A. per il danno prodotto al privato quale conseguenza della violazione dell’affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell’azione amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti (la pubblica amministrazione ed il privato che con questa sia entrato in relazione) inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o da “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell’amministrazione.
COMMENTO
Nel giugno 2012, la società Alfa presentava al Comune di Lignano Sabbiadoro un progetto preliminare di massima per la realizzazione di un grande complesso alberghiero su un terreno di sua proprietà. Sulla base di questo progetto, si sviluppavano frequenti contatti e un’intensa interlocuzione tra la società e il Comune che richiedeva alla prima di presentare un piano attuativo comunale (PAC). Tale PAC veniva prodotto dalla società nell’ottobre del 2012 e, successivamente, veniva modificato ed integrato secondo le indicazioni del Comune. Nel giugno 2014 il Comune informava la società che la Commissione urbanistica comunale aveva espresso parere favorevole, con segnalazione di alcuni chiarimenti e richieste di miglioramenti e con l’invito a presentare richiesta di permesso di costruire in deroga. Sulla scorta di ciò, la società, nell’ottobre 2014, chiedeva al Comune l’archiviazione del PAC e presentava contestualmente richiesta di rilascio del permesso di costruire e domanda di deroga alle norme urbanistiche comunali. Seguivano ulteriori richieste di integrazione e variazioni progettuali da parte del Comune nel corso del 2015 sino a quando, nel settembre 2016, l’Amministrazione comunale, dopo numerosi contatti e solleciti, rappresentava, dapprima la non applicabilità delle deroghe alla erigenda costruzione alberghiera (conseguentemente prospettando l’opportunità di presentare nuovamente un PAC e segnalando di aver richiesto un parere alla Regione sulla possibilità di derogare al PAIR) e poi l’opportunità di attendere il parere regionale.
In ragione del tempo perduto e dell’atteggiamento ondivago dell’amministrazione, la società Alfa lamentava, allora, che erano state lese le sue aspettative e, pertanto, richiedeva al giudice il risarcimento del danno subìto da liquidare a mezzo c.t.u. ovvero in via equitativa. Costituitosi in giudizio il Comune resisteva alla domanda sollevando, preliminarmente, eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario. Nel frattempo, la Regione Friuli-Venezia Giulia rilasciava i pareri richiesti dal Comune, il quale ultimo, conseguentemente, trasmetteva alla società atto di preavviso di diniego del permesso di costruire in deroga. Nel giugno 2017 il Comune di Lignano Sabbiadoro proponeva regolamento preventivo di giurisdizione ai sensi dell’art. 41 c.p.c. chiedendo dichiararsi la giurisdizione del giudice amministrativo. La società Alfa depositava contro ricorso in cui chiedeva di dichiararsi, invece, la giurisdizione del giudice ordinario.
A sostegno della sua richiesta, l’amministrazione richiamava gli articoli 30 e 133 c.p.a. sostenendo che la controversia dovesse farsi rientrare nella giurisdizione del giudice amministrativo per due ordini di ragioni: la prima, perché, non essendo stato emesso alcun provvedimento positivo, non sarebbe sorto alcun legittimo affidamento in capo alla società che, pertanto, avrebbe potuto richiedere, eventualmente, solo il risarcimento del danno da ritardo che, ai sensi dell’art. 133, lett. a), n. 1 c.p.a, appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo; la seconda, perché la controversia sarebbe rientrata nella materia di edilizia ed urbanistica, attribuita alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dall’art. 1, comma 1, lett. f), c.p.a..
La società, dal canto suo, sosteneva che la giurisdizione dovesse spettare al giudice ordinario in quanto l’oggetto della domanda verteva sul risarcimento dei danni derivanti dal mancato rispetto dell’affidamento ingenerato dai provvedimenti favorevoli e dalle rassicurazioni fornite dall’Amministrazione municipale. Secondo la società, pertanto, la fattispecie avrebbe dovuto ricondursi nell’ambito dei principi espressi nella ordinanza delle Sezioni Unite n. 6594/2011.
Il collegio, in prima battuta, ritiene infondato l’argomento avanzato dal Comune secondo cui la controversia apparterrebbe alla giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, lett. a), n. 1 c.p.a.. Sostiene, infatti, la Corte che la società non lamenta tanto il ritardo del Comune a provvedere quanto la violazione dell’affidamento ingenerato dall’amministrazione in un determinato esito, favorevole alla società attrice, del procedimento. Esclude, altresì, il collegio l’applicazione dell’art. 133, lett. f., rilevando che la pretesa risarcitoria avanzata dalla società attrice ha ad oggetto un danno che non è stato causato da “atti” o “provvedimenti”, bensì dal comportamento tenuto dall’amministrazione nella conduzione dei rapporti tra i propri uffici e la stessa società, tale da ingenerare in quest’ultima un incolpevole affidamento nel rilascio del permesso, poi deluso dal diniego finale (del quale non viene messa in discussione la legittimità). Si lamenterebbe, quindi, un danno da comportamento e non da provvedimento.
Escluso l’art. 133 c.p.a., si interroga la Corte circa la possibilità di applicare alla fattispecie corrente i principi enunciati nelle ordinanze delle Sezioni Unite nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011. In dette ordinanze la Suprema Corte aveva precisato che devono farsi rientrare nella giurisdizione del giudice ordinario le controversie in cui i privati non mettono in discussione l’illegittimità degli atti amministrativi, ampliativi della loro sfera giuridica, annullati in via di autotutela o ope judicis, ma lamentano la lesione del loro affidamento sulla legittimità degli atti annullati e chiedono il risarcimento dei danni da loro subiti per aver orientato le proprie scelte negoziali o imprenditoriali confidando, fino all’annullamento di tali atti, nella relativa legittimità. Si chiede la Corte, in particolare, se la giurisdizione del giudice ordinario debba essere affermata anche quando nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché, in definitiva, il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell’amministrazione; o se, al contrario, nel caso in cui nessun provvedimento ampliativo sia mai venuto ad esistenza, l’affidamento riposto dal privato nella futura emanazione di un provvedimento a lui favorevole non costituisca altro che un mero riflesso, ininfluente sulla giurisdizione, di un’azione amministrativa con conseguente affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo tutte le volte che si versi in una materia di giurisdizione esclusiva del medesimo.
A tale interrogativo la Corte risponde riprendendo le ragioni alla base delle ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 e rilevando che la lesione di cui si discute discende non dalla violazione delle regole di diritto pubblico, che disciplinano l’esercizio del potere amministrativo che si estrinseca nel provvedimento, bensì dalla violazione delle regole di correttezza e buona fede. Ora, la Corte Costituzionale ha specificato che anche nelle materie di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la giurisdizione amministrativa su diritti presuppone che questi ultimi risultino coinvolti nell’esplicazione della funzione pubblica, esercitata mediante provvedimenti o mediante accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento. Perché sussista la giurisdizione del giudice amministrativo, quindi, è necessario, anche nelle materie di giurisdizione esclusiva, che la controversia inerisca ad una situazione di potere dell’amministrazione. È necessario, cioè, che la causa petendi si radichi nelle modalità di esercizio del potere amministrativo e ciò non accade quando la causa del danno, di cui il privato chiede il risarcimento, risiede non nel cattivo esercizio del potere amministrativo, bensì in un comportamento la cui illiceità viene dedotta prescindendo dal modo in cui il potere è stato (o non è stato) esercitato e viene prospettata come violazione di regole comportamentali di buona fede e correttezza alla cui osservanza è tenuto qualunque soggetto, sia esso pubblico o privato. Il dovere di comportarsi secondo correttezza e buona fede rappresenta, infatti, una manifestazione del più generale dovere di solidarietà sociale, che trova il suo principale fondamento nell’art. 2 Cost. e grava reciprocamente su tutti i membri della collettività.
Alla luce di ciò, secondo la Corte si deve escludere l’applicazione dell’art. 30, comma 2, c.p.a., che attribuisce al giudice amministrativo nei casi di giurisdizione esclusiva la competenza in tema di risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi, in tutti quei casi in cui il comportamento dell’amministrazione non sia posto in essere nell’esercizio di un potere pubblico bensì consista in meri comportamenti materiali avulsi da tale esercizio. In tale ultimo caso, infatti, la cognizione delle controversie nascenti da siffatti comportamenti spetta alla giurisdizione del giudice ordinario.
In ragione di queste considerazioni, posto anche che sono rinvenibili nell’ordinamento indici del progressivo orientamento del nostro ordinamento verso un’idea di “diritto amministrativo paritario”, ritiene la Corte che la responsabilità da comportamento dell’amministrazione, lesivo dei doveri generali di correttezza e buona fede, vada ricondotta al paradigma della responsabilità da contatto sociale qualificato, in forza del quale sorge tra il privato e l’amministrazione, un dovere reciproco di buona fede e correttezza che si configura come fonte di obbligazioni ai sensi dell’art. 1173 c.c.. Ne deriva, pertanto, che in caso di violazione di questi doveri si avrà responsabilità contrattuale.
In definitiva, ritiene la Corte che i principi enunciati dalle ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 valgono non soltanto nel caso di domande di risarcimento del danno da lesione dell’affidamento derivante dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto amministrativo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il privato abbia riposto il proprio affidamento in un comportamento mero dell’amministrazione. In questo caso, infatti, i detti principi valgono con maggior forza, perché, l’amministrazione non ha posto in essere alcun atto di esercizio del potere amministrativo; il rapporto tra la stessa ed il privato si gioca, allora, interamente sul piano del comportamento, nemmeno esistendo un provvedimento a cui astrattamente imputare la lesione di un interesse legittimo. Il regolamento di giurisdizione, pertanto, viene definito con l’affermazione della giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria.
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