La disciplina codicistica prevede la possibilità per le parti contrattuali di inserire all’interno dell’operazione negoziale termini o condizioni. Accanto agli elementi essenziali del contratto, quali le parti, la causa, l’oggetto, la forma (se richiesta), l’ordinamento consente di inserire ulteriori elementi cd. accidentali in quanto non essenziali ai fini dell’esistenza e validità del contratto ma, laddove apposti, hanno la funzione di condizionarne l’efficacia. Gli elementi accidentali del contratto sono la condizione (art. 1353 e ss c.c.), il termine (art. 1184 c.c.) e l’onere, quest’ultimo previsto nella materia testamentaria e nella donazione. La condizione viene definita come un fatto futuro e incerto al quale le parti subordinano l’efficacia (condizione sospensiva) o la risoluzione (condizione risolutiva) del contratto o di un singolo patto. La distinzione tra condizione e termine risiede nel fatto che con quest’ultimo le parti subordinano l’efficacia o la risoluzione del contratto a un avvenimento futuro ma certo. Dalla disciplina generale si desume quindi come il negozio condizionato o sottoposto a termine deve ritenersi valido ed efficace ab origine. La peculiarità dei due istituti risiede nel differire a un momento successivo alla stipulazione del contratto gli effetti pattuiti (condizione sospensiva o termine inziale) o a far venir meno gli effetti già prodotti (condizione risolutiva o termine finale). L’assunto è confermato dall’art. 1360 c.c. che sancisce la retroattività degli effetti dell’avveramento della condizione al tempo in cui è stato concluso il contratto, fatta salva la volontà delle parti, la natura del contratto o nell’ipotesi di condizione risolutiva apposta a un contratto a esecuzione continuata o periodica. Ne deriva per esempio che, ove le parti abbiano stipulato una compravendita condizionata, il contratto si perfeziona per effetto del consenso legittimamente prestato, sebbene l’effetto traslativo viene subordinato all’avveramento della condizione sospensiva.
La previsione di elementi accidentali può riguardare sia i negozi a titolo oneroso che a titolo gratuito, posto che la disciplina generale non prevede distinzioni tra i due tipi di contratti. Occorre quindi soffermarsi sul contratto gratuito di donazione e gli elementi accidentali a essa applicabili. La donazione è un contratto caratterizzato dallo spirito di liberalità, il quale ne costituisce la causa. In particolare con la donazione una parte arricchisce l’altra, mediante disposizione a favore di quest’ultima di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione, spontaneamente e senza volere nulla in cambio. La sua natura contrattuale richiede necessariamente l’accettazione della parte destinataria della liberalità, che deve essere contenuta nell’atto stesso o con atto pubblico posteriore. Ma in quest’ultimo caso il contratto potrà dirsi perfezionato solo con la notifica dell’accettazione al donante. Sotto questo profilo, la donazione si distingue innanzitutto dai contratti sinallagmatici in quanto manca la corrispettività delle prestazioni, posto che l’arricchimento coinvolge la sola sfera giuridica del donatario. Va inoltre evidenziata un’ulteriore differenza tra la donazione e i negozi gratuiti, in quanto questi ultimi non sottendono necessariamente la liberalità, in quanto la parte che esegue la prestazione può avere un interesse (economico e non) al suo adempimento a favore dell’altra o a una controprestazione priva di vantaggio economico. La donazione è inoltre un negozio formale in quanto deve essere pattuita per atto pubblico pena la sua nullità (art. 782 c.c.). Si esclude la forma pubblica per le donazioni di modico valore di beni mobili, purché vi sia stata la consegna del bene al donatario (art. 783 c.c.). Infine la legge richiede, quale ulteriore requisito, la determinatezza del contenuto della donazione. In particolare, il legislatore prevede che il donante individui in modo determinato l’oggetto e il destinatario della prestazione patrimoniale, di guisa che dovrà ritenersi nullo il mandato con il quale si consente a terzi di determinare l’oggetto della donazione o di designare la persona del donatario (art. 778 c.c.). Allo stesso modo, se la donazione ha a oggetto beni mobili, questi devono essere specifici con indicazione del loro valore (art. 782 c.c.). La previsione di detti vincoli formali, che caratterizzano la donazione e che in qualche modo richiamano la disciplina prevista in materia testamentaria, si giustificano alla luce dello spirito di liberalità che connota il contratto di donazione e alla necessità conseguente di monitorare spostamenti patrimoniali che potrebbero rivelarsi privi di causa giuridicamente rilevante.
La donazione, analogamente ad altre tipologie negoziali, può essere sottoposta a condizione o può essere subordinata all’adempimento di un onere. Analizzando la disciplina in materia, innanzitutto, è prevista per il donante la possibilità di riservarsi la facoltà di disporre di qualche oggetto compreso nella donazione o di una determinata somma sui beni donati. Essa può essere esercitata solo dal donante e in caso quest’ultimo muoia prima di averne disposto, non può essere esercitata dagli eredi (art. 790 c.c.). La previsione di siffatta facoltà, che determina un limite nel contenuto della liberalità, si configura come una condizione potestativa, nella quale l’avveramento della condizione è rimessa alla volontà del donante (nel caso di specie si tratta dell’esercizio di una facoltà a contenuto dispositivo), e risolutiva in quanto parte degli effetti della donazione vengono meno per effetto dell’esercizio di detta facoltà.
Diverso è invece il modus contemplato dall’art. 793 c.c., che consente al donante di gravare la donazione di un onere. Tuttavia, conformemente alla natura gratuita del negozio di donazione, il donatario è tenuto all’adempimento dell’onere nei limiti del valore della cosa donata. L’onere può avere diversi contenuti e può essere indirizzato a favore del donante o di terzi. Un esempio può essere dato dall’obbligo per il donatario di destinare parte delle somme donate a un terzo indicato dal donante o finalizzare la donazione all’acquisto di un immobile. Al fine di trovare un contemperamento tra la previsione del modus con lo spirito di liberalità, è necessario che l’onere non si concretizzi in una controprestazione onerosa e/o vantaggiosa per il donante. L’onere costituisce una vera e propria obbligazione per il donatario, suscettibile di essere posta in esecuzione sia dal donante sia da chiunque vi abbia interesse, anche durante la vita del donante stesso (art. 793, c. 2 c.c.). Il carattere obbligatorio dell’onere si desume altresì dalla possibilità per il donante di richiedere la risoluzione della donazione per inadempimento dell’onere (art. 793 c.3 c.c.). Il modus entra quindi a far parte dell’operazione negoziale, condizionandone la sua efficacia. La sua cogenza tuttavia deve essere prevista nell’atto di donazione, pena l’impossibilità di risolvere il contratto, e la risoluzione può essere domandata solo dal donante e dai suoi eredi. Pertanto, coerentemente all’efficacia inter partes del contratto (art. 1372 c.c.), solo chi ha prestato la propria volontà può disporre degli effetti dell’operazione negoziale e se del caso decidere di caducarli.
Ulteriore ipotesi di elemento accidentale specifico che rientra nella disciplina della donazione è rappresentata dalla condizione di reversibilità, con la quale il donante si riserva la possibilità di riavere indietro le cose donate in caso di premorienza del solo donatario o di quest’ultimo e dei suoi discendenti (art. 791 c.c.). Quest’ultima ipotesi ricorre in particolare quando la donazione è fatta con generica indicazione della reversibilità. La condizione di reversibilità è un patto accessorio sui generis, che si giustifica sia alla luce dell’intuitae personae che connota il contratto di donazione sia con lo spirito di liberalità dell’atto, che con la premorienza del suo beneficiario perde la sua utilità, anche sotto il profilo causale. La reversibilità può essere prevista solo a beneficio del donante, in caso contrario si ha per non apposta. Infatti, l’indicazione di altro soggetto diverso dal donante, consentirebbe al donatario di pattuire la destinazione dei beni donati in caso di sua premorienza con evidente violazione del divieto dei patti successori (art. 458 c.c.).
La condizione di reversibilità può avere natura obbligatoria o reale. La prima ricorre quando la condizione prevede l’obbligo per gli eredi di restituzione delle cose donate a seguito della morte del donatario. L’ipotesi reale si verifica invece quando la morte del donatario determina un automatico effetto reale con ritrasferimento dei diritti sui beni a favore del donante. In quest’ultimo caso la morte del donatario deve considerarsi come una vera e propria condizione risolutiva, con caducazione ex tunc degli effetti medio tempore prodotti dalla donazione e il riacquisto della proprietà del bene in capo al donante (art. 1360 c.c.). L’effetto traslativo si perfeziona quindi in via immediata senza la necessità dell’intermediazione di soggetti terzi. Di qui una evidente distinzione tra le due tipologie di condizione di riversibilità. In quella obbligatoria l’obbligo di ritrasferimento del diritto di proprietà e restituzione delle cose costituisce oggetto della prestazione del rapporto obbligatorio nascente tra eredi e donante. Al contrario, nella riversibilità reale la restituzione della res rientra nella fase di esecuzione del patto, i cui effetti traslativi si sono già perfezionati per effetto della morte del donatario. La differenza tra condizione di riversibilità obbligatoria e reale si ripercuote necessariamente anche nelle azioni di tutela del donante in caso di inadempimento da parte degli eredi. La condizione di reversibilità obbligatoria si inserisce nell’ambito di un rapporto obbligatorio, pertanto il donante potrà adire l’autorità giudiziaria per chiedere l’accertamento dell’inadempimento e la conseguente condanna alla restituzione e ritrasferimento dei beni donati o, in via esclusiva o cumulativa, il risarcimento dei danni patiti per mancato o inesatto adempimento. Ulteriore mezzo di tutela potrebbe rinvenirsi altresì nell’art. 2932 c.c. La norma citata consentirebbe al donante di ottenere una sentenza costitutiva con il quale il giudice disponga a suo favore il trasferimento della proprietà del bene donato a fronte dell’inadempimento degli eredi del patto di riversibilità. Invece, nell’ipotesi di riversibilità reale il donante potrà esperire le azioni reali previste a tutela del diritto di proprietà riascquistato, in particolare l’azione di rivendica o l’azione di restituzione del bene donato a seconda del caso concreto, senza la necessaria intermediazione del giudice che pronunci il ritrasferimento del diritto già perfezionato. Una tutela rapida, inoltre, potrà essere conseguita mediante l’esecuzione forzata per consegna o rilascio di cosa determinata ai sensi degli artt. 2930 c.c. e 605 c.p.c.
Da ultimo deve essere esaminata la questione relativa ai diritti dei terzi, aventi causa del donatario, in presenza di condizione di riversibilità. L’art. 592 c.c. delinea una disciplina in tal senso, prevedendo la risoluzione di tutte le alienazioni dei beni donati con ritrasferimento al donante liberi da pesi e ipoteche. La condizione di reversibilità ha quindi nei confronti dei terzi efficacia reale. Il sacrificio imposto ai terzi appare controbilanciato dal fatto che la condizione di reversibilità, in quanto condizione risolutiva apposta a un contratto traslativo della proprietà o altri diritti reali, è soggetta alle norme sulla trascrizione. In particolare l’art. 2659 c.c. prevede che all’atto di trascrizione dell’atto traslativo deve essere fatta annotazione di eventuali condizioni alle quali viene subordinato l’acquisto del diritto. Tale sistema pubblicitario consente al terzo di prendere conoscenza dei vincoli cui è sottoposto l’acquisto (rectius la donazione) del suo dante causa e valutare i rischi connessi nell’ipotesi in cui decida di acquistare a sua volta il bene donato sottoposto a condizione di riversibilità. Vale la pena evidenziare che anche in questa ipotesi gli strumenti di tutela del donante verso i terzi acquirenti dei beni donati vanno diversificati a seconda che si tratti di riversibilità obbligatoria o reale. Mentre in quest’ultimo caso il donante potrà far valere, analogamente a quanto già detto per le azioni contro gli eredi, le tutele reali previste a garanzia del proprio diritto di proprietà. Diverso invece è il caso di riversibilità obbligatoria, posto che è compito degli eredi recuperare i beni donati presso i terzi acquirenti e ritrasferirli al donante, secondo uno schema negoziale che richiama i tratti tipici del mandato senza rappresentanza.
Si precisa infine che l’art. 792 c.c. prevede delle deroghe, facendo salve le ipoteche iscritte a garanzia di convenzioni matrimoniali, se gli altri beni del donatario non sono sufficienti, e nel caso in cui la donazione è stata fatta con lo stesso contratto matrimoniale da cui l’ipoteca risulta. Può inoltre essere previsto un patto limitativo della riversibilità che garantisca in ogni caso la quota di riserva spettante al coniuge superstite sul patrimonio del donatario, compresi in esso i beni donati.
Alla luce di quanto sopra, si rileva come la condizione di riversibilità tuteli in modo pieno il donante nei confronti di terzi acquirenti della cosa donata, sebbene diversi siano gli strumenti di tutela a seconda della natura obbligatoria o reale del patto di reversibilità.
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