Il Convegno si è svolto nell’Aula G.127 Pio XI dell’Università Cattolica di Milano, gremita di studenti universitari, professori, avvocati, giudici. Esso è stato dedicato alla figura del giudice “ragazzino” Rosario Livatino, ucciso da alcuni sicari della Stidda in una limpida mattina di 29 anni fa mentre si recava, con l’utilitaria di sua proprietà, a Canicattì per giudicare, in udienza, sulle misure di prevenzione.
La gran parte dei relatori ha sottolineato come il titolo del convegno ha preso spunto da un analogo intervento tenuto da Rosario Livatino all’età di 32 anni in data 17 aprile 1984 presso il Rotary CLUB di Canicatti. In quell’occasione il giovane magistrato delineò la figura di un magistrato dotato di una forte etica, apolitico, autonomo e indipendente, lontano da condizionamenti di qualsivoglia natura, pronto al dialogo e al rispetto di tutti gli attori del procedimento, non ultima la persona da giudicare.
Dopo gli indirizzi di saluto da parte delle Autorità presenti e degli organizzatori del Convegno, la prima sessione dei lavori è stata dedicata agli interventi tenuti dal Vescovo di Milano Mario Delpini, dal Presidente emerito della Cassazione Gianni Canzio e dal Prof. Francesco Palazzo.
Il Vescovo di Milano nel ricordare il percorso di santità del giudice Livatino ha affrontato il grande tema della vocazione cristiana del giurista in una società che cambia. Ha quindi evidenziato come la società di oggi chiede al giudice di affrontare un percorso irto di ostacoli, una specie di discesa agli inferi dai quali è possibile (ed anzi doveroso) risorgere. Ha pertanto menzionato cinque grandi variabili che condizionano l’attività giudiziaria e che costringono i Magistrati a svolgere un ruolo così difficile: la quantità soffocante del lavoro che induce alla commissione dell’errore e alla necessità di un rimedio a volte impossibile, lo smarrimento della complessità che può spingere ad una resa, la constatazione della litigiosità, lo spavento per il male altrui ed infine il grande e difficile compito di individuare una pena giusta e adeguata al fatto. Ha quindi indicato la strada per risorgere da questa discesa infernale e pervenire all’”elevazione della gloria”: l’acquisizione della capacità di riconoscere la persona e di rispettarla giudicandone le azioni con rispetto e terzietà, la coltivazione della coerenza e dell’interesse pubblico nell’esercizio delle funzioni, senza rincorrere il successo, ovvero il consenso della collettività, la difesa dei diritti dei più deboli e la repressione dell’arroganza dei potenti. Ha quindi concluso auspicando l’affermazione nella nostra società del ruolo di un giudice che esprima fiducia nella giustizia reale e non nell’utopia e che cerchi di rendere un giudizio onesto, il più giusto possibile.
Il Presidente Canzio, dopo aver ricordato il grande messaggio lasciato ai magistrati dal giudice Livatino, ha sottolineato la grave responsabilità che grava sui Magistrati di oggi, chiamati ad interpretare e ad applicare norme di elevata complessità e frammentarietà e a vivere la loro missione non come l’esercizio di un privilegio ma come l’espletamento di un servizio. Tali considerazioni sono state fatte proprie anche dal prof. Palazzo il quale ha tenuto a precisare come la professionalità acquisita attraverso lo studio e l’approfondimento teorico – pratico in vista dell’accesso in magistratura non è sufficiente a neutralizzare l’ampiezza di potere accordato al giudice – interprete. Ne deriva che assume importanza sempre più crescente il rispetto al codice deontologico e in generale dell’etica del giudicare.
La seconda sessione del Convegno è stata dedicata alla Tavola rotonda diretta dal Pubblico Ministero di Milano Adriano Scudieri, ex collega di lavoro di Rosario Livatino, centrata sull’effettività delle misure di prevenzione personali e patrimoniali, materia coltivata dal giudice ucciso negli ultimi anni del suo lavoro.
Tutti gli interventi di discussione (Alessandra Dolci, Procuratore Aggiunto di Milano, Fabio Roia, Presidente di Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Milano, Gianluca Varraso, Professore e Avvocato dell’Università Cattolica di Milano, Raffaele Cantone, Presidente di Anac) hanno sottolineato l’estrema farraginosità della materia e la sua complessità metodologica, stante la compresenza di diverse Autorità coinvolte sulla sua proposta e applicazione e tenuto conto che esse non dovrebbero avere una valenza punitiva ma social-preventiva. E’ stata quindi sottolineata la diffidenza ancora presente nei confronti di tali misure, da considerarsi, invece, un valido strumento per la lotta alla criminalità organizzata perché finalizzate al congelamento e all’acquisizione dei patrimoni provento del crimine.
Le misure di prevenzione personali e patrimoniali sono applicate dai giudici di Milano – su concorrente proposta della Procura della Repubblica e delle Autorità di polizia – solo a soggetti recidivanti che si sono resi autori di gravi crimini. Negli ultimi tempi, con un’operazione di grande innovatività, sono state estese anche a soggetti autori dei reati di stalkeraggio o di pedofilia connotati da particolare pericolosità sociale. Il giudizio personologico posto alla base dell’applicazione delle misure di prevenzione presenta delle indubbie difficoltà ed è stato costantemente sottoposto al vaglio della Corte Costituzionale la cui ultima sentenza n. 22 del 2019 è caratterizzata da tali innovatività da richiedere, con ogni probabilità specifica apposita riflessione.
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