L’ambiente costituisce oggetto fondamentale di tutela e fonte di condizionamento sia per l’attività della pubblica amministrazione sia per il sindacato da parte del giudice amministrativo, il quale ha un ruolo sempre più incisivo e determinante sulle scelte adottate dalle p.a in materia ambientale.
Vale la pena segnalare come non sia stato agevole inizialmente individuare il valore costituzionale dell’ambiente, in quanto nella Costituzione (perlomeno sino al 2001 con la modifica del Titolo V) non vi era un espresso riferimento alla materia ambientale. Per questo in un primo momento si è fatto ricorso ad altri principi previsti dalla costituzione al fine di individuare un addentellato costituzionale alla tutela ambientale, quali l’art. 9 Cost. che tutela il paesaggio e l’art. 32 Cost. posto a presidio della salute dei cittadini. Le difficoltà derivavano soprattutto dall’impossibilità di trovare una definizione esaustiva e univoca del concetto di ambiente. La materia ambientale si presta infatti a diversi significati, in quanto si tratta di un concetto trasversale, che involge diversi ambiti di tutela (inquinamento, salute, ecosistema), e relazionale, nel senso che si relazione sempre a ulteriori interessi ugualmente fondamentali. Per questo la dottrina e la giurisprudenza, nel tentativo di darne una definizione sintetica e omnicompresiva, hanno definito l’ambiente come il complesso di elementi della natura (fiumi, aria, boschi, ecc.), delle specie animali e vegetali, gli ecosistemi e i beni culturali, dotato ognuno di una propria individualità ma facente parte di un unico comun denominatore di tutela. Tale orientamento pare essere stato accolto anche dal legislatore costituzionale, che ha voluto dare autonomia e specifica tutela all’ambiente. Infatti, a seguito della riforma del Titolo V Cost., l’ambiente è entrato a far parte in via definitiva del nostro assetto costituzionale, il quale affida allo Stato in via esclusiva la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali (art. 117 lett. s) cost.). Residua, inoltre, nella materia concorrente in capo alle Regioni il compito di predisporre le norme di dettaglio a fronte dei principi generali dettati dallo Stato in materia di valorizzazione dei beni culturali e ambientali (art. 117, c. 3 Cost). L’ambiente, inoltre, trova oggi specifica tutela nel D.Lgs. 152/2006, il quale, oltre a dettare i principi fondamentali della materia alla luce dei valori costituzionali sanciti dagli artt. 2,3,9,32,117, c. 1 e 3 Cost., delinea una serie di misure e procedimenti finalizzati a garantire e migliorare le condizioni dell’ambiente e l’utilizzo razionale delle risorse naturali (art. 2). I principi che guidano l’attività di tutela ambientale hanno matrice comunitaria. Lo stesso TFUE annovera espressamente l’ambiente tra le materie di competenza dell’Unione europea, ponendo una serie di obiettivi finalizzati alla salvaguardia e tutela della qualità dell’ambiente, alla protezione della salute umana e all’utilizzazione razionale delle risorse naturali (art. 191 TFUE). Gli Stati membri hanno quindi il dovere di cooperare e adottare misure coerenti in vista dell’armonizzazione delle rispettive legislazioni per garantire un elevato livello di tutela ambientale.
I principi fondamentali previsti in materia ambientale li troviamo esplicitati all’art. 3 ter D. Lgs 152/2006 e costituiscono regole generali che devono guidare l’azione amministrativa sia a livello normativo che provvedimentale (art. 3 bis). Tale contributo alla tutela ambientale ha portata generale e tutti i cittadini, non solo gli enti pubblici, devono prestare la propria azione a favore dell’ambiente conformemente ai principi che di seguito si riportano. Primo fra tutti il principio di sviluppo sostenibile, secondo il quale l’attuale utilizzo delle risorse naturali non deve compromettere la qualità della vita e delle possibilità delle generazioni future. Si pone quindi il problema di un equo utilizzo delle risorse ambientali, che non deve essere orientato a uno sfruttamento egoistico e contingente ma deve essere orientato anche al futuro secondo uno spirito perequativo e solidaristico (art. 2 Cost.).
Altro caposaldo per la tutela ambientale è la prevenzione, che richiede un preliminare controllo di compatibilità ambientale da parte di enti pubblici e privati nello svolgimento di determinate attività, affinché si eviti l’insorgere di rischi, attuali o futuri, che possano compromettere il benessere dell’ambiente. A tal riguardo, una funzione preventiva può essere riconosciuta alle valutazioni che in via prioritaria l’amministrazione statale o locale, con l’ausilio di apposita commissione tecnica all’uopo costituita o di figure di comprovata professionalità, deve compiere per verificare la compatibilità di certe attività con l’ambiente. Si prendano a riferimento la valutazione ambientale strategica (VAS), con la quale si valutano gli impatti che determinati piani o programmi (inerenti per esempio l’aria, foreste, animali selvatici) assunti dalle p.a. possono avere sull’ambiente; la valutazione di impatto ambientale (VIA) o l’autorizzazione integrata ambientale (AIA), che hanno la finalità di controllare progetti o installazioni, anche dei privati, che ricadono in determinate materie che possono presentare incompatibilità con l’ambiente. Ulteriore principio è quello della correzione, in virtù del quale sorge l’obbligo per i consociati di intervenire e correggere i danni causati all’ambiente. Il legislatore richiede un intervento incisivo alla fonte, in modo tale che si possano neutralizzare gli effetti del danno ed evitare che gli stessi possano riproporsi per il futuro. Si vedano a tal riguardo gli artt. 305 e ss. del D. Lgs. 152/2006, che disciplinano le modalità di intervento da parte del privato per porre riparo al danno ambientale cagionato. Diverso invece è il principio di precauzione il quale, sebbene anch’esso persegua il fine di limitare i danni ambientali, si colloca in un momento antecedente al verificarsi del danno vero e proprio. La precauzione si basa infatti su un intervento anticipato fondato sul rischio che una determinata attività o azione possa avere un impatto negativo sull’ambiente. Ciò impone all’amministrazione statale di intervenire in assenza di certezze scientifiche ma sulla base di dati statistici o comunque non corroborati dalla scienza con margini di opinabilità. Il legislatore quindi opera un bilanciamento di interessi, dando “prioritaria considerazione” agli interessi di tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale (art. 3 quater) a scapito di interessi pubblici o privati di uguale importanza. Il Ministero dell’Ambiente può al riguardo adottare misure di precauzione, purché proporzionate rispetto al livello di protezione, non discriminatorie con ponderazione di vantaggi e oneri, aggiornabili sulla base di nuovi dati scientifici (art. 301). È evidente come il principio di precauzione allarga le maglie della discrezionalità amministrativa e, in particolare, della discrezionalità tecnica, potendo l’amministrazione far ricorso a valutazioni opinabili e basate su dati scientifici contingenti. Giova ricordare come la discrezionalità tecnica riguarda l’ambito di scelta della p.a. in materie di sua competenza che richiedono determinate conoscenze tecnico scientifiche, spesso fondate su tesi scientifiche incerte e di base statistica. La precauzione quindi richiede da un lato la necessità di un rafforzamento della legalità procedimentale, ossia la previsione normativa di un inter stringente che la p.a. deve seguire nell’adozione dei provvedimenti precauzionali, in quanto si crea un deficit di legalità sostanziale per effetto di una disciplina legislativa carente e aspecifica. Dall’altro è necessario garantire un sistema partecipativo che coinvolga privati, Regioni e autonomie locali, mediante la presentazione di denunce e osservazioni o fornendo ogni altra informazione utile al Ministero competente (art. 309). A ciò si aggiunga un onere motivazionale articolato dell’atto adottato che consenta di verificarne e sindacarne il contenuto, anche dinanzi al g.a. Al fine di garantire una maggiore responsabilizzazione dei soggetti che operano nella società, è infine previsto il principio “chi inquina paga”, per effetto del quale il soggetto responsabile ha l’obbligo di porre in essere le attività di messa in sicurezza e rispristino delle aree danneggiate a sue spese, così che tali incombenti non gravino sulla collettività. Il cittadino diventa quindi parte attiva nell’ambito della tutela ambientale attraverso comportamenti collaborativi ma anche responsabili. In particolare, nel caso venga accertato un danno ambientale e il responsabile non abbia attivato le procedure di ripristino (art. 305 e ss.), il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, con ordinanza immediatamente esecutiva, ingiunge a coloro che, in base al suddetto accertamento, siano risultati responsabili del fatto il ripristino ambientale a titolo di risarcimento in forma specifica entro un termine fissato. In caso di inottemperanza, il Ministero competente determinerà i costi delle attività necessarie a conseguire la completa attuazione e realizzazione delle misure anzidette per poter provvedere con ordinanza al fine di ingiungere il pagamento delle somme quantificate (art. 311 e ss.).
I principi innanzi menzionati rappresentano la forma di tutela minima dell’ambiente ai quali ogni singola amministrazione e cittadino debbono adeguare la propria azione. Il d.lgs. 152/2006 non esonera tuttavia le Regioni ad adottare forme di tutela giuridica più stringenti, purché giustificate da esigenze territoriali e non comportino arbitrarie discriminazioni, anche attraverso aggravi procedimentali ingiustificati (art. 3 quinquies). Va ricordato come già la legge 241/90 aveva già previsto alcune limitazioni al procedimento amministrativo per i casi in cui riguardi settori in cui rilevano interessi ambientali. In particolare è esclusa l’applicazione dei sistemi di semplificazione dell’attività della p.a., quali il silenzio assenso, la D.I.A. /SCIA, nonché le deroghe semplificative previste per l’attività consultiva o la valutazione tecnica, laddove rispettivamente il parere o la valutazione debbono essere rilasciate da amministrazioni preposte alla tutela ambientale. Si tratta di un’ulteriore garanzia per l’interesse ambientale, considerato che la semplificazione procedimentale non consentirebbe alla p.a. di valutare gli impatti che determinate attività potrebbero avere sull’ambiente e quindi di predisporre le cautele preventive e precauzionali che tale azione pubblica o privata potrebbe richiedere.
La specifica disciplina delineata per la tutela dell’ambiente si ripercuote inevitabilmente sul sindacato del giudice amministrativo. Se da un lato nulla questio laddove il giudice sia chiamato a giudicare eventuali violazione di specifiche disposizioni che disciplinano la materia ambientale, si pongono invece problemi sul sindacato sull’eccesso di potere in cui può sfociare l’azione amministrativa. I provvedimenti adottati per la tutela dell’ambiente presentano spesso margini di ampia discrezionalità amministrativa e tecnica. In particolare l’attività di precauzione deve essere azionata in presenza di pericolo anche solo potenziale per la salute umana e l’ambiente, affidando le scelte dell’amministrazione a tesi scientifiche in fieri. Allo stesso modo il principio di prevenzione consente al Ministero dell’ambiente di ordinare al soggetto coinvolto o di adottare esso stesso misure di prevenzione nelle ipotesi in cui vi sia solo la minaccia imminente che si verifichi il danno ambientale. In assenza di un vero e proprio danno accertabile e misurabile, il grado di valutazione della minaccia è rimesso nel caso concreto a una valutazione discrezionale della p.a. In questa panoramica normativa è evidente che il ruolo del g.a. cambia, in quanto il suo intervento non può essere limitato al semplice accertamento della violazione di legge ma impone una serie di verifiche e controlli che investono anche il merito delle scelte effettuate dall’amministrazione. Ci si chiede quindi sino a che punto può spingersi il sindacato del g.a. in materia di compatibilità ambientale senza invadere la sfera dell’insindacabilità del merito amministrativo.
Al giudice amministrativo è infatti precluso di giudicare il merito dei provvedimenti amministrativi, ossia la scelta operata dalla p.a. nell’ambito della sua attività discrezionale, purché rientri nel ventaglio di scelte possibili tutte ragionevoli e proporzionate rispetto all’interesse pubblico da perseguire. In caso contrario si consentirebbe al giudice di sostituirsi con il suo sindacato all’operato dell’amministrazione. Il g.a. ha il solo potere di giudicare la legittimità dei provvedimenti amministrativi sotto il triplice profilo della violazione di legge, l’incompetenza e l’eccesso di potere (art. 21 nonies L. 241/90). Quest’ultima ipotesi se da un lato riconosce al giudice amministrativo il potere di sindacare l’attività discrezionale della p.a., dall’altro esso rimane limitato ai profili di irragionevolezza, abnormità, non proporzionalità dell’atto rispetto al fine pubblico perseguito. Si tratta quindi comunque di un sindacato estrinseco da parte del g.a. deputato a verificare la conformità del provvedimento rispetto alla legge, più precisamente al fine pubblico prescritto dalla legge a cui l’amministrazione deve conformarsi nell’esercizio della sua attività discrezionale. L’intervento del g.a. è altresì consentito verso quei provvedimenti che presentino margini di discrezionalità tecnica, così come quelli adottati nella materia ambientale. In tal caso il g.a., lungi dal limitarsi a un controllo estrinseco di compatibilità dell’azione amministrativa rispetto alla legge, può valutare dall’interno la meritevolezza dell’atto mediante un controllo dell’iter e delle regole tecniche applicati nonché del corretto uso del sapere scientifico nel caso concreto, se del caso avvalendosi di esperti da lui nominati. Contrariamente alla discrezionalità amministrativa, il g.a. ha quindi un sindacato più ampio. La ragione deve individuarsi nel fatto che nella discrezionalità amministrativa la p.a. opera una valutazione degli interessi in gioco e sulla base di questa effettua una scelta di merito. Nella discrezionalità tecnica l’amministrazione si limita a una valutazione dei fatti sulla base del sapere scientifico a sua disposizione ma non opera alcuna scelta. Tale valutazione può quindi essere vagliata anche dal g.a. laddove si presenti manifestatamente irragionevole, iniqua o non conforme alla scienza. Va in ogni caso precisato come nell’ambito della discrezionalità tecnica il giudice ha un potere di sindacato debole poiché non è consentito allo stesso di sostituire la sua valutazione a quella della p.a., trovando un limite nella natura impugnatoria/ caducatoria tipica del giudizio amministrativo. Tuttavia, vale la pena sottolineare come la sentenza che annulla il provvedimento ha comunque un effetto conformativo rispetto alla successiva riedizione del potere da parte della stessa amministrazione. Sussiste infatti il vincolo del giudicato in forza del quale la p.a. è tenuta a rispettare quanto statuito in sentenza dal g.a., pena la nullità dei propri atti adottati in violazione o elusione del giudicato (art. 21 septies L. 241/1990 – art. 114 D. Lgs. 104/10).
Queste premesse appaiono fondamentali per dare una risposta alla questione sul grado di sindacabilità che il g.a. può esercitare in materia ambientale. Infatti, posta la discrezionalità tecnica che spesso connota gli atti adottati a tutela dell’ambiente, nulla osta all’intervento del g.a. per verificarne la loro legittimità e compatibilità con la normativa di settore. L’esigenza di una tutela giurisdizionale è tanto più importante nei casi in cui i provvedimenti siano adottati in via preventiva o precauzionale, ipotesi nelle quali l’amministrazione si affida a scienze che presentano ampi margini di opinabilità. Questo significa che il g.a. potrà valutare se la misura precauzionale sia proporzionata al caso concreto e se la scienza che la giustifica sia attendibile e non smentita da altre evidenze scientifiche. Allo stesso modo anche l’accertamento del danno ambientale da parte della p.a. non si sottrae a eventuali censure, laddove spesso è ancorato a valutazioni tecniche non univoche. Il danno ambientale, seppur definito in modo esaustivo dal d. lgs. 152/2006 (“È danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima”) presenta sempre dei margini di apprezzamento, soprattutto nei casi in cui si tratta di fenomeni di danno nuovi o difficilmente misurabili. Si pensi al danno all’ambiente e alle persone causato dalle polveri e dalla produzione di materiale “eternit”, la cui quantificazione e correlazione è potuta avvenire solo a distanza di anni e solo a seguito di lunghe vicende giudiziarie. Da ultimo si precisa che le controversie in materia ambientale (in particolare quelle che riguardano il danno ambientale, il risarcimento del danno ambientale nei confronti dei privati e le ordinanze ministeriali di ripristino ambientale e di risarcimento del danno ambientale) rientrano nell’ambito della giurisdizione esclusiva del g.a. (art. 133 l. s D. Lgs. 104/10). La scelta di devolvere tali materie alla giurisdizione esclusiva appare legittima alla luce dei diversi ambiti e valori costituzionali, diversi dall’interesse legittimo, che possono venire in rilievo nell’adozione di provvedimenti in materia ambientale.
Un sindacato quindi quello del giudice amministrativo non meramente esterno ma che consente all’autorità giudiziaria di intervenire in maniera incisiva nelle scelte operate dalla p.a. sull’ambiente.
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