Brevi riflessioni sul ruolo e funzioni del Tribunale dei Ministri
di Maria Rosaria Sodano
La clamorosa vicenda della Nave Diciotti e gli inattesi sviluppi giudiziari ad essa connessi induce ad esprimere brevi riflessioni tecniche sul ruolo e funzioni del cosiddetto Tribunale dei Ministri, organo giudiziario istituito dalla legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1, allorché è stato stabilito che “il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei Deputati”
Contravvenendo pertanto ad una normativa precedente che prevedeva la messa in stato di accusa per i reati commessi dai membri del governo dal Parlamento in seduta comune ed il conseguente giudizio dinanzi alla Corte costituzionale in una speciale composizione, la legge costituzionale sopra richiamata ha previsto all’art. 7 che, presso il Tribunale capoluogo del Distretto, è istituito un Collegio costituito da Giudici Ordinari, le cui funzioni e composizione si sostanziano:
– nel compimento di indagini preliminari in ordine ai reati previsti dall’articolo 96 della Costituzione (cosiddetti “reati ministeriali”, per cui sarebbe competente, secondo le regole ordinarie, uno dei Tribunali del Distretto;
– nell’essere costituito da tre membri effettivi e tre supplenti, estratti a sorte tra tutti i magistrati in servizio nei tribunali del distretto che abbiano da almeno cinque anni la qualifica di magistrato di tribunale o qualifica superiore;
– nell’essere presieduto dal magistrato con funzioni più elevate, o, in caso di parità di funzioni, da quello più anziano d’età;
– nell’essere immediatamente integrato ogni due anni in caso di cessazione o di impedimento grave di uno o più dei suoi componenti.
– nell’essere prorogato alla scadenza del biennio fino alla definizione delle indagini eventualmente iniziate.
Le disposizioni dell’art. 7 della legge costituzionale sopra citata, chiariscono, innanzitutto, che le funzioni giurisdizionali del Tribunale dei Ministri, pur essendo, sotto alcuni profili, fortemente assimilabili a quelle del Giudice delle indagini preliminari o del Tribunale delle Libertà, organi deputati al controllo dell’operato del PM e quindi alla verifica della fondatezza degli accertamenti compiuti dall’organo di accusa sia nel corso delle indagini preliminari che al suo termine, se ne differenziano profondamente posto che, in tale materia, è precluso al PM del procedimento ogni indagine relativa al reato ministeriale la cui notizia gli sia stata segnalata dagli organi di polizia o che egli medesimo abbia acquisito attraverso la sua iscrizione nel Registro delle Notizie di reato.
Infatti, ai sensi dell’art. 7 della legge costituzionale sopra citata, i rapporti, i referti e le denunzie concernenti i reati commessi dal Presidente del consiglio dei Ministri e dai Ministri vengono inviati o presentati al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del Distretto di Corte d’appello competente per territorio, il quale, omessa ogni indagine in merito, trasmette, nei 15 giorni successivi, le sue richieste al Collegio, dandone immediata comunicazione ai soggetti interessati perché questi possano presentare memorie al Collegio o chiedere di essere ascoltati.
Il Tribunale dei Ministri, ricevuti gli atti, compie, nel successivo termine di novanta giorni le indagini preliminari del caso, e sentito il Pubblico ministero, può decidere l’archiviazione – nel qual caso il decreto non è impugnabile oppure la trasmissione degli atti con una relazione motivata al Procuratore della Repubblica, affinché chieda l’autorizzazione a procedere ai sensi dell’art. 5 della legge cost. 1/1989.
Dalle disposizioni sopra citate è, innanzitutto, evincibile come l’organo collegiale sopra richiamato costituisca un unicum rispetto all’assetto processualpenalistico corrente perché si configura come un organo collegiale investigativo e nel contempo giudicante, potendo, a differenza di quanto accade al Tribunale della libertà o al Giudice delle indagini preliminari, compiere materialmente le indagini preliminari e, nello stesso tempo, valutarle anche nel merito. Il Tribunale dei Ministri si pone, pertanto, come organo interlocutorio del PM in senso inverso rispetto a quanto normalmente accade nel processo penale dove, come è noto, la valutazione dell’esito delle indagini è demandata ad un organo giurisdizionale indipendente rispetto alla pubblica accusa, il GIP, privo, peraltro, del potere di giudicare la responsabilità penale del soggetto indagato in ordine al fatto ascrittogli in sede di udienza preliminare.
Infatti, nelle indagini preliminari attinenti a reati non ministeriali l’organo propulsivo delle indagini è il PM cui è rimessa la decisione circa le modalità della loro chiusura (archiviazione o richiesta di rinvio giudizio), decisione che il GIP è chiamato a valutare nel merito, a cui può dare corso pronunciando l’archiviazione o disponendo il rinvio a giudizio, senza, peraltro, in quest’ultimo caso, poter assumere le funzioni di giudice della successiva udienza preliminare. Nel caso dei reati ministeriali, invece, le indagini sono addirittura precluse al PM il quale rimane, tuttavia, il principale organo interlocutorio del Tribunale dei Ministri potendo chiedere al Collegio di svolgere ulteriori indagini, precisandone i motivi (cfr. art. 9 della legge costituzionale sopra citata: prima del provvedimento di archiviazione, il procuratore della Repubblica può chiedere al collegio, precisandone i motivi, di svolgere ulteriori indagini; il collegio adotta le sue decisioni entro il termine ulteriore di sessanta giorni) E’ appena il caso di notare che nel regime processuale ordinario succede sostanzialmente l’inverso. Il Giudice delle indagini preliminari può non accettare la richiesta di archiviazione del PM e disporre nuove indagini preliminari all’esito delle quali può imporre al PM la formulazione del capo di imputazione o emettere decreto di archiviazione, così associandosi alla primitiva richiesta del PM.
Tale differenza strutturale rispetto alla trattazione dei reati non ministeriali, si riverbera anche con riguardo alle conseguenze relative all’esercizio dell’azione penale da parte del PM.
Infatti, diversamente da ciò che avviene per i reati ordinari, nel caso in cui il Tribunale dei Ministri – compiute le indagini preliminari – ritenga di dover procedere all’archiviazione emette decreto non impugnabile e lo comunica al PM il quale, a sua volta lo trasmette al Presidente della Camera competente. Anche l’inoppugnabilità del decreto appare un unicum nel panorama processualpenalistico ove si consideri che la norma generale è di portata esattamente contraria e che, nello specifico, il decreto di archiviazione per reati ordinari deve essere comunicato alla parte offesa che vi si può opporre chiedendo la fissazione di un’udienza innanzi al GIP.
Ove il Tribunale dei Ministri ritenga non vi sia spazio per l’archiviazione, l’azione penale non può essere esercitata dal Pubblico Ministero competente, dal momento che essa è sottoposta al rilascio dell’autorizzazione a procedere della Camera di appartenenza dell’inquisito, autorizzazione che viene chiesta, nel caso in cui il Ministro indagato non sia membro di nessuna delle due camere, al Senato.
La camera competente – sulla base dell’istruttoria condotta dall’apposita giunta – può negare, a maggioranza assoluta, l’autorizzazione ove reputi, con valutazione insindacabile, che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo. In questo caso viene meno una condizione di esercizio per l’azione penale e il procedimento deve essere archiviato.
Nel caso in cui, invece, la camera conceda l’autorizzazione a procedere, gli atti vengono rimessi al Tribunale dei Ministri perché proceda nelle forme ordinarie. Il silenzio della legge deve far propendere per la tesi secondo cui il Tribunale dei Ministri cessa, da questo momento, ogni funzione, dovendo trasmettere gli atti al PM competente il quale procederà all’esercizio dell’azione penale nelle forme e modi disposti per i reati ordinari.
Proprio tale conclusione induce a ritenere che la indagini (e valutazioni) compiute dal tribunale dei Ministri debbono essere finalizzate alla sussistenza di gravi indizi di reato con riguardo all’esercizio delle funzioni di governo specificatamente attribuite al Ministro inquisito o, in alternativa, all’esistenza di un preminente interesse pubblico. Il Tribunale dei Ministri, nel compiere e valutare le indagini preliminari relative ai reati ministeriali che sono sottoposti al suo vaglio dovrà in sostanza limitare il proprio sindacato alla ricorrenza degli indizi di colpevolezza in ordine al reato astrattamente configurabile individuandone la stretta connessione con l’esercizio delle funzioni ministeriali, senza, peraltro, poter entrare nel merito della sussistenza del preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo o del perseguimento di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante. Infatti, tale ultima valutazione costituisce una prerogativa dell’organo parlamentare e non può essere oggetto di sindacato da parte dell’Autorità giudiziaria.
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