Manifestazioni NO TAV. L’interpretazione di Atto arbitrario del P.U. e/ o di incaricato di pubblico servizio ai sensi dell’art. 393 bis c.p. e la prova “presuntiva” del concorso morale di persone nel reato
A qualche anno di distanza dalla Cassazione del 15 maggio 2014 (dep. 27 giugno 2014), n. 28009, con la quale erano stati definiti i confini delle azioni dimostrative NO TAV ed era stata, per esse, esclusa la gravissima accusa di attentato alla vita od alle incolumità delle persone per finalità di terrorismo, la Corte di legittimità si è nuovamente occupata di una dimostrazione di manifestanti Anti TAV esaminando nello specifico la nozione di atto arbitrario prevista dall’art. 393 bis c.p.
Come è noto, la norma penale sopra richiamata ha configurato una speciale causa di giustificazionenelle ipotesi delittuose di cui agli artt 336, 337 (resistenza a pubblico ufficiale),338, 339 (violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti anche se commessa da armi, da più persone riunite o da persone travisate), 339 bis c.p.(Atti intimidatori di natura ritorsiva ai danni di un componente di un Corpo politico, amministrativo o giudiziario),341 bis, 342 e 343 quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrarii limiti delle sue attribuzioni.
La Sesta Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza del 27/04/2018, (deposito del 5/12/2018), n. 54424/18, ha affermato che, in tema di reazione all’eccesso arbitrario, l’art. 393 bis-cod. pen. delinea una causa di giustificazione in cui l’arbitrarietà dell’atto non implica necessariamente un “quid pluris” rispetto alla “illegittimità“, essendo sufficienti a qualificare come eccedenti dalle proprie attribuzioni, anche comportamenti – posti in essere in esecuzione di pubbliche funzioni – di per sé “legittimi” ma caratterizzati da un difetto di congruenza tra le modalità impiegate e le finalità per le quali è attribuita la funzione stessa, trattandosi di comportamenti tenuti in violazione degli elementari doveri di correttezza e civiltà che debbono caratterizzare l’agire dei pubblici ufficiali (Corte cost. n. 140 del 1998).
La Corte di Cassazione ha invitato, dunque, i giudici del rinvio a verificare se, durante la dimostrazione contro il cantiere del Tav in Valle di Susa il 3 luglio 2011, gli imputati abbiano reagito ad “atti arbitrari” dei pubblici poteri, consistiti nel porre in essere comportamenti violenti quali il lancio di sassi o di lacrimogeni fuori dalle direttive ricevute, tali da potersi ritenere idonei a giustificare la corrispondente reazione violenta degli imputati.
I giudici della Corte non hanno poi mancato di accogliere l’ulteriore motivo di ricorso di alcuni degli imputati circa la mancata motivazione in ordine alla sussistenza dei presupposti del concorso morale di persone nel reato. A proposito di alcune posizioni soggettive, giudicate carenti di prova sul punto, hanno affermato che la Corte di merito aveva costruito un meccanismo presuntivo in base al quale, in assenza di prova contraria, l’imputato che fosse rimasto sul “campo” (vale a dire nei luoghi dello scontro) doveva ritenersi concorrente nel reato per aver rafforzato – con la propria presenza fisica – l’intento criminoso del correo che avesse materialmente posto in essere il comportamento oggetto di contestazione. La Corte di legittimità ha, al contrario, ritenuto che la presenza del singolo imputato in una data ed in un’ora interessata dello scontro costituiva un mero indizio del fatto ignoto., caratterizzato appunto dal concorso morale nella condotta violenta del coimputato. Ha quindi richiamato in proposito la giurisprudenza delle S.U. della Corte di Cassazione in tema di prova indiziaria (art. 192, comma II c.p.p.) in virtù della quale “ gli indizi devono essere prima vagliati singolarmente, verificandone la valenza qualitativa individuale e il grado di inferenza derivante dalla loro gravità e precisione, per poi essere esaminati in una prospettiva globale e unitaria, tendente a porre in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo, univoco e pregnante contesto dimostrativo, sicché ogni episodio va prima considerato di per sé come oggetto di prova autonomo onde poter ricostruire organicamente il tessuto della “storia” racchiusa nell’imputazione.
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