Il deludente esito delle prove scritte dell’ultimo concorso di magistratura che ha visto ammettere agli orali su oltre tremila consegnanti solo 301 candidati, peraltro in numero di molto inferiore ai posti messi a concorso, offre l’occasione per riflettere approfonditamente sulla necessità di un’adeguata riforma del concorso stesso. A parere di chi scrive essa deve muovere da un’analisi approfondita delle problematiche che affliggono l’attuale accesso alla magistratura, a cominciare dalla tempistica di espletamento del concorso che non esitiamo a definire biblica, tanto da consentire l’entrata in carriera di candidati “invecchiati” sui libri, lontanissimi dalla laurea e, privi, nella maggior parte dei casi, anche di un’adeguata pratica giudiziaria.
Uno dei primi motivi di questa stortura risiede nelle regole che presiedono l’accesso alla domanda per partecipare al concorso cui, in un non lontano passato, si accedeva con la semplice laurea in giurisprudenza e che richiedono, oggi, il possesso di uno dei titoli aggiuntivi descritti all’art. 2 del Decreto Legislativo 5 aprile 2006 n. 2006 (dottorato di ricerca in materie giuridiche, abilitazione all’esercizio della professione forense, funzioni direttive nelle pubbliche amministrazioni per almeno tre anni, funzioni di magistrato onorario per almeno quattro anni senza demerito, diploma di specializzazione in una disciplina giuridica e per ultimo l’espletamento di un tirocinio giudiziario della durata di un anno e mezzo conclusosi con esito positivo).
L’acquisizione di tali titoli – unitamente all’allungamento del corso di laurea in giurisprudenza da quattro a cinque anni – aveva già spinto il legislatore del 2006 ad innalzare l’età massima per accedere al concorso a 40 anni (contro i 31 anni precedenti). Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Se prima del 2006 l’età media dei giovani uditori si attestava sui 25/26 anni adesso essa è di 32/33 anni. Inoltre, a causa della tempistica burocratica che si attiva successivamente alla vincita del concorso non di rado passano sei/otto mesi dal termine delle prove orali al decreto di nomina dei giovani magistrati e si procrastina l’entrata in carriera per mere ragioni finanziarie. Ancora, il tirocinio interno, che i vincitori di concorso devono espletare presso la Scuola Superiore della Magistratura, sussegue alla presa di possesso per altri 18 mesi, ragione per cui i tempi della materiale presa di possesso delle funzioni si possono collocare a oltre due anni/tre anni dall’ultimazione delle prove orali. Se poi si considera che, di norma, è molto difficile diventare Magistrati al primo tentativo (la legge prevede la possibilità di tentare il concorso per tre volte), si può tranquillamente sostenere che i Magistrati di prima nomina, con funzioni, presentano, oggi, un’età media maggiore di circa 10 anni di più rispetto al passato. Questa situazione comporta, a parere di chi scrive, serie problematiche sia in termini di motivazione al servizio (si è quasi già stanchi prima di cominciare a rendere giustizia) che con riguardo alla progressione della carriera economica e pensionistica dei Magistrati stessi, visto che, in tal modo, molti Magistrati cominciano ad acquisire un’indipendenza economica dalle famiglie circa un decennio dopo gli altri laureati e non riescono a maturare gli anni necessari per arrivare alla pensione nel termine di 70 anni come previsto dalla legge.
A questa dilatazione della tempistica di accesso al concorso il legislatore del 2006 aveva pensato di opporre una profonda accelerazione della tempistica di espletamento del concorso stesso disponendo delle cadenze ben precise sia nel bando che nell’esaurimento del concorso; regole, anche queste, rimaste, in gran parte ignorate, dai Presidenti di Commissione del concorso – che pure ne rispondono personalmente – oltre che dallo stesso Ministero senza che non si sia levata, in merito, alcuna autorevole voce dissenziente, a cominciare dagli stessi Magistrati che compongono la maggioranza delle Commissioni d’esame e che pertanto dovrebbero avere tutto l’interesse a far concludere i concorsi nei termini più celeri possibili.
In particolare, per quel che attiene il bando di concorso, l’articolo 1 del decreto legislativo del 2006 ha previsto che “la nomina ad uditore giudiziario si consegue mediante concorso per esame, bandito con cadenza annuale” specificando al successivo art. 3 che “ il concorso e’ bandito con decreto del Ministro della giustizia, previa delibera del Consiglio superiore della magistratura, che determina il numero dei posti. Con successivi decreti del Ministro della giustizia, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale, sono determinati il luogo ed il calendario di svolgimento della prova scritta”. Queste disposizioni, se correttamente attuate, dovrebbero comportare una quanto più celere fissazione della data delle prove scritte ed orali, onde permettere, per ogni anno solare, l’entrata in magistratura di un quantitativo contingentato di magistrati secondo le esigenze del momento, avuto riguardo ai posti in pianta organica e alle scoperture ottenutesi per effetto dei pensionamenti. Nulla di tutto questo è avvenuto. Almeno con riguardo all’ultimo biennio. A fronte di un aumento consistente della pianta organica da parte dell’attuale Ministro effettuata nell’anno 2019 previo incremento di 600 magistrati rispetto alla precedente dotazione fissata con l. n. 181 del 13 novembre 2008, si è assistito negli ultimi due anni (2018 – 2019) al bando di due concorsi rispettivamente di 330 e di 310 posti. Il primo concorso, bandito nell’ottobre del 2018, avrebbe dovuto ufficializzare i risultati delle prove scritte entro nove mesi a partire dall’ultimo giorno successivo a quello di espletamento delle prove scritte espletate nel giugno 2019 ( art. 6 dell’ordinamento giudiziario del 2006) e quindi non oltre l’8 marzo 2020. Ed invece i gli esiti sono stati pubblicizzati tre mesi e mezzo dopo, e sono stati addirittura anticipati dai social, prima che alla pubblicazione provvedesse il Ministero, l’unico regolarmente competente. Ove la tempistica prevista dalla legge fosse stata rispettata, non ci sarebbe stato bisogno di disporre un’inutile sospensione dei lavori (peraltro non prevista se non per prove di concorso che avrebbero dovuto comportare pericolosi assembramenti) e si sarebbe comunque potuto già procedere agli orali a distanza, autorizzati espressamente con il Decreto Rilancio. Quanto al concorso per 310 posti bandito nel novembre 2019, di esso si ignora, a tutt’oggi, la semplice data di fissazione degli scritti che è stata procrastinata – senza alcuna motivazione – sine die per ben due volte. Questo modo di procedere danneggia gravemente la programmazione dello studio da parte degli aspiranti magistrati e costituisce un grave vulnus alla macchina ministeriale che deve provvedere all’organizzazione degli scritti in maniera oculata e previgente rispettando tutte le necessarie norme di sicurezza, anche eventualmente decentrando la sede di espletamento delle prove, cosi come peraltro già espressamente previsto dalla legge del 2006, previo utilizzo degli strumenti informatici, in via di adozione per tutti gli altri concorsi pubblici.
Le carenze di organizzazione e programmazione fin qui evidenziate comportano conseguenze di non poco momento per la giustizia italiana. Avere una magistratura efficiente e preparata oltre che motivata al servizio è primario interesse dei cittadini e non è certo questione per i soli addetti ai lavori (magistrati e avvocati). La giustizia diventa efficiente quanto più le sue modalità di accesso sono tempestive ed efficaci e quanto maggiore è l’apporto ad essa di giovani intelligenze. Non condanniamo i giovani che si affacciano al loro futuro di Magistrati con fiducia ed entusiasmo ad un’attesa indefinita ed umiliante.
Maria Rosaria Sodano
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